La
politica, questa sconosciuta.
Per quanto il cinema, la letteratura e
la tv da decenni continuino a ritrarla come la più sporca, falsa,
orribile attività umana, la realtà riesce a fare sempre di peggio.
Nonostante
questo, gran parte del pubblico è sempre pronta a meravigliarsi,
quando si va a mostrare con la macchina da presa – o la penna -
quello che accade dietro le quinte del teatrino perbene e
rispettabile della politica. O almeno, di quella politica che ancora
almeno un teatrino di facciata ce l'ha, non come accade in Italia...
E'
arrivata da noi, trasmessa da Sky, la prima stagione di House of Cards,
tratta da un celebre romanzo di Michael Dobbs (datato 1989) già
tradotto per la tv nel lontano 1990 dalla BBC inglese. A tirare le
fila c'è Beau Willimon, uomo di teatro e autore del testo alla base
di Le Idi di Marzo, bel thriller politico di George Clooney. L'opera
ha sconvolto il panorama della serialità, essendo prodotta da un
certo David Fincher per il canale online di streaming Netflix, ormai
vero e proprio concorrente delle tv “vecchio stile”.
A
partire dal testo di Dobbs (di esperienze repubblicane) gli autori di
House of Cards mettono in scena le macchinazioni del capogruppo al
Congresso del Partito Democratico Frank Underwood e della sua lenta,
inesorabile e articolata “vendetta” nei confronti del Presidente
degli Stati Uniti, reo di non averlo nominato da subito Segretario di
Stato.
Una
storia personale, quindi, alla quale solo qualche volta si affaccia
la descrizione dell'attività politica a tutto tondo, sempre e comunque
strettamente legata a ciò che Underwood si propone di fare (oppure
ottenere). Esigenze narrative a parte, sembra infatti che Frank
riesca a dedicarsi a tempo pieno alle sue losche trame senza lavorare
mai per il Congresso. Ma questi sono dettagli: anche perché, per lo
spettatore, lo spettacolo è assicurato, i colpi di scena ben
assestati e la soddisfazione di vedere quanto la strategia a lungo
termine dà i suoi frutti è un elemento che rende la serie un
gioiello.
Cosa
ci insegna House of Cards, al di là delle ovvie esagerazioni e delle
strizzatine d'occhio al pubblico? Esattamente quello che ci insegna
Game of Thrones: i cattivi vincono o riescono comunque a mantenere il
potere, mentre chi è onesto, chi è fragile e di buon cuore o chi
cerca la verità nel migliore dei casi è una pedina e deve ingoiare
rospi, mentre nel peggiore finisce stritolato dal sistema, se non
addirittura in una cassa da morto.
Barack Obama
ha pregato i suoi milioni di follower di non spoilerare niente e di
lasciargli vedere la serie in pace (ergo: piacere narrativo),
qualcuno a casa nostra invece ha suggerito ai suoi uomini di
studiarsela come scuola di politica (ergo: testo formativo).
Al di là
dell'idiozia della seconda ipotesi, è chiaro che House of Cards, se
mai, rappresenta tutto ciò che la politica NON dovrebbe diventare.
Inseguire
il potere per il potere, giocare con le vite e le carriere altrui per
arrivismo personale, la totale assenza di scrupoli per raggiungere i
propri obiettivi... sono quello che spesso la politica è e che
invece non dovrebbe essere. House of Cards in alcuni tratti è pura fantapolitica e
risolve le situazioni in maniera semplice, ma non si può non pensare
cosa accadrebbe se davvero la maggior parte di chi si dedica alla
carriera pubblica agisse in certi modi machiavellici.
Come
nel caso dell'Alex di Arancia Meccanica, in questa serie siamo
chiamati a subire il fascino di un protagonista assolutamente
negativo (narcisista, amorale, bugiardo, manipolatore) ma dalla
chiare, ammirevoli qualità (dedizione, visione d'insieme, carisma,
intelligenza).
La
cosa si fa ancora più difficile perché Frank Underwood,
interpretato da un attore gigantesco come Kevin Spacey (che da solo
vale la visione) ci interpella direttamente. Qui si vede la
provenienza teatrale di Willimon: Frank rompe spesso e volentieri la
quarta parete, ci guarda, ci sorride, ci mostra i denti, ci spiega
cosa pensa e quali sono i “segreti” del mondo della politica. Che
sia in mezzo ad un colloquio, ad una cerimonia, alla Casa Bianca, non
importa: il tempo si ferma e lui ci parla come fossimo lì con lui.
Espediente
ruffiano, facilone e potenzialmente pericoloso, capace di far
deragliare la credibilità dello show, e che invece si rivela la
carta vincente. Oltre all'altissima qualità della messa in scena, la
scrittura e la sapiente scelta di interpellare lo spettatore per dare
più spessore emotivo ad un personaggio spesso freddo, cinico e
distaccato si rivela il colpo che mette K.O. la concorrenza. House of
Cards è Kevin Spacey, non ce ne vogliano gli altri attori.
Robin
Wright è Claire, la moglie di Frank, e i due sembrano legati da un
accordo di reciproca convenienza che viene da lontano, nonostante tra
loro esista davvero un forte sentimento. Anche lei non è certo una
bella persona, basti vedere cosa combina con la sua no-profit CWI,
eppure ci conquista, sebbene non come il marito.
Altro
personaggio importante è Zoe Barnes (Kate Mara), giovane giornalista
ambiziosa che vive l'intera parabola che va dal sogno alla
disillusione nel corso della stagione. Prima profeta del giornalismo
web contro la vecchia carta stampata, poi strumento (inconsapevole)
di Frank e sua amante, infine minaccia alle macchinazioni del
politico grazie alle indagini da reporter d'assalto. A differenza di
Underwood, agisce senza scrupoli per combattere le sue battaglie
senza ragionare troppo (registrare un'offesa del capo e metterla sui
social network) e dimostra di essere abbastanza immatura, sebbene la
sua consapevolezza cresca con l'andare degli episodi.
Del
deputato Peter Russo (Corey Stoll), non voglio dire troppo perché è
la figura più umana di tutta la serie e quella verso la quale
proveremo i sentimenti più forti: vedere per credere (e soffrire).
Ho
scritto un po' troppe parole, e forse altre ne servirebbero, ma la
conclusione è ovvia: House of Cards è un prodotto imperdibile ed è
entrato di diritto nel gotha delle serie tv memorabili e da seguire
assolutamente.
Intrattenimento
d'alta scuola e decine di spunti di riflessione sul mondo della
politica e su come ce lo raccontano: che volete di più?
E adesso? Puoi leggere:
- Il pilot del "misterioso" The Leftovers
- Fargo, la recensione della prima stagione
- Giudizio sulla stagione 1 di Gomorra
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