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mercoledì 17 settembre 2014

Modello sostenibile per l'informazione online? L'economia della nonna.

Esiste un modello sostenibile per l'informazione online?
No.
Esiste però la saggezza della nonna: spendi poco e assicurati di fare abbastanza soldi.
Fine.

Quando, alla Festa della Rete, sono andato ad ascoltare l'incontro al Teatro Novelli tra Luca Sofri, Peter Gomez, Jacopo Tondelli e Angelo Maria Perrino non mi aspettavo certo la formula magica per far nascere, crescere e prosperare una testata giornalistica online.

Però, da persona interessata in pieno all'argomento (con una nascitura creatura giornalistica) ero un target perfetto per questo dibattito. Vi anticipo che quella in apertura non è una battuta ma la morale della favola, mi perdonerete lo spoiler.

In un panorama poco confortate riguardo ai conti delle testate online (leggere qui) non avrei, come detto, voluto sentire illuminazioni di chissà quale livello... ma avrei preferito uscire senza la sensazione che ci sia grande affanno sotto il cielo.

Sofri esordisce con un “i giovani oggi hanno un'idea del giornalismo anacronistica”. Lo so bene: anche io sono (stato) vittima dell'idea romantica del giornalismo. Raccontare storie, coinvolgere persone, informare correttamente i cittadini, verificare le fonti e dare senso al caos, salvare il mondo... cose così. Non so quanti giovani, oggi, desiderino ancora fare giornalismo vero o ideale, fatto sta che Sofri ha detto una cosa giusta (tra le righe): di idealismo si muore, e chi si avventura nella giungla online animato solo da buoni intenti - senza un po' di malizia e tanto pragmatismo, ergo: fare ciccia e saper domare il web -, il leone se lo magna. 'nuff said.

Il modello, per ora, probabilmente più funzionante e con connubio off e on-line è quello del Fatto Quotidiano
Gomez gongola dal palco, e ne ha donde: il loro stile può piacere o non piacere, ma conti alla mano sono gli unici che, partiti “di carta” anni fa individuando la loro piccola nicchia, si sono espansi pian pianino arrivando oggi a poter addirittura pianificare degli investimenti a medio termine. Mica poco. Modello sostenibile? Partire fortemente di nicchia, capitalizzare l'esperienza, fare piccoli passetti in avanti non appena possibile ampliando lo spettro di strumenti/argomenti/collaboratori. Frase-cult di Gomez: “Il giornalismo non deve mai stare dalla parte del potere, ma questo mica vuol dire che non deve essere il più generalista possibile per acchiappare pubblico!”.

Tondelli, da parte sua, non fa mistero della nota “scottatura” con Linkiesta, testata partita con le migliori intenzioni del mondo ad azionariato diffuso. Anche se lui, ormai fuoriuscito da più di un anno, pensa al futuro: è pronto ad una nuova avventura, un progetto online orientato ai social e con occhio all'economia, dall'ostico (ma affascinante) titolo Gli Stati Generali. Anche qui, però, non ci viene rivelato nessun dettaglio sul possibile “modello sostenibile”. Se non una perla di imperituro splendore: “Ragazzi, organizzate bene il sistema di chi deve stare alla cassa”. Non giornalisti ma operatori commerciali. Prima di tutto. Poi si vedrà.
L'impressione – mai nascosta, basta leggere alcuni pezzi online – è che esperienze come Linkiesta siano nate sulle ali dell'entusiasmo e che poi si siano scontrate con la dura realtà. Ovvero l'estrema difficoltà di monetizzare il proprio lavoro sul web, che nel caso del giornalismo e della scrittura è particolarmente drammatica.

Infine Perrino, che dopo una lunga carriera in Panorama è il plenipotenziario di Affaritaliani, una delle prime testate italiane online e ancora oggi, grazie alla filosofia del “giornalismo come pranzo completo” spazia a 360° senza snobismi nel mondo delle notizie cavandosela anche bene sul versante economico. Lezione: “Non fare gli schizzinosi, utilizzare tutto quanto fa brodo”. Modello sostenibile? Non si butta via niente e si usa ogni mezzo per farsi promozione.

Insomma, alzatomi dalla poltroncina ho avuto la conferma che: il contenuto, nel giornalismo (e non aggiungo online non a caso), non è più il “king” (se lo è mai stato davvero). Che saper scrivere è secondario rispetto all'immediatezza di pubblicazione, del titolo ruffiano e del saper fare SEO.

Niente di tragico, sia chiaro. Non sono uno di quei disfattisti che piange sull'inchiostro versato. Niente vieta a chi sa scrivere bene di essere più smaliziato, capire il “mercato” dell'informazione e attrezzarsi di conseguenza. Anzi, direi proprio che a questi chiari di luna chi non evolve in questo senso si merita l'estinzione. Non puoi pretendere che il mondo cambi e il giornalismo no.
Luca Sofri, molto gentilmente, quando lo fermo un attimo all'uscita del teatro, mi fa le condoglianze sorridendo: “Vuoi creare una testata online? Assicurati di spendere poco e contenere sempre e comunque i costi. È vitale”.

Ma il giornalismo dovrà essere per forza “vittima” dell'ipervelocità e della notizia come bene di consumo usa-e-getta, oppure – come penso molti della mia generazione non troppo ingenuamente credono – pratiche come lo storytelling e il “contenuto utile” salveranno il mestiere (e la sua dignità)?

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards
Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale
- Utilizzare meglio i social (ed evitare travasi di bile)

martedì 16 settembre 2014

Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale. #FDR14

Sono andato alla Festa della Rete per seguire alcuni eventi, in particolare quelli targati “economy” dedicati al mondo del lavoro che (è) cambia(to).

Uno di questi aveva come titolo “Il lavoro di domani” (ammesso che domani ci sia ancora lavoro: questa è mia) e ha visto protagonisti Stefano Quintarelli, deputato, imprenditore e pioniere del digitale in Italia, Andrea Santagata, CEO di Banzai Media (dietro a giallozafferano, giovani.it e ilpost) e Carlo Alberto Carnevale, prof alla Bocconi di Milano.


Il valore dei valori - Il dibattito sul (non)lavoro ai tempi del digitale è ampio e difficile, e che da noi (in Italì) poco sia cambiato da dieci anni ha questa parte si capisce anche solo vedendo come i relatori ripropongono dati, grafici e teorie primigenie che ancora si adattano bene al nostro sistema. Tutti però sono concordi nell'affermare che lo stesso web è cambiato moltissimo dai modelli originari di business, anche se spesso solo gli addetti ai lavori se ne accorgono: chi deve utilizzare gli strumenti online a livello “elementare” per fare economia o promozione spesso non sa ancora dare valore specifico ai valori "nuovi", creati dai sistemi digitali, che non sono strettamente legati alla moneta.

I want to fly away – A un certo punto Quintarelli cade nella (ricorrente) trappola dell'esterofilia, nel senso che, anche se giustamente dice che “chi pensa solo ai confini italiani sbaglia perimetro”, poi tira fuori la classica frase tipo “nell'X posto in USA ci sono 25 mila posti, i ragazzi italiani bravissimi dovrebbero pensare a questo”.

Vero, ma fino a una certo punto, e infatti Santagata subito dopo lo riprende sottolineando che “va bene guardare al mercato globale, ma un sistema che obbliga ad emigrare è sbagliato”. Portando il ragionamento un po' più in là, si può aggiungere che le possibilità non dovrebbero essere solo per chi ha portato a compimento i cosiddetti percorsi “d'eccellenza” nello studio – richiesti all'estero – ma per chiunque abbia capacità specifiche e rivendichi il diritto di non essere costretto a lasciare il proprio Paese.

Posto fisso, ciao! - E qui si arriva al nocciolo della questione. Per i giovani notrani – diverse indagini lo hanno confermato per l'ennesima volta - “le Poste sono ancora meglio del digitale”, ovvero la mentalità del posto fisso è imperante. Se vogliamo anche legittima: in fondo, un giovane mica può desiderare di dover cercare e cambiare lavoro per tutta la vita. Anche se stimolante, è un'idea che può creare un po' di leggera ansia se uno sogna una famiglia, no?

Quindi capisco quando Santagata dice “L'idea del posto della vita – che non esiste praticamente più manco alle Poste – è una mentalità che affligge questo paese”, ma ho sentito anche benissimo quando prima ha affermato che il “mercato digitalenon è la soluzione ai problemi di occupazione in Italia (e non lo sarà ancora per molto tempo). Può essere però una grande risorsa, a patto che a monte ci sia un sistema di formazione che ad oggi in Italia è assente.

In poche parole, mancano veri e propri percorsi di studio che permettano ai ragazzi di saper lavorare in ambiti che ormai sono una realtà e un'opportunità, come quello della programmazione, della grafica e delle app. Quando al Sant'Anna di Pisa è stato attivato un master in programmazione di app per mobile, chi lo ha seguito ha trovato quasi immediatamente un'occupazione.

Il lavoro sarà demonetizzato - “Non saremo più pagati per il tempo impiegato su un lavoro, ma per il lavoro stesso, il singolo task”. Così Carnevale introduce il concetto che alla fine porta alla frase evidenziata. Il lavoro sarà “svuotato” del suo valore monetario (in ordine di tempo) per essere valutato e pagato per i risultati.

Ovvero: non sarai più pagato per il tuo tempo, ma per il singolo compito (che pure avrà una scadenza) e sarà affar tuo se sarai più o meno bravo nel “perderci” più o meno ore sopra.

Poi, quando Quintarelli parla di provvedimenti ad hoc che dovrebbero essere presi dalla politica per il mondo del lavoro che sta cambiando grazie al digitale, mi vengono in mente tutte le bellissime azioni che i vari governi hanno intrapreso nei confronti del web e mi sfugge una risatina (isterica).

Cosa mi ha lasciato, quindi, questo incontro? 
Ha peggiorato il senso di inquietudine che avevo rispetto al mondo del lavoro. I salari crolleranno, la ricerca di occupazione sarà continua e la competizione serratissima (“siamo tutti in competizione con l'ultimo degli indiani”, Carnevale dixit), esisteranno sempre meno super-specializzati ricchi e un “proletariato digitale” che vedrà i soldi col binocolo... quasi come nell'era industriale del primo Ottocento.

Siamo sicuri che il web, nell'ambito lavorativo, ci stia davvero facendo progredire, come società?

Se ti va, puoi leggere anche:
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards

lunedì 25 agosto 2014

Il contenuto utile è il Santo Graal. Ma come trovarlo?

Fonte
Fermo lì, gentile lettore, rimani incollato a questo articolo: ti spiegherò quanto e come un post nel tuo blog può essere (ritenuto) utile.

Ok, ci ho provato. Non sono ancora particolarmente bravo negli “attacchi” dei post, eh?
Quello che ho tentato di fare è lanciarti una secchiata d'acqua fredda nella prima riga e mezzo, per poterti presentare una piccola riflessione su ciò che si intende per contenuto utile.

Dopo mesi di letture in lungo e in largo per il web, su temi che riguardano informazione, social media, marketing e tecnologia, ho – da modesto giornalista quale sono – rilevato una semplice suddivisione di tipologie di utilità, che tu, scafato surfer internettiano, magari troverai ovvia. Però...

Tutorial (inglobo qui anche l'elenco di risorse), commenti & notizie, post “di sostanza” (temi generali, elaborazione di dati, teorie). Tralascio – al momento – interviste e recensioni, utili sì ma spesso in ottica di “semplice” smm, mentre i guest post possono ricadere in ognuna delle categorie sopra esposte.

Per uno come me che arriva dal mondo giornalistico, il tutorial è un po' come la notizia “di servizio”, fatta di elementi utili ma non interessante in sè. È vero, rimane per chi lo ha scritto un “patrimonio” dalla vita lunga, che non scade per molto tempo e che probabilmente otterrà accessi giornalieri costanti per diversi mesi, se non addirittura anni – fino al prossimo aggiornamento del sistema affrontato.

Ci sono poi i post che commentano notizie o fatti “del giorno” (es. la campagna #coglioneno, il dibattito sul giornalismo online) che sono l'equivalente delle notizie di cronaca nera o i lanci ANSA sulle dichiarazioni dei politici: spesso sono riflessioni di un certo interesse ma nascono e muoiono in quel preciso istante ed hanno un periodo di vita abbastanza breve, considerato anche che non possono essere aggiornate, se non in modo limitato ed episodico.

Infine, abbiamo i post “di sostanza”. Laddove nel mondo dell'informazione un articolo narrativo su un grande tema – lo storytelling applicato ad un fatto, elevato a sociologia - può raccogliere innumerevoli clic e avere una vita editoriale potenzialmente infinita, così alcuni post dedicati alle questioni centrali e cruciali dei social media, di internet e del web marketing possono durare in eterno.

Questa, per me, è la vera utilità che va oltre il (semplice?) risolvere un problema immediato dell'utente generico del www.

Non è sempre vero che un articolo breve è un articolo di successo (e viceversa). Lo è, spesso, in relazione alla chiarezza espositiva e alla gradevolezza della formattazione del testo. Un post di content marketing non è una pallosa nota politica: il pubblico che legge un articolo sui social o su un argomento che gli sta particolarmente a cuore, nonostante vada adescato con un incipit fenomenale, avrà una soglia d'attenzione più alta e non gli peserà la manina per scollare un po' in basso.

Statisticamente parlando, è anche più probabile che un utente, leggendo un articolo bello, illuminante e ricco di spunti, sia stimolato a salvarlo nei preferiti e a mandare a memoria il nome dell'autore (che poi verrà seguito su Twitter, sulla sua pagina FB, su LinkedIn...) rispetto ad un semplice tutorial.

Correggimi se sbaglio, ma spesso se vai a consultare un tutorial lo utilizzi soltanto per risolvere la tua necessità del momento e poi lo chiudi, a meno di non trovare qualcosa di veramente interessante.

Questo ci insegna che, certo, bisogna essere fighi anche nello scrivere delle semplici istruzioni (altro che il manualetto della radiosveglia!).

E tu come la pensi?

...e se hai voglia di leggere ancora qualcosa...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
- L'idea (è) l'azione: tre consigli (e un esempio)
- Prima di pensare al successo... migliora te stesso!

venerdì 22 agosto 2014

L'idea (è) l'azione: tre consigli (e un esempio illustre)

Abel Ferrara è un regista di culto. Uno degli ultimi grandi registi che, a decenni dai suoi esordi, ancora riesce a trasformare in saggio e teoria ogni sua opera cinematografica.

La sua libertà creativa e il suo essere rigoroso lo hanno messo ai margini dell'industria “mainstream”. Nonostante questo, appassionati di cinema e addetti ai lavori lo considerano giustamente un genio. Un punto di riferimento.

In una recentissima intervista rilasciata a Nocturno, Ferrara parla di come sia riuscito a girare nel giro di pochissimo tempo (un anno circa) due film difficilissimi: uno sulla vicenda di Dominic Strauss-Kahn e l'altra, addirittura, sugli ultimi giorni di vita del “nostro” Pier Paolo Pasolini.

Come ha fatto? Lui è piuttosto chiaro: pur di fare film, sarebbe disposto a girarli con il telefonino, interpretando lui stesso tutti i personaggi. E cita un illustre collega, Roman Polanski: “Quando si vuole fare un film, l'ultima cosa da fare è sedersi ad un caffè per discutere. Se lo vuoi fare, agisci!

Ti è suonato un campanello in testa? Esatto, quella di Polanski non è che una regola generale declinata all'arte più complicata e dispendiosa al mondo: il cinema. Figuriamoci se, ragionando in questo modo, non possiamo creare qualsiasi altra cosa.

Pur in carenza di mezzi, Ferrara ha convinto due pezzi da novanta del mondo attoriale a prendere parte (e anche finanziare) i suoi progetti: Gerard Depardieu e Willem DaFoe. Come? Non certo soltanto per il suo nome e la sua fama. La chiave di volta è stata l'idea alla base dei due film, tanto che la sceneggiatura spesso è arrivata seconda rispetto al lavoro di squadra per ottenere i risultati che si cercavano.

Capisci dove voglio arrivare? L'idea è tutto. Le idee smuovono le montagne. Se buone e perseguite con impegno e dedizione, non c'è niente che le possa fermare. Ma ci sono almeno tre elementi fondamentali da considerare:

L'idea è semplice? Se la puoi riassumere in tre righe e non perde nulla della sua forza e della suo fascino, è probabilmente un'ottima idea. Ricorda: nessuno si fermerà a leggere dalle tre alle trenta pagine, mentre le tue tre righe potrebbero nel giro di trenta secondi cambiarti la vita (mi piace il numero tre, si è capito?)

Ci credi davvero? Se non credi in te stesso, nessun altro lo farà al posto tuo. Se sei al 100% convinto della tua idea, nessuno potrà fermarti. Sei disposto a mettere in campo tutto per realizzarla? Ce la farai. Ma non chiedere troppo a te stesso, sii pronto a coinvolgere gli altri e non farne un'ossessione...

“Ma tutto è già stato fatto!” E allora? Tutto si può fare meglio. Tutto può essere innovato. Tutto può essere riletto in modo migliore. Tanto per restare all'arte (e alla scrittura) pensa a Shakespeare. Ti sorprenderebbe l'elenco dei film che non sono altro che una riscrittura di temi già presenti nelle opere del Bardo inglese. Autore che a sua volta aveva saccheggiato molte opere antiche. Sei davvero sicuro che la tua idea non possa dire qualcosa di nuovo?

Inizia il tuo film, ovvero la tua impresa, qualunque essa sia. Non esitare. Usa tutti i mezzi a tua disposizione. Oggi ne abbiamo davvero molti per far notare quello che facciamo.
Se c'è del valore, sarà riconosciuto.


Se ti va di continuare a leggere...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
- Allena il cervello ad avere buone idee!
- Prima di pensare al successo... migliora te stesso!

martedì 5 agosto 2014

Diritto all'oblio, anche Wikipedia sparisce da Google

Anche Wikipedia deve piegarsi al diritto all'oblio: una delle sue pagine (non è stato specificato quale, però) sta per "sparire" dai risultati delle ricerche di Google
A confermarlo è lo stesso Jimmy Wales, fondatore dell'enciclopedia web: un caso che costituisce un precedente unico.

Le riflessioni e le polemiche non si fanno attendere, mentre, inesorabili, vanno avanti grazie alla sentenza della Corte Europea le rimozioni delle indicizzazioni dai motori di ricerca delle pagine considerate "inadeguate, irrilevanti, eccessive" dietro richiesta dei diretti interessati. 

Anche se è soltanto un giocare a nascondino e non una vera e propria eliminazione dal web, la domanda è sempre la stessa: è giusto far sparire il proprio passato, soprattutto se si va a toccare il diritto ad essere informati delle altre persone? 

Wikipedia, nella persona di Wales, sarà presente al grande meeting di Google previsto a settembre sul tema del diritto all'oblio e alle strategie per affrontarlo nella maniera migliore. Certo è che il concetto espresso finora dall'organo di Giustizia dell'Europa necessita una revisione, sia a livello di principio che di applicabilità.
 Finora infatti ci si limita a dare potere ai soggetti privati, che in modo arbitrario possono chiedere la rimozione di contenuti dai motori di ricerca, andando a intaccare i diritti di accesso alle informazioni della collettività. 

Pensiamo a quest'ultimo preciso caso: negare l'accesso ad una voce dell'enciclopedia più letta del web attraverso il motore di ricerca più utilizzato di internet è di fatto come strappare una pagina fisica da un libro della biblioteca più grande del mondo e nasconderla altrove. Ha senso?  

giovedì 31 luglio 2014

Mannarino: "La musica è come una casa, mi piace cambiarla spesso"

In una (finalmente serena e calda) sera di fine luglio, arriva sul palco della Versiliana di Pietrasanta uno dei migliori esponenti del giovane cantautorato italiano: Alessandro Mannarino, reduce dal successo dell'uscita del suo terzo disco. Tantissimi ragazzi nel pubblico e un'atmosfera di attesa e grande entusiasmo lo attendono, mentre parliamo nel backstage...

Per il tour del tuo terzo e fortunato album “Il Monte”, hai deciso di occuparti in prima persona della regia dello spettacolo e della direzione dei musicisti. Ma cosa racconta questa opera? Cosa vuoi trasmettere?
Racconto la storia di un uomo e di una donna, e la ricerca della propria dimensione di libertà. Tutto inizia dalla voglia di trovare un “rapporto” tra l'uomo e la donna, e la lotta di quest'ultima per liberarsi di quello che chiamo “Impero”.
L'Impero è una condizione mentale e fisica, quella della città che è come un carcere in cui sei guardato a vista e tutto è controllato, anche l'amore. Controllato con il matrimonio, con la legge: ti fai due ore di traffico al mattino, lavori dieci ore, ti fai due ore di traffico alla sera, consumi un po' di pubblicità e vai a dormire. Questa è la condizione più becera.
Poi c'è la dimensione interiore, quella delle proprie disfatte, con l'idea dell'impossibilità di un rapporto umano, profondo, che ti faccia sentire vivo. E c'è la ricerca di questa donna che combatte i propri mostri e di un uomo che cerca questa donna, non si incontrano quasi mai, e alla fine si incontrano... sul Monte.

Parliamo del tuo ultimo singolo, molto bello, che apre il disco: Malamor.
In quella canzone racconto della nascita e di ciò che succede agli esseri umani, che invece di ricevere carezze, libertà e possibilità ricevono educazione, botte, freddezza... quindi c'è questo essere umano che nasce uomo, ma a un certo punto della vita si ritrova ad essere un cinghiale! Non capisce perchè, e deve scoprirlo.

Quando ti ho visto, per la prima volta, eri sul palco del Festival Gaber da solo con la chitarra. Adesso, con undici musicisti e tantissimi fan al seguito. Dove ti porterà la tua evoluzione musicale?

Sai che non lo so? Non ne ho proprio idea. È come quando prendi una strada e non sai dove ti porta. Bisogna avere fiuto nella vita: ti metti su una strada invece che su un'altra perché “annusi” qualcosa che c'è dall'altra parte. A me è capitato spesso nella vita, nello scegliere le persone, le situazioni... e la musica è proprio così. È il modo che ho adesso per avere una finestra da cui affacciarmi e dire cose. Il bello è che ogni volta cambio casa, e ogni volta devo scendere in strada, vivere un sacco di situazioni diverse ed entrare nell'altra abitazione, con un bagaglio di cose nuove da dire.

Qua sotto, il video che ho realizzato per Repubbica tv:

venerdì 25 luglio 2014

Expendables piratati e sacrificabili al boxoffice? Dipende da te

189 mila download in meno di 24 ore.
Sarebbe un bel successo, se si trattasse di qualcosa di legale. E invece stiamo parlando di un film non ancora ufficialmente uscito: The Expendables 3, il nuovo capitolo della saga action firmata da Sylvester Stallone, che riporta sullo schermo vecchie glorie e nuove leve del genere reso cult dalle pellicole degli anni '80.

Non giriamoci intorno: a meno di un mese dalla premiere ufficiale del film, la circolazione di una copia pirata in qualità DVD e questi numeri fanno cadere le braccia.

Ci ritroviamo di fronte ad un dilemma, e stavolta senza la foglia di fico del cinema d'autore che circola poco: chi attenderà un mese per vederselo sul grande schermo? Quanti, invece, preferiranno la comoda e gratuita visione sullo schermo del pc?

Un film d'azione del genere vive dell'incasso in sala dovuto alla "nicchia" di appassionati che, guarda caso, in gran parte (uomini, giovani) ricade nei grandi utilizzatori del download illegale. La frittata è (potenzialmente) fatta.

Il precedente a cui si può fare riferimento è “X-Men - Le Origini: Wolverine” che fu scaricato da 15 milioni di persone un mese prima dell'uscita nei cinema e incassò molto meno di quanto avrebbe potuto (vabbè, era pure un pessimo film...). Se vi consola, colui che uploadò il file pirata è finito in carcere e Megaupload, beh, sappiamo com'è finita.

Adesso, i cosiddetti amanti del cinema, del genere action, dell'arte e dei vecchi miti gloriosi degli anni '80 sono chiamati ad una scelta di campo. Affossare i propri beniamini o sostenerli fino alla fine, scaricare o vedere in sala, stare comodi o sostenere il (tanto amato?) cinema.

Google si "dimentica" 160 mila link: primi effetti del diritto all'oblio

Oltre 160 mila link de-indicizzati.
Ecco i primi risultati del diritto all'oblio stabilito dalla Corte Europea, almeno per quanto riguarda il motore di ricerca numero uno al mondo, Google.
Andate a rileggere qui di cosa si parla (realmente) quando di parla di oblio... il Wall Street Journal riporta che Google ha già fornito dei dati in via ufficiosa alla UE dichiarando di aver "rimosso" migliaia di link dai suoi risultati, accogliendo circa metà delle richieste avanzate dai vari utenti (per un totale di oltre 300 mila). Dunque Mountain View ha preso sul serio la questione, e la mole di lavoro che ne deriva, rispondendo ad oltre 91.000 persone che ritenevano di essere oggetto di informazioni "incomplete e scorrette", dando il via libera in almeno la metà dei casi alla rimozione dell'indicizzazione dei link incriminati.

Questo apre un sacco di interrogativi: sarà uno strumento che alcuni utilizzeranno per far rimuovere (o meglio, far nascondere) informazioni indesiderate su se stessi, negando magari un sacrosanto diritto all'informazione? La verifica della legittimità delle richieste e i criteri secondo i quali queste saranno messe in atto sarà davvero oggettiva e uguale per tutti? 

Di sicuro, al momento, faremmo meglio a tenere tutti gli occhi puntati su Google, che si ritrova - stavolta suo malgrado - a fare da testa di ponte per una rivoluzione tutta europea che presto potrebbe arrivare in altri continenti. 

In chiusura, vediamo i dati che riguardano i vari Paesi: al 18 luglio 2014 guida la "classifica" dei cittadini pro-oblio la Francia, con 17.500 richieste di rimozione, seguita dalla Germania con 16.500, dall'Inghilterra con 12.000, dalla Spagna (8.000) e infine dall'Italia (7.500). Al momento, sembriamo i meno interessati a questo strano modello di protezione della privacy.

giovedì 24 luglio 2014

Se la condanna a morte è una tortura

Ieri (mercoledì 23 luglio), in Arizona, è stata eseguita la condanna a morte di Joseph R. Wood, 55 anni, colpevole di duplice omicidio.

Potrebbe anche non essere una notizia, nei democratici USA, ma lo diventa per il record di durata della pena capitale. Si può uccidere un uomo per due ore? Adesso possiamo dire di .

Solitamente, l'iniezione letale - che dovrebbe essere indolore - impiega una decina di minuti per fare il suo dovere. Peccato che, a quanto pare, i nuovi composti non siano il massimo dell'efficienza. Certo, abbiamo già assistito ad esecuzioni che durano circa una mezz'ora, e anche di più, ma questo non giustifica l'inutile sofferenza imposta ad un condannato a morte.

Attenzione, non intendo entrare nel dibattito sull'opportunità o meno della pena di morte, sul quale ognuno ha la sua idea ed ha il diritto di difenderla. Quello che mi chiedo, e ti chiedo, è: ha senso trasformare in una tortura prolungata quella che, per legge - vedi l'ottavo emendamento della costituzione americana - dovrebbe evitare di "infliggere pene crudeli e inconsuete"?

Chi la considera una questione secondaria rispetto ad altre, dovrebbe riflettere sul fatto che stiamo parlando di uno Stato che dispone della vita di un essere umano, colpevole (o meno, come la storia insegna) che sia di nefandezze varie.  

Per quasi tutto il tempo dell'esecuzione, secondo fonti ufficiali, Wood ha agonizzato, nonostante la famigerata governatrice dell’Arizona, la repubblicana Jan Brewer, neghi ogni complicazione. 

C'è inoltre da considerare un fatto particolare: proprio per l'inefficienza delle sostanze che vengono iniettate nei condannati, sempre più spesso negli ultimi anni le sentenze vengono rimandate, e stiamo assistendo, in USA, ad una progressiva diminuzione delle pene capitali.

sabato 19 luglio 2014

Il Freedom of Information Act (o: fiato sul collo alla pubblica amministrazione)

Privacy (vedi qui), diritto all'oblio (vedi qui), accesso alle informazioni.
In Italia mancano ancora strumenti che possano chiarire almeno parte gli interrogativi degli utenti della Rete e tutelarli.
E' in queste ultime ore che la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha formato un comitato di esperti per stabilire quali siano diritti e doveri per l'utilizzo di Internet e stilare una relativa Carta.

[La parola "doveri" è dove di solito i sostenitori dell'internet senza regole sbuffano e roteano gli occhi]

Che cosa sia un Freedom of Information Act è ben spiegato sul sito del FoIA4Italy, il soggetto costituito da 32 realtà della società civile che ha preso al balzo le parole del premier Matteo Renzi, che più volte ha sostenuto (e promesso) l'idea di realizzarne uno per il nostro Paese e "rivoluzionare" il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione.

In sostanza, considerata l'informazione come diritto fondamentale dell'essere umano, istituzioni ed enti pubblici sarebbero obbligati ad essere molto più trasparenti (anche rispetto alle ultime disposizioni di legge nostrane), e di fornire informazioni sul proprio operato e su cifre e numeri importanti a chiunque presenti richiesta, sul modello americano. Questo naturalmente nel rispetto di dati sensibili e di questioni in materia di privacy

Diritto fondamentale e - quasi - dovere democratico di ogni cittadino, che tenendo il fiato sul collo alla pubblica amministrazione, attraverso un accesso pressoché totale a documenti pubblici (come nei paesi del nord Europa), potrebbe davvero fare la differenza e "costringere" la politica ad operare in modo corretto, veloce e trasparente.

Un argomento da tenere d'occhio, dunque, e il cui sviluppo va seguito con attenzione: il testo del Freedom of Information Act italiano, già presentato e disponibile, sarà presto aperto ad un crowdsourcing, così come l'operato della commissione (presieduta da Stefano Rodotà) voluta dalla Boldrini.

Il semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo, in questo senso, potrebbe rivelarsi cruciale. Con un confronto in programma tra i nostri e i rappresentanti degli altri Stati membri (molti dei quali già dotati di strumenti simili), potremmo arrivare alla tanto sospirata "regolamentazione" dei diritti dei cittadini dell'universo web.

venerdì 18 luglio 2014

Il diritto all'oblio? È l'unica cosa che (davvero) non esiste

Qualche giorno fa scrivevo a proposito del diritto all'oblio, stabilito da una sentenza della Corte Europea. In pratica, ogni cittadino ha il diritto di richiedere ai motori di ricerca - Google, Bing & co. - che nei risultati vengano rimossi contenuti che lo riguardano direttamente e che siano ritenuti «inadeguati, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessivi».

Google ha iniziato in grande stile a meditare sul da farsi costituendo un consiglio di saggi e chiedendo alla Rete il suo parere (qui).
Bing ha il suo bel modulino online di richiesta per bloccare i risultati "ai sensi di legge" (qui).

Non potrai mai sparaflashare e cancellare la memoria!
Morale della favola? Se di te parlano male, o in un modo che non ti piace, puoi (in teoria) far sparire il risultato.
Nel concreto? Si rimuove il risultato della ricerca, quindi si ottiene una de-indicizzazione del link, non certo l'eliminazione del contenuto stesso (che andrebbe richiesto a chi lo ha pubblicato, e qui i mezzi iniziano a venire meno).

Come si dice dalle nostre parti, fatta la legge, trovato l'inganno. Come a ribadire che tentare di cancellare o nascondere una notizia su internet equivale al "come può uno scoglio arginare il mare" di Battisti-Mogol, ecco che già esiste Hidden from Google. Un sito, promosso da un programmatore americano con il crowdsourcing, che elenca tutti link "vittime" del diritto all'oblio.

Inoltre, trovare ciò che viene de-indicizzato è altrettanto semplice: basta utilizzare motori di ricerca in altri Paesi per vedere, magicamente, quello che è "oscurato" in Europa. Che razza di oblio a intermittenza è questo? 

giovedì 17 luglio 2014

Il web, il progresso e i cadaveri della middle-class

Jaron Lanier
Il web è democrazia, libertà, rivoluzione?
Questo è certo, come è certo che la costruzione del futuro, anche via web, passa attraverso alcuni cadaveri molto reali.


Andiamo con ordine: dopo aver parlato (grazie allo spunto di un bel docufilm) di come l'impoverimento della classe media ci abbia portato al deprimente stato di cose in cui viviamo, mi sono imbattuto in un gran bell'articolo a firma Riccardo Staglianò dove a prendere la parola è niente meno che uno dei guru e dei profeti del web e della realtà virtuale, quel poliedrico Jaron Lanier che spazia dalla musica alla programmazione alla profezia di ciò che sarà come niente fosse.

E' un bel pezzo di giornalismo, e merita di essere letto da cima a fondo. Alcuni concetti espressi da Lanier sono di una semplicità e di una concretezza disarmante:
«Ci piace la musica gratis, ma poi gridiamo allo scandalo per l’orchestrale nostro amico che non ha più fondi. Ci eccitiamo per i prezzi online stracciati, e poi piangiamo per l’ennesima serranda abbassata. Ci piacciono anche le notizie a costo zero, e poi rimpiangiamo i bei tempi in cui i giornali erano in salute. Siamo felicissimi dei nostri (apparenti) buoni affari, ma alla fine ci renderemo conto che stiamo dilapidando il nostro valore»



Lavoratori (del/sul) web
Niente di più vero. Riflessioni forse ridondanti per chi è abituato ad analizzare la realtà e vedere i cambiamenti in atto, ma alla stragrande maggioranza delle persone questa consapevolezza ancora manca. Soprattutto perché il mercato (ma quale, ormai?) spinge in una direzione strana, e i consumatori - se ancora possiamo chiamarli tali - si sono adagiati su un sistema dove tutto o quasi si può trovare gratis e a prezzi stracciati, uccidendo in un passaggio traumatico quel poco di classe media e piccola imprenditoria rimasta.

La rivoluzione digitale, sia benedetta e/o maledetta, sta lasciando da anni e con sempre maggiore frequenza una scia di morti nel suo galoppo, e per ogni Kindle chiudono due librerie, lo sappiamo. Per ogni brano scaricato musicisti non affermati annegano nell'indigenza. E così via.


Over(social)flow
Non solo offline: anche sulla rete chi sta in mezzo muore, chi non impegna le sue giornate ad essere "qualcuno" è tagliato fuori dal giro che conta e dal mercato che si sta sviluppando. I mezzi sono diversi ma la logica è la stessa, declinata ad un individualismo-egocentrismo (personal branding o corporate marketing che sia) dove le regole sono più subdole ma la sostanza è la stessa: emergere, vincere sulla concorrenza, fare affari.


Driveless car
Ma non è che un singolo aspetto nel mare della vita reale e del quotidiano. Pensiamo a lavori del settore "servizi" come quelli del traduttore, con Skype che annuncia la traduzioni in tempo reale della conversazioni. Del tassista, con le driveless car alle porte. Del commercialista, minacciato da sistemi automatici sempre più precisi che calcolano perfettamente cifre e importi.

Lascio la chiosa ancora a Lanier:
«Per quanto faccia male dirlo, potremo anche sopravvivere distruggendo solo la classe media composta da musicisti, giornalisti e fotografi. Ciò che non è sostenibile è la distruzione di quella che lavora nei trasporti, nella manifattura, nel settore energetico, nell’educazione e nella sanità, oltre che nel terziario. E una tale distruzione accadrà, a meno che le idee dominanti sull’economia dell’informazione non facciano dei passi avanti»

Se ti va, puoi leggere anche:
- La classe media? E' stata uccisa...
- Anche il giornalismo si delocalizza. In Albania.
- Carenza di onestà (ed eccesso di informazione)

mercoledì 16 luglio 2014

Delocalizzazione del giornalismo: dall'Albania con furore (forse)

Quanto facevano i furbi, i giornalisti, occupandosi delle questioni della delocalizzazione di fabbriche e produzioni varie, pontificando (quelli dalla verve opinionista) sul fatto che "il prodotto italiano deve essere italiano", magari sicuri del fatto che scrivere è una professione dove si sta comodi nei "paesi nostri"?

Beh, cade un altro tabù del giornalismo: quello italiano si farà (anche) a Tirana, Albania, con l'esperimento di cui è portabandiera l'ex conduttore di Matrix Alessio Vinci.

Agon Channel, questo il nome della nuova realtà (con capitali italici di Francesco Becchetti), scende dunque nell'agone mediatico e promette di farlo con uno slogan controverso: "Saremo la Ryanair dell'informazione". Cioè, low-cost... ma con quali vantaggi per l'utente tv, dato che dei "valori aggiunti" che sono il sale del giornalismo, Ryanair ne fa volentieri a meno?
Se si parla di abbattere i costi per realizzare trasmissioni in studio, allora è ok. Altrettanto importante è richiedere ai giornalisti di sapere confezionare un servizio dall'ideazione alla scrittura, dalle immagini al montaggio video. Sono finiti, cari colleghi, e da un pezzo, i tempi in cui basta battere sulla tastiera.

La mentalità di questo tipo potrebbe dare uno scossone per il benedetto ricambio generazionale. Ma - ovviamente - fare i San Tommaso non è un lusso, in questo caso è un dovere assoluto.

Anche perché, abbattere i costi di produzione va bene, ma abbattere i costi del giornalismo vivo (quei poveri esseri umani che producono e diffondono informazione) sarebbe un inutile, ennesimo massacro della categoria. Pedalare va bene, ma almeno una borraccia d'acqua per scalare le montagne ci vuole!

Agon Channel ha già fatto partire i casting per fiction e reality. Non proprio una tv alternativa, dunque (manco gli si chiede, in fondo si presenta come generalista).
Ma rimaniamo a quello che ci interessa. Dice Vinci: "Non c'è spazio per grandi redazioni e gente che realizza un servizio al giorno". 
Sacrosanto. Ma da lì a strizzare per pochi spicci giovani e meno giovani volenterosi giornalisti, il passo è breve.

martedì 15 luglio 2014

La classe media uccisa dalla finanza (e dal web)

Parlare di economia non è mai semplice. È un argomento importante che spesso spaventa il pubblico. Pensate allora quando il giovane regista Robert Kornbluth è andato in giro cercando finanziamenti per un documentario sulla progressiva sparizione della classe media e l'inasprirsi delle disuguaglianze sociali in America.

Alla fine c'è riuscito con il crowdfunding e con qualche sponsor (tra cui, di sicuro, Mini-BMW) e il lavoro è eccellente. Un film (Inequality for all) la cui visione è consigliata a tutti: rappresenta un saggio di chiarezza espositiva, leggerezza istruttiva nel trattare temi complessi e importanti e, non ultimo, lancia un messaggio positivo non facendo del catastrofismo ma invitando a riflettere. Il successo meritato è arrivato dal Sundance Festival e da moltissima stampa internazionale.

A farci da cicerone in questo breve ma utile viaggio è Robert Reich, brillante professore dell'Università di Berkley in California ed ex ministro del Lavoro nel primo mandato presidenziale di Bill Clinton (amministrazione controversa ma che sotto il profilo del welfare operò bene). Con umiltà, (auto)ironia e intelligenza, Reich – autore del libro che ha ispirato il film - ci spiega in modo sereno cosa è accaduto per ritrovarci a vivere peggio di come stavamo 40 anni fa... tutti tranne l'1% della popolazione.

L'esempio americano non è per niente distante dalla realtà dei Paesi europei, e anche del nostro. Alla fine del dopoguerra e del boom economico, è accaduto qualcosa. Dalla fine degli anni '70, gli stipendi del ceto medio si sono livellati e non sono cresciuti in proporzione al costo della vita in salita costante. Abbiamo assistito a globalizzazione, delocalizzazione, deregulation, meccanizzazione del lavoro.
Il divario sociale si è invece ampliato, da una parte favorendo una minoranza di ricchissimi (a cui le tasse sono state tagliate), dall'altra andando a penalizzare quello che da sempre è stato il propulsore dell'economia mondiale, il grosso dei lavoratori e la loro capacità di spesa.

Non sono i ricchi a produrre posti di lavoro. E' la maggioranza della popolazione, la classe media, attraverso i suoi acquisti, a far girare l'economia, a sostenere la produzione di beni di consumo e quindi a gettare i presupposti per l'imprenditoria e la creazione dei posti di lavoro necessari.

Un equilibrio ben esemplificato nella pellicola, attraverso un chiaro schema che illustra un circolo virtuoso: stipendi adeguati - consumi che salgono – assunzioni - maggiore gettito fiscale - più investimenti pubblici - lavoratori più istruiti - economia in crescita - produttività maggiore.
Mettete a tutti questi fattori il segno opposto, e vedrete la situazione che viviamo da ormai troppo tempo.

Ogni punto meriterebbe un approfondimento, ma basta rilevare come, attraverso i decenni, in alcuni Paesi mondiali una popolazione più istruita ha saputo generare un mercato del lavoro migliore e una capacità dell'individuo di trovare o creare nuovi impieghi. Dunque una società che ha saputo far fronte in modo migliore alla “crisi” che ha investito il mondo negli ultimi anni.

L'ultima parte della pellicola, pur senza catastrofismi, solleva un'importante domanda: come può la politica svolgere serenamente il suo ruolo di soggetto che dovrebbe tutelare tutti i cittadini e in particolare i più esposti ai rischi economici, se ogni anno che passa è sempre più bisognosa lei stessa di soldi e di “appoggi” di ricchi magnati? La realtà delle campagne elettorali americane è lampante, ma anche in Italia, da Berlusconi e Renzi, questo fenomeno è sempre più tangibile.
Il rischio è che la tutela della classe media, dei lavoratori, degli stipendi e delle fasce deboli si riduca soltanto a slogan e a poche, piccole, elemosine.


Ci sono poi le responsabilità del web e del progresso tecnologico, ma di queste parleremo in un prossimo post.

lunedì 14 luglio 2014

C'è carenza di onestà (ed eccesso d'informazione)

Il dibattito sul giornalismo va avanti da giorni con rinnovato vigore, ora declinato al blogging vs. fact checking, ora rivolto a capire quanti chiodi sulla bara abbia la professione stessa del giornalista.

Premesso che l'esercizio del fare informazione mai morirà, indipendentemente da qualità, quantità e modi di usufruirne, diverse riflessioni interessanti - di carattere etico e "generale" - arrivano dalle parole di un giornalista duro e puro come Massimo Fini su Linkiesta.

In pratica, prima di metterci a discettare su quanto e come il giornalismo sia morto e i giornalisti moribondi, dovremmo prima farci un esamino di coscienza come cittadini, e capire quanto i cambiamenti antropologici della nostra società vengano da lontano e abbiano condizionato l'atteggiamento con cui ci si approccia all'informazione, a livello professionale e di semplice consumo.


Dare di nuovo un senso a certe espressioni divenute inflazionate e svuotate di senso può essere un punto di partenza. "Onestà intellettuale", ad esempio. Tutti a tirare in ballo l'onestà intellettuale, persino per difendere posizioni indifendibili. "Coerenza", per continuare. Coerenza non significa perseguire nell'errore o non ammettere le proprie colpe, ma molti si riparano dietro questa interpretazione.

Fini dice una cosa da tenere a mente: L’onesta intellettuale è un atteggiamento mentale che dovrebbe rappresentare la normalità. Significa trattare nello stesso modo chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Una cosa se secondo te è sbagliata, o giusta, lo devi riconoscere indipendentemente da chi la fa.

Una banalità? Lo sarebbe se potessimo dire di riscontrare questo atteggiamento nella vita reale. Pensateci: quante volte vedete qualcosa del genere? Quante volte anche noi (professionisti o meno), applichiamo due pesi e due misure?


Giornalisti e intellettuali (altra categoria di cui si potrebbe discutere all'infinito) non sono più come agli albori della società moderna i cani da guardia che controllano il potere e la politica: questo perché, prosegue Fini, l'idolatria del denaro - o anche la semplice necessità - ha fatto crollare gli equilibri. E, possiamo aggiungere noi, anche l'ego e qualche volta la voglia di "contare qualcosa" al prezzo di diventare schiavi di certa politica o certe lobby.

L'informazione non è morta, ma in un certo senso è finita: finita per eccesso di informazione. Ogni giorno siamo circondati da un overflow di articoli, argomenti, opinioni, post, status, tweet tra i quali è difficile districarsi e quasi impossibile individuare dove sta la correttezza. Questo perché testate grandi e piccole, giornalisti noti e meno noti, spesso cadono nelle trappole della velocità, del sensazionalismo e dell'autoreferenzialità, soprattutto online.

Certo, grazie al web si stanno sviluppando anche nuove forme e nuovi canali di informazione, e il futuro è un work in progress
In fondo, anche se soluzioni a portata di mano nessuno ne ha, le regole da tener presenti dovrebbero essere semplici (e valgono per tutti, non solo per i giornalisti): essere onesti e fornire contenuti utili, non tentare di raggirare il lettore-utente con stratagemmi ma donare qualcosa di proprio e unico.

La politica della ricerca compulsiva del click sta volgendo al termine, i risultati parlano chiaro. Sopravviverà chi saprà trovare la propria nicchia di qualità, settorialità e competenza.

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- Formazione professionale giornalisti: cosa serve davvero?
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