“In fondo lui fa quello che piacerebbe fare a
tutti, anche a te”.
Ecco come si tronca qualsiasi discussione
(inevitabilmente critica) su Fabio Volo. Provate voi a continuare
dopo quella frase lapidaria. Devi tacere di fronte a chi ti ha detto,
e ci crede fermamente, quelle parole: non avrai mai il suo successo,
e ti piacerebbe – è logico che ti piacerebbe! - sia che tu stia
aspirando a fare lo scrittore, lo speaker radiofonico, il conduttore
tv o il tipo famoso senza particolari meriti (categoria che ahimè
sta assumendo dignità professionale).
Sono anni che ogni volta che esce un nuovo libro del
simpatico ex panettiere di Calcinate (nato non Volo ma Bonetti), tutti si scatenano nel dibattito
“intellettuale” (virgolette d'obbligo). Che è parte invariabile
del suo successo. Essenziale, inestimabile: far discutere = vendere.
Matematico, anche se chi si scaglia coi dardi fiammeggianti spesso se
lo dimentica. Hai un bel dire che quei libri sono fuffa, spremute di
banalità, concentrati d'ipocrita paraculismo
buonist-cerchiobott-sentimental-generazionale. Continua ad inventare
offese creative, azzeccate e squisitamente letterarie. Intanto, ogni
minuto che passa, Fabio Volo vende una copia del suo romanzo.
Fabio Volo non è il problema. Anzi, si merita il suo successo. E' quello che spesso non riesco a spiegare nelle
conversazioni, incartandomi nella difesa (non necessaria e
ininfluente, spesso deleteria) della “vera” letteratura. Siamo al
punto in cui se in una conversazione del genere citi, che so, Ignazio
Silone come esempio alto, bello, significativo, giusto e (dunque)
migliore di scrittura espressa dal nostro Paese provochi lo sbuffare,
il rotear d'occhi e ti guadagni l'etichetta di intellettualoide snob.
E' il primo step, poi sei invidioso. E poi fallito.
Vediamola con occhio freddo e lucido. Volo è la
materializzazione dell'Italian Dram: ottenere soldi e successo “senza
fare un cazzo”. Che poi lo sappiamo che non è vero. Lui ha
capacità, parlantina, senso degli affari, faccia tosta, curiosità e
intuito, roba che milioni di persone là fuori si sognano. Ma,
dicevo, l'Italia ha l'Italian Dream poc'anzi esplicitato. E Fabio
Volo è la materializzazione di quel sogno. Nell'idea di un sacco di
gente lui si diverte spensierato prendendo soldi per fare
trasmissioni tv girando il mondo, facendo radio dicendo minchiate,
scrivendo libercoli sul niente (vabbè, questo è un po' vero). Quel
“non fare un cazzo” con cui ci piace etichettare chi fa un lavoro
creativo, di comunicazione o che comunque ha una facciata leggera di
cui non vediamo il backstage. Quindi, Volo è l'esempio che fa
sbavare perchè, “non fa un cazzo, prende soldi ed è famoso”.
Ideale che, a quanto pare, è la massima aspirazione dei nostri
conterranei.
C'è poi il fattore empatia. Volo non è troppo bello,
non è colto da far paura, non ha addosso troppa spocchia e conserva
quell'atteggiamento da amicone che puoi incontrate al bar in ogni
momento. Non è un modello inarrivabile, insomma. E' anzi piuttosto raggiungibile.
Magari chi guarda a lui non sogna di fare le stesse cose – non
pensa di avere le stesse capacità, si imbarazza alla sola idea di
stare davanti a un microfono – ma guardando verso di lui si sente
rassicurato, capisce che è possibile, nel nostro Paese, anche in
queste condizioni, che qualcuno si realizzi facendo ciò che gli
piace o comunque cose che non implichino
fatica/sudore/impegno/sacrificio. E' una idea che piace, quindi Fabio
piace come idea, come persona e come prodotto (lo compro, lo
sostengo, mi rassicuro, contribuisco a confermare quest'idea che mi
porta a comprarlo e vivere felice).
Da qui ad analizzare il vero problema il passo è
breve e, spero, anche comprensibile. Il rischio è che quella
letteratura da supermercato che viene prodotta da Volo et similia
(perchè mica vogliamo escludere animali da reality/talent, pornostar
redente e via discorrendo) venga sempre di più assimilata, da sempre
più persone, alla letteratura propriamente detta e come tale
considerata. Certo, uno può partire con i paragoni tra fastfood e
slowfood, ma il problema è che, trend e clientele specializzate a
parte, vediamo sempre più gente andare al Mac piuttosto che dal
quattro stelle Michelin. E non è solo questione di soldi. Quello che
gli snob chiamano “imbarbarimento” è quello che semplicemente si
chiama cambiamento: e come il più forte mangia il debole, nella
società la massa ghettizza la minoranza. Quindi, a meno di non voler
fare i martiri dell'intellighenzia arroccati nella torre di Mordor,
occorre superare la fase della presa per il culo e della scrollatina
di spalle verso Fabio Volo e iniziare a capire come affrontare in
maniera utile il fenomeno.
Purtroppo non credo che la stragrande maggioranza
dei lettori di Volo poi, nel corso di uno/due/tre anni, prenda in
mano un libro vero. In questo, i suoi romanzi sono l'equivalente dei
film di Vanzina-Pieraccioni-Zalone: c'è un'Italia che legge i libri
di Volo e gli altri blockbuster-panettoni di personaggi tv o di
scrittori imposti dalla tv, ma che non va oltre. E si parla di numeri
altissimi. Non so se a questo punto si possa pronunciare la
frase-illusione “Sempre meglio leggere che non leggere” o la
variante “Se uno legge merda poi magari passa a qualcosa meno di
merda”. Non ci credo più: si legge merda e ci si ferma alla merda.
Convinti che sia letteratura. E questo è il dramma.
Il dramma è anche che c'è merda e merda (insomma,
non paragonerei mai Sasha Grey a Fabio Volo, per ovvi motivi e per
motivi anche meno ovvi) e che la capacità critica dovuta a tempi di
approfondimento ed analisi è molto bassa, con la conseguente
confusione, carenza di attenzione e caduta nello stesso calderone.
La prossima volta che vi trascinano in una
discussione su Fabio Volo, invece di arrampicarvi sugli impervi
specchi dell'alta letteratura, fate così: dite “Ha il successo che
perfettamente si merita in questa società svuotata di valori,
aspirazioni, senso morale e civico. Ma preferisco il romanzo di Sasha
Grey”. Lascerete tutti perplessi, poco determinati ad approfondire
e avrete spostato il discorso su qualcuno molto più interessante.
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