Avete
notato che sempre più spesso gli articoli delle testate
giornalistiche online sembrano essere gli stessi? Cavolo, io non sto
proprio fisso davanti al pc, ma a volte vedo nel giro di un giorno
cinque-sei testate, e sono quelle maggiori, spiattellare la stessa
identica notizia con un taglio leggermente differente, con titoli che
cercano disperatamente la keyword giusta, e spesso con immagini d'anteprima uguali. Sono quasi impazzito per evitare di vedere
ovunque quel dannato First Kiss, tanto per citare una “notizia”
(virgolette d'obbligo) recente e conosciuta.
Poi
leggo un interessantissimo articolo de Linkiesta
sul fenomeno del picking
(quello appena esemplificato) e, subito dopo, un pezzo su
Internazionale
che mi ha fatto accapponare
la pelle.
Il primo, di Andrea Coccia, si chiede se giustamente non sia il caso di fermarsi in tempo e tornare a fare del giornalismo genuino e non schiavo dei numeri e delle condivisioni; il secondo, di rimando, ha l'eloquente titolo di “Quando il giornalista viene pagato per il traffico che produce”, e presenta esempi di come alcune testate straniere (l'indagine originale è del NY Times) si orientino a pagare i collaboratori in base ai “numeri” che producono, ovvero clic e contatti.
Il primo, di Andrea Coccia, si chiede se giustamente non sia il caso di fermarsi in tempo e tornare a fare del giornalismo genuino e non schiavo dei numeri e delle condivisioni; il secondo, di rimando, ha l'eloquente titolo di “Quando il giornalista viene pagato per il traffico che produce”, e presenta esempi di come alcune testate straniere (l'indagine originale è del NY Times) si orientino a pagare i collaboratori in base ai “numeri” che producono, ovvero clic e contatti.
In
pratica, i giornalisti come PR della notizia (qualsiasi), come
spacciatori di roba “meglio tagliata” o forse solo tagliata più
in fretta per battere altri sul tempo. O ancora, chi ha più follower
e/o una rete forte e numerosa di conoscenze virtuali può battere chi
scrive meglio o produce notizie migliori. Contano solo i numeri.
Se
questa prassi può passare per notizie flash
e breaking
news,
soprattutto se settoriali (finanza, marketing, politica, cronaca)
dove va a finire l'essenziale e peculiare approfondimento?
Perchè ormai una breve e sintetica “notizia”, che racconta un
fatto, la sanno fare anche i computer (è recente l'esperimento sugli
aggiornamenti sui terremoti). Ma la variabile, importantissima, dell'originalità e della creatività, dell'analisi e dello scavo in profondità? Del punto di vista unico,
umano, e argomentato della persona che scrive?
“I
giornalisti non sono molto bravi con i numeri”, si legge
nell'articolo che m'ha inquietato. No, con quei
numeri non DEVONO esserlo. I numeri sono ingannatori. Soprattutto
quelli che vengono sbandierati per far propaganda alla propria
attività online. Il clic è un freddo dato numerico, non è garanzia
né di ritorno economico – ormai ossessione imperante - né
tantomeno di qualità dell'informazione.
Secondo
questo ragionamento, tutto ciò che fa clic e ascolti sarebbe giusto,
legittimo e dignitoso.
Se
i giornalisti stessi, per rincorrere quei numeri che nel giro di poco
tempo inizieranno a contare sempre meno, producono notizie che non
hanno alcun valore reale ed anzi difficilmente posso essere definite
“notizie”, come potremo più stabilire un criterio di
credibilità?
In
questo modo non si potrà più accettare nemmeno una critica al modo
di fare giornalismo di – per dirne uno – Studio Aperto: un tg
che, ragionando in questo modo, non fa altro che dare a un certo
pubblico quello che vuole, in relazione agli ascolti (se non
funzionasse, cambierebbe radicalmente). Quindi dove voglio arrivare?
Ad affermare che quella dei numeri e del dare al pubblico quello che piace è una palese giustificazione e non regge,
ovvio.
Ascoltare
i propri lettori/utenti non significa utilizzarli come un mercato e
di riflesso mercificare la notizia. O credete che i post di
Repubblica.it su gattini, gossip e fotomontaggi abbiano giovato
all'autorevolezza e all'immagine della testata? Davvero, fermandosi a
riflettere un momento, si preferisce barattare il rigore e la
credibilità per qualche migliaio di clic e commenti perlopiù
negativi e sarcastici? Riprodurre contenuti identici ad altri siti è
una politica giornalistica accettabile?
Perchè
deve esserci differenza tra un blog qualsiasi e una testata
giornalistica. Perchè, con i tempi che cambiano a velocità
supersonica, chi svolge questa professione deve trovare davvero
qualcosa di utile da dire, da raccontare, da approfondire.
L'originalità
paga. Crea qualcosa. Di sicuro non si potrà più fare a meno del
rilancio delle tante notizie che arrivano da fonti autorevoli dalle
quali in moltissimi attingono.
Ma
il lavoro del giornalista dovrebbe essere quello di rendere ogni
notizia capace di “dare” qualcosa in più al proprio pubblico. Un
copia e incolla e mischia è ingeneroso e deleterio per la categoria
e la professione.
Purtroppo
quella cosa chiamata “etica”, che negli svariati ambiti della
vita chiamiamo “coscienza” (solitamente incitando gli altri ad
averla) non si può inventare e distorcere come preferiamo.
L'etica
di un giornalista è forse al giorno d'oggi l'unica cosa che rimane a
chi vuole davvero fare questa professione credendoci un minimo.
Quasi
certamente continua...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
Elimina