La
serie tv di Fargo è arrivata alla fine.
Il
giudizio è complesso: grande qualità e intrattenimento di alta
classe, certo, ma anche una miniserie in 10 episodi che ha faticato a
trovare un'identità ed una coerenza interna.
L'andamento
rapsodico legato soltanto dal sottile filo dell'indagine della
caparbia Molly Solverson (Allison Tolman) sull'ambiguo Lester Nygaard
(Martin Freeman) ha finito per essere un palcoscenico per
l'istrionico Billy Bob Thronton nei panni dell'assassino multiforme
Lorne Malvo.
Una
figura archetipica, fortemente metaforica (come i fratelli Coen insegnano) ma
forse un po' troppo compiaciuta e irrisolta, sebbene dal forte
carisma.
Fargo
è un prodotto che si è fin da subito rivelato molto legato al
prototipo cinematografico, e che ha confermato pregi e difetti del
voler trasportare una filosofia prettamente da grande schermo come
quella dei Coen (una storia esemplare e circolare in due ore) su
quello piccolo.
Non
tutto è perfetto. Soprattutto quando si cercano di portare nella
serialità le ellissi e i paradossi coeniani, con il risultato che
certi personaggi rimangono in sospeso (il killer sordomuto),
meccanici e banali (Bill), superflui e irritanti (i due agenti
dell'FBI).
La
serie, nello spirito, rimane fedele e rispecchia quello strisciante
nichilismo e il pessimismo che erano proprio del Fargo cinematografico.
I
soldi e l'avidità rovinano la vita, il delitto comporta sempre un
castigo, le circostanze rendono l'uomo gretto e spietato, la
redenzione è quasi impossibile, la violenza chiama sempre altra
violenza in una spirale dolorosa e paradossale.
Al
tempo stesso, la serie esalta le qualità della “gente comune” e
dipinge un microcosmo dove chi rimane fedele alle proprie idee e ai
propri valori, soprattutto quelli semplici ed essenziali, ne esce
vincitore (o comunque vivo).
Un
esperimento di connubio cinema-tv interessante, perché non si limita
ad essere un semplice sequel o remake (sebbene ci sia una strizzatina
d'occhio ad una continuity con la pellicola, per chi la becca), ma
un'opera che dialoga in modo interessante con il modello di
riferimento.
Opera
di alta tv che non raggiunge l'eccellenza ma intrattiene con grande intelligenza, cercando coraggiosamente di premere qualche
tasto che mina la classica struttura televisiva: vedi le digressioni
narrative, il gusto del racconto di aneddoti, le frasi e le
situazioni non spiegate ma affidate all'interpretazione soggettiva
dello spettatore.
Cast
superbo e affiatato, regia puntuale e geometrica, scrittura eccellente hanno fatto il resto: da vedere, con la consapevolezza
che forse si troverà l'insieme al di sotto del valore delle sue
singole componenti.
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