C'è un cinema che si avvicina moltissimo alla vita
reale, la contempla e la rende addirittura più viva e pulsante della
realtà stessa sbattendoci in faccia l'eccezionalità delle cose
quotidiane, che spesso vediamo con occhi superficiali, svogliati,
disinteressati e poco curiosi. Specie se si tratta della vita degli
altri.
Quello che Abtellatif Kechiche compie con La vita di
Adele (La Vie d'Adèle, ma
anche Blue is the warmest color)
è un miracolo in bilico tra l'arte naturalistica e il cinema nella
sua accezione più nobile. Utilizza infatti il mezzo della settima
arte per raccontare la vita.
E che vita: credetemi, ho visto più vita nei
personaggi di Adele che in certe persone reali.
E' curioso che Adele sia, nei fatti, un cinecomic:
è tratto (molto liberamente) dalla graphic novel francese Il blu
è un colore caldo di Julie Maroh, che il regista sceglie non a
caso di tradire fin dal titolo. Il racconto di Kechiche non è
infatti un romanzo di formazione incentrato sulle tematiche
omosessuali, la discriminazione, la lotta e l'accettazione di sé: è,
come limpidamente il titolo squaderna, la vita di una ragazza di nome
Adele – dove a “vita” si sovrappone “amore”, in ogni sua
sfumatura, ovvero l'unica cosa che valga di essere raccontata.
Vediamo la nascita delle sue pulsioni, l'oggetto del
desiderio, il corteggiamento, il raggiungimento, la routine, il
dramma, la fine: momenti sempre dipinti con una cura maniacale nel
giocare in leggerezza e sottrazione nei dialoghi, ma di mostrare fino
all'esasperazione i singoli momenti capitali di questa storia, di
questa vita, senza timore alcuno con le immagini, con picchi di
lirismo da spezzare il cuore. E in tutto questo, non c'è l'ombra di
maniera o formalismo.
Una direzione d'attori incredibile, con una Adèle
Exarchopoulos semplicemente indescrivibile: i primi piani insistenti,
onnipresenti seppure mai soffocanti, catturano ogni sua minima
espressione che mai, e dico mai, appare artefatta o frutto di
recitazione impostata. Se sia un dono o un caso, o semplicemente un
incontro del destino tra pellicola, autore e interprete, questo
rimarrà un bel mistero, e va bene così. Anche Lea Seydoux offre una
grande prova, ma di fronte – vedere per credere – all'immensa
rappresentazione che Adele fa di Adele (!) ogni altro aspetto passa
in secondo piano.
Insomma, un'opera-esperienza da vivere e assorbire
ad ogni costo. Anche se non tutto torna, com'è giusto, com'è
probabilmente pianificato. I genitori di Adele che spariscono dalla
scena, la mancata problematizzazione dell'omosessualità (risolta in
un litigio a scuola? Solo questo? Magari fosse sempre così), le
scene madri che – giusto un paio – alle volte rischiano di
sembrare troppo “madri”... un clima un po' borghese e
pulito per un contesto che avrebbe potuto essere dipinto in altro
modo, rendendo anche il mondo che sta intorno ad Adele ed Emma vivo e
pulsante quanto la loro relazione, che però, è essenzialmente
quello che interessa a Kechiche. Le emozioni come il sesso, esplicati
e rappresentati nei dettagli ma non aridamente spettacolarizzati. L'amore,
probabilmente. Il tradimento, visto come intrinseco e ineluttabile in
una storia iniziata con il desiderio ardente e qualcosa che manca
all'interno (non per nulla si inizia sui banchi di scuola con una
spiegazione sul “colpo di fulmine”). Con Adele che non sa perchè
lo ha fatto, con Emma che ipocritamente nega ma che sapeva benissimo
di essere prossima a farlo a sua volta. Così inizia e così finisce,
come ci aspettiamo, quasi. Ma con un universo, prima, in mezzo e
dopo.
Altra nota di rilievo: si vede a malapena il
cellulare, nessun flirt via sms, nessuna email, niente foto da
taggare, niente status su Facebook per ingelosire. Siamo nel 2013 (si
balla pure su Likke Li) ma, necessariamente, si deve rimanere fuori
da tempo. Una scelta di campo del regista francese che parla chiaro.
Nei sentimenti, come negli horror e nei gialli, la tecnologia è
sempre la nemica.
E se nella vita reale si piange tanto per amore,
figuratevi quanto si piange qua. Praticamente, se qualcuno avesse
voglia fare il conto dello screen time delle lacrime sul volto di
Adele, la mia sensazione è che potrebbe essere una buona metà di
pellicola. E credo che alla fine le lacrime potrebbero persino
guadagnarsi il nome sulla locandina. Ma anche qui, nessuna
esagerazione, e noi che viviamo nel paese delle sceneggiate plateali
ben sappiamo distinguere lo stile dallo sbraco.
Cercate di vedere La vita di Adele. Prendetevi tutto
il tempo necessario. Immergetevi. Aprite il cuore. Pensate che là
fuori ci sono persone vere che vivono così i loro sentimenti. Che,
intelligenti o meno, colte o meno, pronte a cogliere le occasioni,
fedeli, amorevoli, talentuose, ordinarie o meno che siano... ci sono.
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