Parlare
di economia non è mai semplice. È un argomento importante che
spesso spaventa il pubblico. Pensate allora quando il giovane regista
Robert Kornbluth è andato in giro cercando finanziamenti per un
documentario sulla progressiva sparizione della classe media e
l'inasprirsi delle disuguaglianze sociali in America.
Alla
fine c'è riuscito con il crowdfunding e con qualche sponsor (tra
cui, di sicuro, Mini-BMW) e il lavoro è eccellente. Un film (Inequality for all) la cui
visione è consigliata a tutti: rappresenta un saggio di chiarezza
espositiva, leggerezza istruttiva nel trattare temi complessi e
importanti e, non ultimo, lancia un messaggio positivo non facendo
del catastrofismo ma invitando a riflettere. Il successo meritato è
arrivato dal Sundance Festival e da moltissima stampa internazionale.
A
farci da cicerone in questo breve ma utile viaggio è Robert Reich,
brillante professore dell'Università di Berkley in California ed ex
ministro del Lavoro nel primo mandato presidenziale di Bill Clinton
(amministrazione controversa ma che sotto il profilo del welfare
operò bene). Con umiltà, (auto)ironia e intelligenza, Reich –
autore del libro che ha ispirato il film - ci spiega in modo sereno
cosa è accaduto per ritrovarci a vivere peggio di come stavamo 40
anni fa... tutti tranne l'1% della popolazione.
L'esempio
americano non è per niente distante dalla realtà dei Paesi europei,
e anche del nostro. Alla fine del dopoguerra e del boom economico, è
accaduto qualcosa. Dalla fine degli anni '70, gli stipendi del ceto
medio si sono livellati e non sono cresciuti in proporzione al costo
della vita in salita costante. Abbiamo assistito a globalizzazione,
delocalizzazione, deregulation, meccanizzazione del lavoro.
Il
divario sociale si è invece ampliato, da una parte favorendo una
minoranza di ricchissimi (a cui le tasse sono state tagliate),
dall'altra andando a penalizzare quello che da sempre è stato il
propulsore dell'economia mondiale, il grosso dei lavoratori e la loro
capacità di spesa.
Non
sono i ricchi a produrre posti di lavoro. E' la maggioranza della
popolazione, la classe media, attraverso i suoi acquisti, a far
girare l'economia, a sostenere la produzione di beni di consumo e
quindi a gettare i presupposti per l'imprenditoria e la creazione dei
posti di lavoro necessari.
Un
equilibrio ben esemplificato nella pellicola, attraverso un chiaro
schema che illustra un circolo virtuoso: stipendi adeguati - consumi
che salgono – assunzioni - maggiore gettito fiscale - più
investimenti pubblici - lavoratori più istruiti - economia in
crescita - produttività maggiore.
Mettete
a tutti questi fattori il segno opposto, e vedrete la situazione che
viviamo da ormai troppo tempo.
Ogni
punto meriterebbe un approfondimento, ma basta rilevare come,
attraverso i decenni, in alcuni Paesi mondiali una popolazione più
istruita ha saputo generare un mercato del lavoro migliore e una
capacità dell'individuo di trovare o creare nuovi impieghi. Dunque
una società che ha saputo far fronte in modo migliore alla “crisi”
che ha investito il mondo negli ultimi anni.
L'ultima
parte della pellicola, pur senza catastrofismi, solleva un'importante
domanda: come può la politica svolgere serenamente il suo ruolo di
soggetto che dovrebbe tutelare tutti i cittadini e in particolare i
più esposti ai rischi economici, se ogni anno che passa è sempre
più bisognosa lei stessa di soldi e di “appoggi” di ricchi
magnati? La realtà delle campagne elettorali americane è lampante,
ma anche in Italia, da Berlusconi e Renzi, questo fenomeno è sempre
più tangibile.
Il
rischio è che la tutela della classe media, dei lavoratori, degli
stipendi e delle fasce deboli si riduca soltanto a slogan e a poche,
piccole, elemosine.
Ci
sono poi le responsabilità del web e del progresso tecnologico, ma
di queste parleremo in un prossimo post.
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