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lunedì 16 giugno 2014

I cambiamenti di Dylan Dog e una generazione allo specchio

Sono uno di quelli che è cresciuto con Dylan Dog.

Nel 1986 avevo appena 4 anni, ma non appena superata la decina, ho aggirato i divieti genitoriali e mi sono immerso nella collezione completa dello zio, ricavandone brividi e grandi insegnamenti (anche letterari).

Da mesi il dibattito intorno al secondo fumetto più venduto della Bonelli (e terzo in Italia, dopo Topolino) riguarda l'incombente restyling orchestrato dal creatore (e alter-ego) dell'indagatore dell'incubo, Tiziano Sclavi, e dal nuovo curatore da lui fortemente voluto, Roberto Recchioni.

Come sempre accade quando si va a toccare un personaggio entrato nell'immaginario collettivo di un Paese, si è scatenato il putiferio. Hardcore fans, lettori storici, ma anche acquirenti occasionali per loro stessa ammissione, hanno puntato il dito contro molte delle scelte che dovranno traghettare Dylan nella sua nuova fase (la fase due, appunto).

L'ispettore Bloch in pensione, Dylan e Groucho alle prese con i pc e i telefonini, un linguaggio più moderno... molto è stato detto e scritto (spesso negativamente e a sproposito, dato che su alcune cose ancora non ci sono dettagli precisi) e questo sposta la questione su un grande tema: quello del cambiamento.

Dylan, se ci pensiamo bene, è (editorialmente) quasi un trentenne. Dopo trent'anni di vita e di onorata attività nelle edicola, avrà pure il diritto di cambiare, no? In questo senso le reazioni della stragrande maggioranza (attiva sui social) rispetto al fumetto dell'old boy sono diventate uno specchio della nostra società: impaurita dal cambiamento, intransigente sullo status quo, diffidente verso le novità. Incapace, spesso, di accettare anche solo l'idea di quel necessario salto nel vuoto che i prodotti creativi devono avere (e per esteso, anche il mondo del lavoro, della conoscenza e via dicendo...)

Un personaggio che vive continuamente il presente come Dylan non può pretendere di non veder cambiare il mondo attorno a sè e di adattarsi ad esso. Una perpetua Londra degli anni '80 sarebbe grottesca e ridicola. Le storie prive di un background solido e riconoscibile per i lettori. Per i nostalgici ci sarà una testata appositamente creata (resa o lungimiranza dell'editore? Magari oculata strategia).

Quello che molti stentano anche a capire (e non so perchè) è che è impossibile per un'azienda come la Bonelli prendere anche solo remotamente in considerazione l'idea di vedere le vendite in costante calo o di chiudere la serie. Non si butta via uno dei migliori personaggi dei fumetti, e il suo potenziale, per il rifiuto di molti fan di accettare novità (ma saranno poi molti? O come spesso accade vale la regola della maggioranza silenziosa?)

Da lettore che ha abbandonato la testata al numero 200 e che da poco ha ripreso a leggere, chiedo poche cose a Recchioni e i “suoi” autori. Che poi coincidono con quanto dichiarato dalla Bonelli: un ritorno alle atmosfere poco politicamente corrette, più sottili ed inquietanti. Un Dylan non più predicatorio e bacchettone, schiavo delle sue peculiarità e malinconico, ma curioso, sensibile, brillante ed emotivo come è stato nei suoi momenti migliori.
Splatter e poesia, certo, ma filtrati da quella visione disincantata e ironica del mondo che riusciva ad alleggerire il brutto del mondo (che non è il mostro, ma ciò che gli ruota attorno).
Insomma, tornare al personaggio e al fumetto che ci piace leggere (come, va detto, spesso ha già sottolineato Recchioni: vedremo se l'operazione riuscirà!)

Con buona pace di quelli che pur di non veder cambiare niente preferiscono un lento e doloroso declino.

Poi, beh, ovviamente il fumetto più venduto d'Italia è Tex, l'immutabile per eccellenza. E vende quasi il doppio di Dylan. Fate le vostre riflessioni... (che io non vorrei suonare ridondante e retorico)


Giuda ballerino!

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