Ah, Scorsese, Scorsese. Invece di starsene buono,
restaurare i vecchi film, fare i documentari sugli Stones, a 72 anni
continua a voler fare pellicole fuori di testa, provocatorie, bigger than
life.
Così come esagerata è stata la vita del
protagonista di questo biopic, perchè di biopic sotto acido si
tratta: Jordan Belfort, uno che da Wall Street è poi diventato il
broker con meno scrupoli e più droga in corpo d'America. Ma anche
con tanti, tanti soldi. Tanti da perdere la testa e ovviamente il
controllo. Un folle, una lurida canaglia, un truffatore dal grande
carisma, un esaltato, un uomo con una visione (rubare ai fessi per
intascarsi i loro soldi), uno che ricompensava alla grande i suoi
collaboratori, alle volte salvati letteralmente dal marciapiede. Un
sogno americano in una bolla di sapone, durata sorprendentemente
tanto, oltre cinque anni, prima che le forze dell'ordine potessero
fare qualcosa. In mezzo, successe di tutto.
Nella sceneggiatura di Terence Winter (uno che ha
scritto I Soprano e Boardwalk Empire, eh!) c'è ben poco di
romanzato: tutte le cose che vediamo sullo schermo sono veramente
accadute, e questo le rende ancora più folli, ridicole, inquietanti
e pazzesche mentre le osserviamo.
Elicotteri che atterrano davanti alla porta di casa
facendo scattare ogni possibile allarme, nani lanciati come freccette
in ufficio, masturbazioni en plen air, sessioni di droga colossali e
pisciate su documenti dell'FBI... tutto realmente accaduto. Leonardo DiCaprio
parla di Belfort come un moderno Caligola, e la definizone calza a
pennello.
In America è subito partita la tiritera del 'ma è
un protagonista con il quale non si empatizza, è un grosso difetto'.
Un grosso difetto? Calma, qui non stiamo parlando di Alex De Large,
questa non è fantascienza sociale o una metafora: è qualcosa che è
accaduto davvero, e che probabilmente, da qualche parte e in qualche
altro ambito, sta accadendo anche adesso. Ok, Zuckerberg non è stato
così esagerato, infatti The Social Network è noiosamente precisino
(anche se è un bel film, intendiamoci)... Qui non si deve
empatizzare con personaggi di fantasia, qua si cavalca un cavallo
imbizzarrito, si parla di uno che
fa correre leoni tra i corridoi,
non capisce perchè la legge gli dia la caccia e pensa che fregare i
più fessi sia praticamente giustificato da una legge naturale. Si
ride di lui e con lui, ma l'inquietudine regna sovrana. Come per la
frase di lancio d'epoca di Non aprite quella porta: E' tutto vero...
è tutto vero... è tutto vero!
E alla fine, proprio alla fine, c'è un pazzesco
inside joke: il vero Jordan Belfort, il genio del male della truffa,
il drogato, immorale, fedifrago, schizzato Wolf of Wall Street, passa
la parola a se stesso sotto le sembianze di DiCaprio, come
a glorificare la propria attuale attività di guru motivazionale
(meditate, gente) per convention ed aziende. Fregandosi le mani di
starsene all'estero (lì la Nuova Zelanda, verosimilmente lui se ne
sta in Australia) dopo soli 22 mesi di reclusione in un carcere con i
campi da tennis, e soprattutto dopo aver restituito poco più di 10
milioni di dollari alle sue vittime a fronte di oltre 110 milioni
intascati.
Ah, quanto mi piacerebbe sapere cosa vuol fare nella
vita adesso chi lo ascolta per farsi motivare.
Un epitaffio perfetto per una pellicola che non
riconcilia per niente, e che dividerà moltissimo.
E va bene così.
[P.S. Il film è DiCaprio-centrico e lui si fagocita
tutti, Rob Reiner è grande ma sprecato, le musiche sono come al
solito scelte con cura e c'è pure Gloria di Tozzi quando entrano in scena gli
italiani...]
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