La
formazione professionale continua è un obbligo anche per i
giornalisti, e dopo le direttive dell'Ordine nazionale, ogni realtà
regionale sta mettendo in piedi corsi per i suoi iscritti.
Qui
in Toscana le cose vanno relativamente bene, anche se più corsi
online e gratuiti sarebbero graditi (ma su questo tema, c'è una petizione online di respiro nazionale che vi invito a firmare).
Sabato scorso, a Castiglioncello, si è discusso di informazione nel
mondo dello spettacolo dal vivo. Un particolare giornalismo
settoriale che ha visto in modo progressivo il suo spazio
assottigliarsi e il suo esercizio diventare passione.
Quindi
parlerò di questo, nel post? Assolutamente no, caro lettore. Siccome
siamo una categoria vivace, polimorfa e perversa, è possibile che un
corso di aggiornamento non vada come previsto e tratti solo in minima
parte l'argomento di partenza. Quelle dei corsi di formazione sono
anche e soprattutto occasioni per parlare, confrontarsi, sfogarsi e
ascoltare. Cose che, per stessa ammissione di chi ha più esperienza,
non sono mai state all'ordine del giorno.
L'argomento
è: i corsi di formazione. La domanda da un milione di dollari è:
come si fa vera formazione ad una categoria dove si fa a gara a chi è nato più imparato degli altri, dove tra colleghi ci si s(u/o)pporta
a malapena e dove si sbuffa non appena qualcuno vuole insegnarti
qualcosa? Personalmente ritengo che la formazione sia non solo utile,
ma necessaria. Ovviamente, dovrebbe essere messa in atto in forme dalle quali siamo distanti anni luce (e che forse non raggiungeremo
mai).
Per
carità, etica, deontologia, privacy, videoediting, critica
televisiva sono cose importanti. Ma la sfida più immediata per la nostra
professione è quella della sopravvivenza a ciò che è stato lo
tsunami degli ultimi anni: la proliferazione della professione online
(anche in modo selvaggio), l'esercizio indiscriminato di strategie
per rendere il giornalismo un bene commerciale come qualunque altro,
il blogging mascherato da notizie verificate, le strategie di
marketing per rendere la scrittura un mero esercizio di SEO e SERP.
Per
chi non avesse ben presente il quadro della situazione, ci troviamo
ad un punto in cui alla maggior parte degli iscritti all'Ordine deve
essere spiegato cos'è e come si usa internet, scendendo poi nello
specifico del funzionamento di testate online, blog, social,
eccetera. A chi già usa gli strumenti e ne ha acquisito un minimo di
dimestichezza, bisognerebbe però anche far capire che la fantomatica
“rivoluzione” tirata in ballo a destra e a manca è soprattutto
culturale e di identità professionale.
Perchè
dovrebbe esistere ancora un giornalista se andiamo sempre più verso
un'informazione dove chiunque abbia le dita per battere su una
tastiera si vende (si fa per dire, ci fosse qualcuno che paga...) al
pari di chi ha fatto un percorso professionale, ha un'esperienza
acquisita e conosce i “suoi” diritti/doveri? Questa è la
risposta che dobbiamo provare a darci quanto prima. Per avere una
base concreta dalla quale (ri)partire.
Vogliamo
parlare di settoriale e di approfondimento, quando ben sappiamo che
questa rimarrà una fetta importante ma minoritaria del panorama del
giornalismo? Ha ancora senso parlare di carta stampata e di web come
realtà contrapposte? O magari dobbiamo renderci conto che siamo,
prima di tutto, una categoria che deve recuperare autorità, dignità
lavorativa?
In
ogni settore giornalisticamente affrontabile vanno combattuti i
fenomeni che hanno tolto qualità e rispetto alla nostra professione.
Penso che non ci sia bisogno di esempi, ogni giornalista potrebbe
riportarne a centinaia (salvo poi, magari, cadere in comportamenti
che altri stigmatizzano a ragione). Per troppo tempo tanti
giornalisti – soprattutto quelli che spesso “portano il vessillo”
in giro - sono rimasti adagiati sugli allori di una rendita di
posizione che non ha fatto che generare confusione, insicurezza,
disoccupazione, scarsa innovazione e nessuna voglia di confrontarsi
coi tempi che corrono. Questo detto senza cercare aride colpe o
responsabilità, sia chiaro. Però mai come adesso, l'espressione
“scendere dalla torre d'avorio” è azzeccata. Consiglieri
dell'Ordine Nazionale, siete in ascolto?
Eppure
(e non è una provocazione) ora più che mai è inutile
lanciare anatemi contro l'Ordine dei Giornalisti e sbraitare per
l'abolizione. Un Ordine serve, anzi è necessario. Ma un Ordine al
passo coi tempi, veloce e combattivo, che tuteli davvero chi lavora
correttamente (o chi vorrebbe lavorare) e punisca chi contravviene
alle regole. Lo so, è fantascienza. O forse è fantascienza adesso,
ma sarebbe meno fanta e più scienza se la consapevolezza che il
futuro incombe spingesse tutti a passare dalle parole ai fatti.
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