Paolo
Sorrentino è l'uomo del giorno.
Ha vinto l'Oscar.
La Grande
Bellezza tiene banco da mesi nel dibattito socio-culturale
italiano. Quando il film è uscito ha diviso la critica, quando era
un potenziale candidato alla statuetta ha sollevato dibattiti, quando ha
rastrellato consensi e premi internazionali abbiamo cominciato tutti
a scannarci su ogni mezzo possibile (da Twitter agli autobus, dove
sono stato personalmente bastonato a sangue da un sosia di Toni Servillo
che non era andato al cinema ma non accettava critiche sullo stesso).
La discussione è arrivata a livelli tali che ha coinvolto chi il film lo ha visto e (/ma)
soprattutto chi non lo ha visto; chi deve difendere il cinema italico
perchè sì e chi, novello George W. Bush, se critichi qualcosa di
italiano che va i giro nel mondo allora sei un traditore, un
terrorista, uno che non merita di mangiare spaghetti, né di suonare
il mandolino o di portare i baffi. E non pensarci neppure di andare
ad una festa cafona, parlare di letteratura e avere velleità
proustiane. Se poi vuoi guardare Roma con altri occhi, ti cavano gli
occhi. Per cui, meglio se nascondi anche la tua collezione dei film
di Fellini perchè potrebbero finire al rogo.
Tolta
di mezzo la folle verve da Patriot Act, sgombriamo il campo da un
altro dei primissimi luoghi comuni che piacciono tanto ai nostri
connazionali, esemplificato dalla frase: “Eh, ma è un film che si
ama o si odia, non c'è via di mezzo”.
Prego?
Shortcut per evitare qualsivoglia civile scontro dialettico che possa
schiodare dalla propria radicata semplificazione critica, questa
uscita è irritante quanto Sorrentino che parla inglese.
Forse
affrontare criticamente un'opera analizzando sia pregi che difetti è,
nel sentire comune, un'onta peggiore della stroncatura lapidaria, che
perlomeno (sempre secondo quest'idea) può lasciare la curiosità di
andare a vedere se il giudizio estremo sia vero.
Ma
dosare il bianco e il nero rischiando di ottenere del grigio; guai!
Lesa maestà al genio che ha partorito l'opera.
Intendiamoci:
La Grande Bellezza ha indubbi meriti come difetti altrettanto
evidenti.
E non c'è nulla di male nell'ammetterlo. Come le
precedenti opere del suo autore, coniuga una personalissima poetica
ad una rappresentazione assai barocca con aspirazioni artistiche
tanto alte quanto sbandierate. Vive di momenti evocativi e suggestivi,
anche divertenti, quanto di punti troppo criptici o poco risolti. Ha
interpretazioni di grande spessore e altre meno azzeccate, e una
parte finale un po' tronfia che rischia di far dimenticare quanto di
buono costruito in precedenza.
Sono giudizi ovviamente soggettivi,
certo, ma anche lucidi e molto onesti. Non me la sentirei mai di
consigliarlo a qualcuno gridando al capolavoro, altro sport nazionale
praticato da moltissimi, specialmente quando c'è “l'endorsement”
di qualche premio straniero o ancor meglio dell'Oscar...
Ma
anche chi dice che “E' un film studiato su misura per piacere agli
americani” si sbaglia. Certo, ricalca atmosfere e omaggia in
maniera imbarazzante uno dei nostri maestri più amati (e premiati)
oltreoceano. Non c'è niente di male a rifarsi ad un mito del cinema
come Federico Fellini. Il confronto però, è sbagliato perchè...
diamine, riguardatevi La Dolce Vita e poi (se ce la fate), La Grande
Bellezza. Davvero, non me la sento neppure di commentare oltre. Il
paragone non è impietoso, semplicemente non si pone: anche se
entrambe le pellicole descrivono in maniera iperreale un ambiente,
ridefinendone i confini con fare sornione e ambizioso. Quello che
piace agli stranieri, forse, ma mica a tutti.
La Grande Bellezza non
è una sequela di cartoline di Roma, panorami mozzafiato e
bellezze a iosa. C'è una descrizione, esagerata e impietosa, di
un'umanità che si dibatte tra miseria (intellettuale, morale,
corporea e patrimoniale) e nobiltà decaduta, con pochissimi sprazzi
di speranza. Che questa paradossalmente sia affidata a un cinico
viveur che ritrova (forse) parte della sua umanità alla fine del suo
percorso esistenziale, è assai significativo. In mezzo, però, ci
stanno forse troppe cose e non tutte abbastanza a fuoco. Ma, insomma,
ognuno è in diritto di vederci quel che vuole. Ciò che è certo è
che Sorrentino se la ghigna, scrive e gira per scene “visivamente
madri” studiatissime e spesso risulta autocompiaciuto. Che questo
sia un bene o un male, in un Paese dove a moltissimi piace guardare
gente che si ammira allo specchio e si dice/canta/scrive quanto è
bella e intelligente, è tutto da valutare.
Il
problema non sono tanto i critici – blasonati e non, che tanto
ormai poca differenza fa – la cui onestà e coerenza intellettuale
spesso sono ondivaghe: sono certo che qualcuno è già tornato sulle
sue posizioni o sta già annacquando quanto espresso all'uscita nei
nostri cinema per far crescere una nuova gaudente disamina.
Il
problema è quell'atteggiamento gladiatorio che, quando si presentano
casi come questo, assale ogni singolo cittadino interessato ad
esprimere una qualsivoglia e pur legittima opinione snudando la spada
per difendere quell'italianità che – eccoci al nocciolo della
questione – è quell'italianità un pochino distorta, disillusa,
piagnucolante e autocritica che piace assai al di fuori dei nostri
confini. C'è poco da eccepire su questo punto: la propaganda del
“Paese d' 'o sole” è ridicola, ma anche il nostro istinto a
ritrarci come concentrato di ogni indolenza, vizio, decadenza e
assenza di etica – se non MOLTO in fondo, non è che giovi in modo
considerevole alle velleità artistiche italiane, che tanti
promuovono smadonnando in ogni dove per erigere altari a Paolo
Sorrentino.
Ci
sono in particolare quei mitomani che, come quando l'Italia
calcistica vince i Mondiali, allora (ri)scoprono che l'Italia è un
paese bellissimo, buonissimo, ricco di talento e POPPOROPPOPOPPORO
noi siamo i meglio checciabbiamoavutodantemichelangelogalileo –
anche se manco sa dove stanno di casa la letteratura, la scultura la
pittura la filosofia e l'astrologia – allora tutti gli altri ce lo
puppano. (E' una definizione di senso compiuto da leggere in un'unica
emissione di fiato).
I mitomani celopuppari sono la de-evoluzione dei
tizi del havintostaizittochoragioneio. La cosa grave è che,
ovviamente, gridano (o scrivono, o almeno ci provano) proclami
sconnessi del tipo “E bravo Sorrentino che ai vinto e spero che il
nostro paese si ricordi della grandezza che è stato grande per cui
tutti rinbocchiamoci le mani che qui siamo ancora a poter fare delle
grandi cose, basta metterci il cuore, siamo la terra dei geni
geniali, viva l'Italia che a insegniato al mondo a fare tutto e
insomma gli altri ce lo puppano!!!!!!”.
Posto che, se la base del
ragionamento sono gli Oscar, noialtri come Paese abbiamo puppato per
anni e anni da nazioni che questi nostri connazionali nemmeno sanno
dove stanno sulla carta geografica, la loro retorica si disinnesca
comunque da sola... anche se è fastidiosa, adesso non potete provare a farglielo capire.
Magari
aspettate che si vedano il film, e lo trovino una puttanata noiosa e
incomprensibile.
Cosa
che comunque non è.
Insomma,
se non lo avete ancora fatto guardate La Grande Bellezza, ma poi non venite a lamentarvi se non
v'è piaciuto e non ci dormite la notte.
L'Academy al telefono non vi
risponderà per dirvi cosa ci ha trovato.
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