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mercoledì 30 aprile 2014

Ma che selfie fai se la banana non ce l’hai? Marketing dell’antirazzismo

Gesto sportivo!
Che dei calciatori si affidino ad un’agenzia di marketing per ideare una campagna mirata a promuovere l'antirazzismo non mi pare niente di eclatante. Anzi, mi pare un iter discretamente intelligente e professionale.
Così come poco sorprendente è scoprire, poche ore dopo un gesto percepito come spontaneo e il relativo battage pubblicitario – perché il mondo dell’informazione è ormai veicolo della pubblicità di notizie che a loro volta sono spot, ricordate la non-notizia del video First Kiss? – che il gesto del calciatore del Barcellona Dani Alves è stato il risultato di uno studio di marketing.
Da sempre warholiana, 10 e lode.
Breve recap: Dani Alves, bersagliato dalla sciocca tradizione dei tifosi razzisti del lancio di banane in campo, ne prende una e se la mangia prima di tornare a giocare. Poco dopo si diffonde in rete l’hashtag #somostodosmacacos, da noi #siamotuttiscimmie, e via di foto e selfie con persone da ogni angolo del globo trasformate in grandi mangiatori di banane (Presidenti del Consiglo, sportivi, tua sorella, tuo zio, tua nonna, eccetera).
Intento nobile - gesto simbolico contro il razzismo, più forte di miliardi di parole - o privato che sia - Alves e Neymar volevano qualcosa di geniale per sfottere a loro volte i cori razzisti che ricevono durante le partite – missione compiuta.
Foto a caso di gente a caso.
Dal punto di vista meramente comunicativo, l’idea è stata un successo, testimoniato da milioni di articoli sulla stampa, status, condivisioni, selfie.
Dal punto di vista sociale il “fenomeno” che dura qualche giorno bruciando come trend topic e argomento virale è abbastanza impalpabile.
Oltre ad essere per certi versi insopportabile: sfido chiunque a vedersi la bacheca invasa da amici, conoscenti e vip che s’addentano delle banane senza spazientirsi dopo poche “fotocopie”. Va bene, siamo tutti d’accordo che il razzismo è il male e va estirpato con ironia e cultura, ma che mi frega della tua faccia in primo piano che s’addenta il frutto dell’amor?
Anche lui s'è fatto un selfie.
Senza contare tutti quei personaggi che sfruttano in modo malizioso l’ennesima, fugace moda del momento per ritagliarsi un attimo di notorietà e autopromozione
Siamo sempre lì, alla trasformazione dell’intento “nobile” in pubblicità e, nella sua deriva finale, in una vetrina su quanto noi siamo buoni e sensibili.
Dopo questo slancio umanitario che dura lo spazio di un selfie, che succede?
Archiviato il proverbiale quarto d’ora dove “siamo tutti scimmie” si torna ad essere degli homo più o meno sapiens, più o meno sottilmente e inconsapevolmente razzisti, presumo.

lunedì 28 aprile 2014

Nymphomaniac vol.2: poco Von Trier e troppa "persona non grata"

Nella recensione del volume uno avevo definito Nymphomaniac una grande operazione di marketing”. Lars Von Trier porta fino in fondo questa definizione con il volume due, ma nel senso peggiore. Ovvero, di questa opera ci rimarrà solo il ricordo del marketing (e la noia delle versioni uncut, ormai pratica vecchia come il cucco), perchè di cinema o di qualsiasi cosa serva a dare dignità ad un'opera cinematografica, qui non c'è quasi traccia. Tutto quanto di buono costruito dal primo capitolo viene abbandonato, anche le aspettative di un prosieguo meno verboso e più drammaturgicamente originale e coeso, coinvolgente e movimentato.
Se ma c'è stata una cesura inutile, è stata quella tra i due volumi di Nymphomaniac: il lunghissimo dialogo tra Joe e Seligman prosegue nello stesso identico modo, aneddoto – interpretazione dell'aneddoto – scambio di vedute su società/umanità/sessualità, e così via.
Non c'è neppure più traccia di quella vena di ironica-beffarda che aveva alleggerito e impreziosito il racconto la masochistica routine di Joe nel film precedente. Resta un'aura seriosa e mortifera che aleggia per tutta la pellicola, con Von Trier più impegnato a spiegarci attraverso le parole di Joe le sue opinioni non richieste sul mondo, sul politicamente corretto, sulla democrazia e sulla guerra tra i sessi.
Per di più, e mi spiace veramente dirlo, tutte le conclusioni al quale l'autore danese arriva sono, forse per la prima volta nella sua carriera, di una banalità sconcertante ed articolate attraverso le parole anziché veicolate attraverso le immagini e la messa in scena. Concetti lasciati lì, tra lo schermo e lo spettatore.
Anche la storia portata avanti, la storia di Joe, difficilmente riesce a catturare l'attenzione profonda e l'interesse dello spettatore: la sua psicologia rimane comunque abbozzata, i fatti che ne delineano la personalità presentati come quadretti sopra le righe e poco credibili, quasi favolistici. Il conflitto si avverte in maniera labile.
Il simbolismo della pellicola è abbastanza semplice, il gioco dei rimandi con le opere precedenti dell'autore sterile. Ancora una volta, ma con il segno negativo, non si può che constatare la sistematica frustrazione delle aspettative dello spettatore, siano essere onorevoli o meno. E questa volta non si tratta di intelligente strategia, siamo davanti ad un tradimento bello e buono.
Certo, l'autore è padrone della propria opera, ma questo non significa poter utilizzare un film come mezzo per pontificare su concetti che starebbero dentro ad uno striminzito pamphlet e poi sperare di non venir mandati legittimamente a quel paese dal pubblico.
Può darsi che io abbia preso un abbaglio e non sia stato in grado di sintonizzarmi sulla lunghezza d'onda di questo affresco che Von Trier ha messo in piedi per parlare di alienazione e critica alla società bigotta, borghese e perbenista.
Ma francamente, ci vedo poco materiale con il quale elaborare teorie universali.
Nymphomaniac non può avere l'attenuante generica dell'essere “prodotto d'autore”. 
C'è poca Stacy Martin e troppa Charlotte Gainsbourg, c'è poca anima e troppo calcolo, poco sesso e molta pornografia. C'è poco cinema e troppo ego. C'è poco Von Trier e molta “persona non grata”.
Un'etichetta che ha fagocitato il suo compiaciuto portatore.


Che ne pensi di Nymphomaniac? Lascia il tuo commento!

domenica 27 aprile 2014

Mi sono (ri)visto Fargo (il film, e poi il pilot della serie tv)

Fargo (1995): vedi alla voce "iconico"
Dunque, com'è la serie tv ispirata a Fargo, memorabile film del 1995 dei fratelli Coen?
Facciamo un passo indietro. Per avere un quadro preciso mi sono fatto una full immersion rivedendo con piacere l'opera originale, gioiellino da ripassare doverosamente e/o da recuperare subito per chi non lo conoscesse, e subito dopo l'episodio pilota della nuova miniserie in 10 episodi del canale FX.
Fargo (il film) nasce come libera reinterpretazione di fatti cronaca che macchiarono la tranquilla e fredda provincia americana tra il North Dakota e il Minnesota. Un sagace apologo, intriso di nera ironia, della pochezza e dello squallore umano, affidata ad un cast strepitoso (Frances McDormand, William H. Macy, Steve Buscemi, Peter Stormare) e, come spesso accade, centrato sul tragico destino di chi non ammette le proprie colpe e si fa sopraffare dall'avidità. 
Fargo (1995): William H. Macy splendido, patetico, idiota.
I Coen, che vinsero l'Oscar per la sceneggiatura, mettono un cartello in apertura che avverte che tutto quello che vedremo è vero, anche se la vicenda in sè, in realtà, non lo è affatto: eppure non dubitiamo mai per un minuto, anche grazie alla ricostruzione fredda e cronachistica, la scrittura calibrata al millimetro delle psicologie e la bravura degli interpreti, che quello che vediamo abbia potuto avere un fondamento di realtà. 
Quello che va detto è che il Fargo cinematografico è un'opera perfetta così com'è, talmente in equilibrio nei toni e compiuto nella sua riuscita da sembrare impossibile da trasporre in una serialità. E qui va subito riconosciuto al creatore Noah Hawley (Bones, The Unusuals) di aver avuto l'onestà intellettuale e l'umiltà di non cercare di replicare il modello ma di affiancarglisi soprattutto nei toni e nei modi, anzi, nel mood.
Fargo (2014): la McDormand era incinta, la Tolman è cicciottella.
Così, dopo i "canonici" avvertimenti che stiamo per assistere a una storia vera, ci troviamo davanti una spruzzata di Lynch e molto degli stessi Coen (che figurano non a caso come produttori) per un pilot della serie televisiva di Fargo che rivela un carattere fondato soprattutto nelle atmosfere rarefatte, nella comicità bizzarra e nel quadretto quotidiano della cittadina immersa nella neve sotto la quale pulsa la follia. 
C'è poi un cast di lusso guidato da Martin Freeman (che raccoglie il testimone di Macy del mite imbranato che rivela il suo lato oscuro) e da un Billy Bob Thornton a cui spetta il ruolo più difficile, affascinante ma a rischio deja-vu del killer misterioso e carismatico, figliastro ideale del Bardem di Non è un paese per vecchi. Completano il quadro la poliziotta giovane e sveglia di Allison Tolman, il vecchio Keith Carradine e lo sbirro debole di stomaco Bob "Saul Goodman" Odenkirk.
Fargo (2014): Martin Freeman, imbranato (ma forse, cattivello)
L'avvio, non perfetto e un po' banale in alcuni dialoghi, è comunque interessante, sebbene presenti già più morti ammazzati che nell'intero film dei Coen. Le potenzialità dei caratteri e della trama sono molto grandi, e il progetto sembra capace di stupire fino all'ultimo episodio. 
La serie dovrà però evitare di cadere nello stereotipo della "small city, big secrets" e dello scimmiottamento delle atmosfere alla Twin Peaks. Al tempo stesso, deve trovare una strada autonoma per i personaggi, rendendoli coeniani nello spirito ma evitando di trasformarli in macchiette ispirate al lavoro dei due fratelli.
Ci può riuscire, e i pochi episodi possono consentire un'ottima gestione del plot.
Se hai visto il film o la serie, lascia un commento con le tue impressioni! 
Sono curioso di sapere che ne pensi.

sabato 26 aprile 2014

Come disattivare i video automatici di Facebook su smartphone

Ok, dicevamo dell'ennesimo diktat di Facebook che adesso ci fa partire automaticamente i video mentre scorriamo la timeline. L'altro giorno ho scritto di come disattivarlo su pc, ma naturalmente il problema riguarda soprattutto gli smartphone, quando si usa la connessione dati con i video indesiderati che ci succhiano traffico!

Vediamo come stoppare questa imposizione, partendo da Android...

Una volta aperta l'applicazione, clicca sull'icona formata da tre linee (nell'ultimo aggiornamento dovrebbe essere in alto a destra).

Quando si apre il menu scendi in basso fino a "Impostazioni applicazione" ed entra nell'ulteriore menù: troverai la voce "riproduci automaticamente video solo su Wi-Fi" clicca per spuntare la casella e vedrai che sotto verrà scritto "Sì": missione compiuta! 

Ok, ma so benissimo che c'è anche chi ha lo stesso problema su iPhone e iAltro... dalla home si va su "Impostazioni" e in basso fino a trovare l'icona di Facebook. Se clicci si apre di nuovo un menù "Impostazioni": entrando con un tocco, sotto la voce "Foto e video" c'è la voce "Riproduci automaticamente video solo su Wi-Fi"... basta spostare il bottone verso destra et voilà!

venerdì 25 aprile 2014

Come impedire a Facebook di far partire i video da soli

Ogni tanto Facebook impone delle novità che probabilmente reputa geniali.
Non c'è altra spiegazione, deve davvero reputare geniale la riproduzione automatica dei video per avere il coraggio di imporla a tutti, indistintamente.
Questo con buona pace della libera scelta, della privacy, del fatto che magari non ce ne frega niente degli amici che cantano da schifo e dei cani presi a calci (statisticamente due delle categorie più postate, purtroppo).
Ecco come fare per liberarsi di questa rottura di scatole, se ancora non ci siete riusciti, in pochi e semplici passaggi...

Per prima cosa andate in alto a destra e clicca sull'icona a forma di lucchetto...



Dopdichè clicca ovunque vi sia la parola "IMPOSTAZIONI" :-)



Quindi, a sinistra dovresti trovare proprio la dicitura "VIDEO", clicca là!


Infine, in alto a destra troverai quello che cerchi: eccolo lì, il tasto per disattivare i maledetti video che partono in automatico! Complimenti, ci siamo riusciti e Facebook se ne dovrà fare una ragione ;-)


Potrebbe esserti utile:


giovedì 24 aprile 2014

Game of Thrones - S4E03 a fumetti :-)

Eccoci arrivati alla puntata numero 3 di Game of Thrones, dove i personaggi affrontano il dramma della morte di re Joffrey fregandosene bellamente, ognuno a modo suo. Pausa per Tyrion, l'unico che poverello ne paga le conseguenze in gattabuia, mentre si rivede Ditocorto...
Gran polverone ha sollevato la scena tra Jaime e Cersei ma, assenza di riguardi per il cadavere ancora caldo del figlio, davvero la vogliamo considerare una sequenza scandalo? Andiamo, come se non avessimo visto di peggio!
Persino George Martin ha finto di scandalizzarsi, come se (anima candida) non fosse stato al corrente di cosa contiene il telefilm con mesi d'anticipo...
@lucarinigiac



La vignetta sulla scena tanto contestata va in onda in stile più cartoon per edulcorare i toni (LOL)






martedì 22 aprile 2014

Silicon Valley, ecco i veri nerd (e non gli imborghesiti di The Big Bang Theory)

C'erano una volta Leonard, Sheldon, Rajesh e Howard... ti ricordi quei quattro sfigati della Caltech? Ma sì, dai... quei nerd che adesso si sono imborghesiti, fidanzati o sposati, hanno adottato dei cani e non fanno altro che avere problemi con le loro compagne o quelle che cercano di rimorchiare. Ecco, quelli lì.
Per carità, sempre simpatici, eh. Però...
The Big Bang Theory, ormai, ha dalla sua soltanto personaggi entrati di diritto nell'immaginario collettivo che ancora tengono botta dopo sette stagioni, ma che a questo punto rasentano pericolosamente la macchietta e sono più impegnati nei loro problemi di coppia e/o di sfiga (non per nulla tutti sono accompagnati mentre a Raj è stato affiancato il povero Stuart) che in attività realmente nerd. Lasciamo perdere il cosplay facilone, intendiamoci: sono lontani i tempi delle citazioni criptiche e delle puntate dedicate a L'uomo che visse nel futuro di George Pal. Ma questo è il bello e il brutto del successo planetario, che soddisfa e legittima ma costringe ad annacquare i toni.
La HBO ha dato il via da poche settimane ad una nuova (mini)serie, che non ha alcuna pretesa di entrare in competizione con TBBT (sono 8 episodi di mezz'ora, con trama orizzontale) ma che inevitabilmente solleva confronti, non solo per il soggetto ma anche per i suoi contenuti.
Silicon Valley parla di Richard e del suo gruppo di amici, rintanati nella casa di uno di loro già vagamente “inserito” nell'ambiente, Erlich. Richard, nel creare un'app musicale, finisce per trovare un algoritmo di compressione lossless che potrebbe rivoluzionare il mondo informatico. Da lì scatta l'offerta indecente del suo datore di lavoro, il milionario Gavin Belson della compagnia Hooli, che comprerebbe per 10 milioni di dollari, ma arriva anche la proposta dello scontroso, controverso e geniale imprenditore Peter Gregory, uno che gli lascerebbe molta libertà e la possibilità di creare una sua stessa compagnia. Ora, c'è un problema: Richard è un vero nerd che vive fuori dal mondo e non sa che cosa sia fare un deposito in banca o creare un'idea di business plan. Riuscirà, con l'aiuto (?) degli amici, a non mandare tutto in fumo, nonostante sia tanto maldestro da essere il suo peggiore nemico?
Come vedete, la storia è molto lineare ma di ampio respiro: gli otto episodi comporranno una vera e propria avventura, quindi niente “app della settimana” o “fraintendimento con la tizia di turno”. Già qua la differenza è abissale.
Ma è impossibile non notare la sottile ironia in alcuni momenti con la quale SV omaggia e sbeffeggia TBBT, come ad esempio nel gustoso momento in cui il CEO miliardario di Hooli spiega al suo guru spirituale i dubbi che lo assalgono osservando i nerd, che si spostano in gruppi di cinque composti da elementi ricorrenti come un bianco, un asiatico, un grassone, uno con la barba strana e uno dell'India dell'est... Un modo sottile per svelare la “ricetta calcolata” di alcuni format, ai quali neppure la stessa serie HBO comunque si sottrae (c'è l'indiano... ma c'è anche un satanista laveyano).
Quello che piace di SV è il suo essere sicuramente meno mainstream e di presentare situazioni, battute e riferimenti ad un background che, seppure assai conosciuto specialmente in Usa, necessita di un po' di passione e di approfondimento. Dall'altro lato, non è una serie che mira a far sganasciare dal ridere (ma era abbastanza prevedibile), puntando ad un umorismo più elaborato ma non per questo meno attaccato all'insipienza sociale dei protagonisti. Vedi la gag del medico, col povero Richard torturato dai discorsi di chi lo sta visitando, o l'imbarazzante siparietto con la spogliarellista, a dire il vero un espediente po' usurato.
La cosa che però risulta più interessante è il quadro d'insieme, uno spaccato attualissimo e avvincente delle storie che spesso ci sentiamo raccontare, l'idea rivoluzionaria, la startup con gli amici, la lotta alle multinazionali del software, le mille app che nascono e muoiono ogni giorno...
Al momento il prodotto funziona, e spero che possa proseguire con questo passo e migliorare col tempo: la qualità e la destrezza nella scrittura ci sono tutte.

lunedì 21 aprile 2014

ICONS: Rubin "Hurricane" Carter


"Now all the criminals in their coats and their ties

Are free to drink martinis and watch the sun rise

While Rubin sits like Buddha in a ten-foot cell 

An innocent man in a living hell.

That’s the story of the Hurricane,

But it won’t be over till they clear his name

And give him back the time he’s done.

Put in a prison cell, but one time he could-a been

The champion of the world…”

Hurricane - Bob Dylan


“There is no bitterness. If I was bitter, that would mean they won.” - 
Rubin Carter




venerdì 18 aprile 2014

Questo post avrà meno fan di un (ctrl+C/ctrl+V) di Gabriel Garcia Marquez

Oggi ho scoperto la morte attraverso le citazioni letterarie.
Apro i social e inizio a vedere Gabriel Garcia Marquez citato dappertutto.
Una.
Poi due, tre, mille volte...
Una valanga di citazioni sparse dai più svariati libri dello scrittore colombiano (ma nessuna da Cronaca di una morte annunciata, uff).

Sembra un'epoca remota quella in cui le citazioni erano una bella cosa, o almeno innocua: un po' pacchiane, spesso facilone, ma frutto comunque di passione per un'opera o interesse nuovo e rinnovato per un autore.
Adesso, ogni volta che ne vedo una, vado a controllare se sulla pagina di Wikipedia del citato compare la data di morte (sai mai che possa aggiornare io per primo).
Un'altra delle splendide aberrazioni prodotte dalla moda della corsa al coccodrillo, pratica giornalistica ormai inflazionata, pure questa, dall'immediatezza dell'internet e della nostra smania di far vedere quanto siamo bravi a frignare (in senso digitale).

Ma insomma, dato che a ricordare vita morte e miracoli dello scrittore colombiano ci hanno pensato tutti, non soltanto i citazionisti, vado al sodo e vi elenco quello che potete ritenere veramente utile della sua figura.

- Partiamo proprio dalle citazioni: ce ne sono di meravigliose a bizzeffe, potete rubare senza dichiarare a piene mani un po' di realismo magico per incantare qualcuno e passarvi per maestri d'amore, o commentare status di chi vi piace.

- È poi un'ottima e culturalmente qualificata scusa se venite beccati a tradire, essendo lui l'autore di memorabili passaggi in cui qualche personaggio sostiene che si possono amare più persone e che il cuore ha più stanze d'un bordello. Sapete che Bill Clinton lo considera il suo eroe letterario? Servita sul piatto d'argento se venite beccati con una stagista: "Amore, non è colpa mia, è che Marquez è anche il mio eroe letterario".

- Se siete fumatori: lui si è fumato quasi 60 sigarette al giorno fino ai 50 anni ed è sopravvissuto al cancro... due volte.

- Il vostro amore per l'autore colombiano può persino fare da endorsement al vostro eventuale essere comunisti: era molto amico di Fidel Castro: così colto, nobile e ricco d'amore, un genio... mica può essersi sbagliato?

- Infine, ogni volta che la vostra ragazza vi bacchetta perché sbavate su Shakira, ricordatele che Marquez l'ha riempita di elogi ai tempi del suo esordio. Esatto, quello dove cantava che ha le tette piccole e modeste ma è una fortuna perchè così non le confondevamo con le montagne. E probabilmente lo scrittore ha benedetto nei suoi ultimi giorni anche il duetto di Shak, e relativo video, con Rihanna.


Bene. Ecco fatto. Se poi volete leggervi anche Cent'anni di solitudine o L'amore ai tempi del colera, male non fa.

(mandatemi pure a quel paese su Twitter)

giovedì 17 aprile 2014

Game of Thrones - S4E02 a fumetti :-)

Puntuale come ogni giovedì, torna l'appuntamento con le vignette dedicate a Game of Thrones! (Sì, lo so che è solo il secondo episodio, e la puntualità è tutta da dimostrare...)
Allora, avete godut, ehm, vi siete rammaricati per il lieto event drammatico fatto che ha messo fine alle nozze di Joffrey e Margaery? In pratica, a Westeros è più pericoloso sposarsi che fare la guerra... e chissà che bella piega prenderanno gli eventi dopo questo sconvolgente avvenimento!
Se vi piacciono le vignette, potete lasciare qui sotto un commento, magari con un suggerimento su cos'altro disegnare! E sempre trovarmi su twitter, sono @lucarinigiac, così possiamo anche scambiare due chiacchiere... ciao!






lunedì 14 aprile 2014

Prima di me, il diluvio - La recensione di NOAH

Ho atteso qualche giorno, prima di scrivere la recensione di Noah, l'ultima opera di Darren Aronofsky, perché mi ci è voluto effettivamente un po' di tempo per metabolizzarlo.
Sgombriamo il campo dalle facili battute: ok che la Bibbia è il primo fantasy della storia (e forse il più grande), ok che questo film può essere etichettato come un naufragio o un diluvio di cazzate, ok. Ci siamo capiti.
Noah è, in buona sintesi, un'opera che non merita i fiumi d'inchiostro reale e digitale che gli sono e gli saranno riservati. Intrattiene, almeno per metà, ma rimane un oggetto indefinibile (non nel senso migliore del termine), con scarsa identità e troppe idee gettate nel calderone. Al di là di un aspetto visivo interessante e ben giocato, il film manca di identità ma soprattutto di mordente. Un po' troppo facile giocare sui dubbi squisitamente moderni che solleva la "missione sacra" di Noè e squadernati con i dialoghi e la contrapposizione manichea con il re incarnato da Ray Winstone e "figli di Caino".
Un'ambiguità mai sviluppata appieno che - se non dialogica - viene risolta in maniera elementare e secca: la famigliola dei buoni, timorata e vegetariana, il cui patriarca è spinto/vinto dall'ossessione e motore unico dei conflitti esterni ed interni; i cattivi cattivissimi (un po' semplice farsi domande sull'eventuale presenza di innocenti quando sei al sicuro e gli altri annegano) che vivono e agiscono in modo selvaggio e squarciano agnelli a mani nude. 
Come se gli uomini di Dio nel corso delle sacre scritture, prima e dopo l'Arca, non l'avessero mai fatto... Ma è solo una delle tante "leggerezze" diluite in questa (lo dico? lo dico) fiera del pacchiano messa in piedi da un Aronofsky regredito, dopo The Wrestler e Black Swan, ai temutissimi tempi di The Fountain.
Bibbia e New age possono coesistere? Eccome, se per questo regista l'antico testamento può trasformarsi nella Storia Infinita ibridata con i Transformers: sto parlando dei Vigilanti, gli angeli caduti fusi con fango e roccia che sono un utile pretesto per colpire i bambini e giustificare la costruzione dell'arca in tempi record (sebbene questa assomigli più a un Kinder Colazione Più in vimini).
Ecco, tra computer grafica non irresistibile (soprattutto per gli animali), eccesso di paesaggi in time lapse e colori ipersaturi, ridondanze visive e narrative, fatale assenza di ritmo in più punti, la pellicola si perde e raramente ritrova un guizzo interessante.
Il colpo fatale è dato da una seconda parte senza alcuna tensione: sappiamo benissimo che Noè non può morire e che la sua famiglia è destinata a ripopolare la Terra... Giocarsi l'ultima ora di film sulla falsa prospettiva di estinzione e di infanticidio da parte del protagonista è la mazzata fatale alla resistenza dello spettatore.
Aronofsky sembra più impegnato a realizzare singole sequenze d'impatto, in special modo quelle legate all'aspetto virtuosistico, visuale e arty: il racconto della creazione del mondo, ad esempio, forse il momento migliore di tutta l'opera, anche se di una paraculaggine che raggiunge livelli stratosferici (mostrare l'evoluzionismo fino ad un passo dagli "esseri di luce" Adamo ed Eva é quantomeno pilatesco).
Ma ci interessa il cinema, più che la videoarte, ed ecco perché Noah è un film zoppo, ma che mentre zoppica ti pesta pure i piedi con la stampella: non basta un bel comparto visivo, qualche grandiosa scena di massa, una battaglia stile Roland Emmerich (è un complimento come un'offesa, lol) e la costante ricerca di un respiro epico a tenere in piedi un kolossal biblico che sembra più la versione dark di un cartoon del sabato mattina su JesusTv.
Russell Crowe sostiene la parte del Noè gladiatorio con impegno e giusta intensità, nonostante qualche momento di pilota automatico e una schizofrenia di look niente male (è l'unico che invecchia e cambia 3 tagli di capelli, vanitoso!). Jennifer Connelly rinsecchita elargisce monologhi lamento si è i tre figli, Logan Lerman a parte, sono decorativi; Emma Watson, ahimè, conferma quelle 4 smorfie te che la rendono carina ma poco aderente ai ruoli tormentati. Hopkins incommentabile nel suo solito cliché di vecchietto rimbambito ma cool (Matusalemme forse è un personaggio troppo sacrificato) e Ray Winstone strabordante che declama proclami di guerra e pensa d'essere nel Signore degli Anelli.

Per favore, date ad Aronofsky solo copioni minimalisti e storie di riscatto e morte a budget ridotto. O almeno fategli mangiare una bistecca.

venerdì 11 aprile 2014

Il dramma del cinefilo ai tempi dello streaming

Premetto: non ho visto La Leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli.
E me ne rammarico. Ma ci torniamo poi.
In questi giorni, girovagando per la rete e vari social, ho notato un'impennata di discussioni su questo film (purtroppo distribuito poco e male all'epoca della sua uscita, circa un anno fa) e, facendo una veloce ricerca, ho ricondotto questo fatto alla sua 'diffusione' attraverso il noto sito di film in streaming cineblog01.
Come probabilmente saprete, cineblog01 è uno degli spauracchi dell'industria cinematografica, dove – splat – trovate i link attraverso i quali potete guardare comodamente sul vostro pc/tablet/smartphone in streaming film appena usciti in sala (solitamente qualità cam da vomito), che devono ancora uscire ufficialmente (spesso video ok e audio orrendo), o film già usciti in home video (qualità solitamente decente, dvd-rip). 
C'è anche una bella sezione di film in lingua originale con i sottotitoli, grazie a traduttori volontari e velocissimi che si adoperano su vari forum e siti, e che non ricevono mai abbastanza ringraziamenti (non parliamo poi del loro lavoro per le serie tv!).
Io ho un brutto difetto: tendo a non demonizzare nulla per partito preso, perchè ho sempre il timore di finire per assomigliare a Paola Binetti che sbava incazzandosi per i matrimoni gay o l'uso del preservativo.
Quello che mi fa un po' riflettere è l'atteggiamento di alcuni cinefili (sedicenti o riconosciuti, senza distinzione alcuna) che pontificano sulla natura demoniaca dello streaming salvo poi farne evidente uso, compulsivo o meno, per stare al passo con le uscite e farsi le loro belle recensioni-staus-post-note-videosuyoutube-sparateinbirreria-discorsiconlamamma.
Lo streaming (ma anche il download, sì) è un paradossale nuovo tabù sorto ai tempi di internet per i "veri cinefili", è a portata di tutti ma troverai sempre l'illuminato che finge di non saper neppure come di digitano certi indirizzi nella barra del browser, e che ha abbastanza milioni da vedersi tutto in sala e/o a nolo, in DVD o blu-ray.
Poi. Kaspar Hauser non l'ho visto. Nemmeno, credo, lo vedrò a breve. 
Non mi nascondo dietro una foglia di fico: vado spesso al cinema, così come ogni tanto mi guardo film in streaming oppure mi compro blu-ray (ahimè, come tanti di voi là fuori adoro possedere fisicamente i film che mi piacciono a scapito del bilancio familiare).
Prima di prendercela con qualcuno e stracciarci le vesti gridando allo scandalo però, facciamoci tutti un esamino di coscienza.
Nessuno può costringere con la pistola alla tempia le persone ad andare al cinema. E, se un film interessa davvero, al cinema ci si va senza che nessuno ti debba fare l'incoraggiamento alla visione.
Altrimenti a fare il predicozzo poi si diventa demenziali come il famoso e fortunatamente scomparso spot antipirateria “Non ruberesti mai una borsa-un'auto-un trattore leghista modificato in tank”...
Prima di fare i censori e i moralizzatori (azz, ora mi scatta l'orticaria) pensiamo a non essere degli ipocriti difensori dell'arte che magari contribuiamo a rendere antipatica con dei pipponi assurdi e con uno snobismo intellettuale, quello sì, brutto e deleterio.

giovedì 10 aprile 2014

Game of Thrones - S4E01 a fumetti :-)

Evviva! E' iniziata la quarta stagione di Game of Thrones!
Per molti (me compreso) iniziano le montagne russe tra aspettative, spoiler, sorprese, re-casting, passioni, amori, incazzature varie, personaggi che schiattano... insomma, George Martin!
Ecco alcune vignette che ho voluto dedicare ai principali avvenimenti del primo episodio che ci riporta nel magico (e un po' perverso) universo di Westeros...
[Sì, lo so: mancano Arya e il Mastino, ovvero i migliori: me ne occuperò più avanti]



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