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venerdì 17 ottobre 2014

10 Cose da Websocialcosi: Come scrivere il Titolo di un Post

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Sottotitolo: quello che TUTTI (i websocialcosi) dicono. E allora perché dovrei dirlo anche io?

Perché tu, caro lettore, meriti il meglio. E dato che in giro troverai un miliardo di post serissimi e bellissimi su tante cose (dallo scrivere i titoli, alla formula del post perfetto, dalle call-to-action a come muoverti sui social) meriti un approccio diverso, magari un po' critico, magari un po' beffardo, magari meno serioso ma riassuntivo, divertente e spassoso.

Lo troverai qui? Continua e vedrai! (offerta esente da diritto di recesso)
Un post sui titoli di un post è un evergreen, è anche una pratica noiosa se vogliamo, un qualcosa che ormai è talmente scontato che chiunque continua a scriverne in quantità per beccare traffico da quei poveri cristi che ancora cercano di capire qualcosa di copy e la formuletta magica (me compreso, ovviamente).
All'inizio il titolo di questo post doveva essere appunto:
COSE CHE DICONO TUTTI
ma sarebbe risultato un po' riduttivo, vero? Anche se in realtà lo dicono TUTTI, ma proprio tutti. Quindi dovevo infilarci un numero, una parola scema (indovinate?) un “come”, uno “scrivere” e ovviamente “post” e “titolo”. Gee.

Ho già scritto troppo, mentre tutti sanno che più o meno l'80% del pubblico web oltre al titolo non legge altro che due righe, allora per necessità metterò un

  1. che però non sarà seguito strettamente da un tip/consiglio/insegnamento/
MA
da una premessa necessaria:

Il titolo dei post non conta niente se il tuo post (e il tuo blog) fa schifo.
Chiariamo subito le tue intenzioni: cerchi di risollevare la vita del tuo blog sperando che un articolo (o qualche articolo) così-così con un buon titolo gli faccia da defibrillatore? Pfui!
La tua creatura web deve essere COSTANTEMENTE aggiornata, ricca di contenuti belli, ganzi, utili e divertenti da leggere. Speri che un titolo possa risollevare un articolo mediocre? Sbagli. Uno ci clicca, poi vede la fuffa e ti manda a quel paese... probabilmente per sempre.

Quindi, first of all: mettiti in testa che il titolo non è MIRACOLOSO, è solo una (piccola) parte del tutto (quel tutto che ti impone di farti il MAZZO), che il clic dell'utente non ti serve a niente - anzi, può essere deleterio - se dopo un buon titolo non si trova niente. Parafrasando un vecchio film italiano, SOTTO IL TITOLO NIENTE? E allora ripensa tutto.

Via con i numeri (da circo? forse):

  1. I numeri (quelli veri) funzionano, eccome. È scientificamente provato che, da buoni babbuini, andiamo a cliccare quello che ci sembra più “scientificamente” provato, e schiaffare un numero in apertura del titolo può regalare questo senso, sebbene in realtà uno veda nel numero anche/soprattutto la comodità di un elenco da consumare in 10 secondi netti. Tipo: 8 modi per... oppure 10 errori da non fare... Ah, ok... questo questo e questo: check. Questo non lo sapevo, anvedi che ganzo 'sto web-social-coso magari domani me lo rileggo”. Compreso?

  2. Fai una SPARATA. imparare dal peggior giornalismo e dai suoi titoli roboanti paga, inutile fare i puristi. Sparare una roba tipo QUESTO POST TI CAMBIERA' LA VITA fa sempre colpo ed è un metodo infido ma collaudato per acchiappare clic. Poi, il contenuto sono affari tuoi: se non gli cambi davvero la vita, a quello che ti legge, non lo rivedrai mai più sul tuo blogghetto/sitarello;

  3. Il titolo deve essere breve. Sì, lo so che tu vuoi raccontare QUELLO CHE HO IMPARATO DALLA MIA ESPERIENZA DI STAGISTA NON PAGATO E GUEST BLOGGER SFRUTTATO DAI CATTIVI LA' FUORI ECCO COME NON FARE LA MIA STESSA FINE, ma credimi, la lunghezza ok per il titolo sono sei-sette parole, se vuoi che la gente le legga. Devi essere maestro di sintesi e chiarezza, oltre che di ruffianeria verso il potenziale lettore. Comunque, gran parte del titolo precedente puoi riassumerlo con “coglione”;

  4. Fai una domanda. Ovviamente non “E adesso cosa scrivo?” (anche se, pensandoci bene, potrebbe essere un titolo che funziona bene)... insomma, hai capito, deve essere una domanda che cattura l'attenzione e tocca qualche nervo scoperto tipo: “Lavorare gratis danneggia la tua professionalità?”, e poi ti metti a sviscerare l'argomento in oggetto. Mi raccomando, poi nel post lascia sempre al lettore la possibilità di farsi un'idea adeguata, senza pensare che la TUA risposta possa essere quella assoluta.

  5. Superlativi e aggettivi come se piovesse (ma anche no). “La guida DEFINITIVA a...” - “8 metodi SPETTACOLARI per...” - “I 10 MIGLIORI tool...” - “Scrivere post PERFETTI...” - ho reso l'idea? Puoi anche metterne più di uno, senza esagerare però (ecco spiegato il ma anche no). Non sono necessari, ma sono dannatamente catchy. Non fare lo sbrodolone, dunque, ma punta a rendere la ciccia gustosa (o le verdurine, se sei vegetariano/a)

  6. Usa il NON tutto maiuscolo. Yes, alla gente piacciono i divieti, anche se può sembrarti strano. Hai sempre paura di fare quegli epic fail che un titolo evoca, quando lo vedi, vero? E ci clicchi per vedere se davvero sbagli qualcosa. That's psicologia, baby! Dunque, metti ansia al tuo lettore con un bel “Cosa NON fare su Twitter” oppure “5 orribili errori che NON devi scrivere...” e blablabla. Mi sto facendo paura da solo.

  7. Scrivi una cazzata. Sì, anche quelle aiutano. Non sempre e non troppo, ma se ci perdi un minuto, ogni tanto ne puoi trovare utile alla tua causa. Esci dal seminato e vai nel campo minato, ok? Parti dal titolo-cazzata e pensa al resto, chessò: a come scriverebbe un post sulla netiquette Bruce Willis. “La netiquette secondo Bruce Willis” - e poi giù a scrivere come si comporterebbe un action hero nei confronti di chi spamma nei gruppi di LinkedIn. Vabbè, è una cazzata come suggerimento. Scommetto che puoi fare di meglio, su.

  8. Fai una classifica. Anche tu aspett(av)i con ansia Hitlist Italia su Mtv ai tempi d'oro, eh? Bene, puoi fare la tua Superclassificashow su ogni argomento del web, basta corredarla di argomentazioni reali, utili e un po' spettacolari. E il titolo deve riflettere questo spirito: “I 5 migliori tool per infighettare la tue foto", tié.

  9. Sii chiaro, diretto, onesto, sexy e spregiudicato. Nessuno vuole un titolo complicato. Nessuno lo vuole generico. Nessuno lo vuole grigio come un impiegato di banca. Il titolo deve sedurre, conquistare, incuriosire, colpire con un pugno in mezzo agli occhi. È chiedere troppo? Allora torna a leggere i manualetti online di tutti i websocialcosi e lascia perdere il blogging. Per fare questo lavoro, baby, devi mettere in campo il 300% del tuo campionario intellettuale e del tuo fascino.

  10. Abbiamo finito.

Qui ci starebbe una call-to-action, ma ne scriveremo poi, e – detto fra noi – è una delle cose che mi piacciono di meno. Non devo convincerti a commentare, se non ne senti il bisogno. MA MI PIACEREBBE, OK? COMMENTA SE TI VA!
Ti voglio bene, caro lettore (se sei arrivato fin qui...)

Leggi anche:
- Come scrivere un dannatissimo BEL post!

mercoledì 15 ottobre 2014

Ma, un giorno, saremo davvero dei leader migliori?

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Proprio ieri, nel mio post di “ripartenza”, scrivevo quanti buoni e begli insegnamenti ci arrivano da tutte quelle persone che con il web (e non solo) lavorano ogni giorno.

Ebbene, girando per siti/blog/profili/note eccetera, sono anni che mi imbatto, come penso capiti anche a te ogni 2 per 3, in disquisizioni, regole e consigli di altissimo livello sul tema delle tecniche di leadership. Senza contare le centinaia e centinaia di pubblicazioni sull'argomento, dai titoli più o meno incredibili (dalla promessa di diventare campioni di leadership in una settimana a capolavori filosofici riletti “per il manager”).

Dimmi un po', caro lettore: ti sembra che finora, tra i veri o presunti leader con cui sei sicuramente entrato in contatto, questi insegnamenti saggi, illuminanti e possano dirsi entrati nel comune sentire ed agire?

Probabilmente no. Questo per diversi fattori, da quello generazionale a quello “tra il dire e il fare...”. Certo, ci sono delle eccezioni (io stesso, per fortuna, posso dirlo: c'è gente davvero in gamba, là fuori, ma è ancora in minoranza).

Ecco, se qualcosa deve dimostrare “l'invasione di consigli(eri)” di questa epoca, è proprio quella di essere utile. Lo stesso concetto che viene predicato da tutti i più-o-meno-guru del web-social: l'utilità che deve illuminare ogni sortita internettiana. Il contenuto utile, questo Santo Graal, come già ho scritto pure io.

Il mondo migliora soltanto se sappiamo migliorarlo: quindi, nel nostro piccolo, se tutti, alla prova dei fatti, messi davanti ad una esperienza di leadership riusciremo a dare il meglio seguendo quei precetti di umiltà, creatività, ascolto, condivisione e psicologia.

E tu mi dirai: dipende da come è fatta una persona, in fondo. Uno stronzo rimarrà sempre uno stronzo, dai libri prenderà solo quello che vuole e umanamente rimarrà comunque insopportabile. Uhm, come darti torto?

Se ragioni così, però, hai comunque la possibilità di cambiare le cose: segui la tua passione e cerca di diventare indipendente. Dunque, primo passo, cercare di diventare leader.

Secondo passo: rivelarsi migliore di “chi ci ha preceduto”, in tutti i sensi, anagrafico in primis.

Alla prova dei fatti, è comunque difficile. È difficile gestire una squadra, comprendere e affrontare ogni singola e spesso legittima esigenza di chi lavora con noi, settare e far rispettare le scadenze, rimproverare e poi premiare, tenere sotto controllo ogni singolo aspetto.

Ci vuole più umanità, più intelligenza emotiva, più sincerità assoluta o – quando si va a fare i conti con la realtà quotidiana – conta di più avere polso ed essere inflessibili (per non dire stronzi), per ottenere risultati? I “vecchi metodi” e la distanza empatica pagano di più di queste nuove dottrine che ci sentiamo ripetere ormai da ogni angolo del web?

martedì 14 ottobre 2014

Ricominciamo.

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“Oh no, Giac, ma cosa fai? Ti pare il titolo adatto all'articolo di un blog? Ma non hai imparato niente in questi ultimi anni?”

“Silenzio, Sadie, ho preso la mia decisione!”

Ciao, lettore. Non credo di averti mai presentato Sadie, la mia sadica coscienza social custode (che ha la forma di una piccola Living Dead Doll con le ali, non chiedermi perché).


Oggi Sadie – mentre mi svolazza attorno alla testa - è oltremodo allarmata perchè, dopo un po' che non scrivo, ho pensato di rivoluzionare l'approccio al blog.

Eccola che mi urla nell'orecchio: “Ma non esiste! Devi mantenere lo standard e fare quello che dicono tutti: pianificare il contenuto e corredarlo di un titolo che sia una piccola promessa al potenziale lettore, una domanda, presentare un tutorial, mettere un numero all'inizio e fare un elenco nel testo, aiutare a...”

“Ma vuoi stare zitta? Usciamo dalle regole, una volta tanto, ok? Ne ho già scritti parecchi. Scrivo di quello che riesco a mettere in pratica, non voglio ripetermi o peggio inventarmi roba copiando a caso. Non ci tengo a cercare di fare il social-web-guru 24/7, ok? Ci sono decine di persone e professionisti bravissimi che lo sanno fare benissimo e hanno ritmi, abitudini, tecniche efficaci e ineguagliabili”.

Sadie alza gli occhi al cielo mentre ripenso agli ultimi giorni della mia vita.

Due settimane! Due settimane di assenza da queste pagine, per le quali ti chiedo scusa, e mi scuso con il resto dei miei quattro lettori. E senza falsa modestia manzoniana: siete pochi, ma ci siete e siete costanti, lo dicono i numeri.

Due settimane in cui ho lavorato come un matto a QUESTA testata giornalistica online che finalmente ha visto la luce ed è ancora in pieno sviluppo, ho trovato persone fantastiche ed entusiaste che si sono unite al progetto. Poi beh, in attesa che quel sito faccia il suo dovere, ho anche – come sempre - lavorato per campare. Impegni, soddisfazioni, esperienze, conoscenze, strette di mano...

In poche parole, sono felice
“NO! - Sadie sta gridando isterica – Ma cosa dici? È il peccato peggiore sul web! Mai dire che sei felice e realizzato, ti odieranno tutti, nessuno vorrà leggerti! Scrivi che sei impegnato, ok... stressato, ancor meglio, che sei bravo a gestire i tuoi lavori con un calendario editoriale ma comunque passi la giornata davanti al pc, dì quanto è duro svegliarsi la mattina e trovare idee per scrivere cose per i tuoi clienti... ma non che sei FELICE, scemo!”

Un sorso di caffé. Diamine, sono felice e devo sentirmi in colpa? Ho trovato un equilibrio, riesco a gestire quasi tutto e pianificarmi la vita, sui social vado benino... e questo, va detto, dopo mesi e mesi di studio ragionato e sintesi durissima dei tanti insegnamenti che sul web dispensano - oh mamma, come li posso definire tutti in una sola parola? - bravi professionisti. Ad ogni parola ho messo un link, sì, è il mio modo per ringraziarli (dimentico di certo qualcuno - e non hanno certo bisogno del mio inutile linkaggio, ma era doveroso).

Cosa ho imparato in questi mesi? Al netto della necessaria e inevitabile auto-referenzialità di ogni esperto che, se ben gestita, genera un seguito spontaneo e salutare di persone... che sia il futuro, che sia una moda, che sia un abbaglio collettivo (che premia pochi, comunque) non importa: il web-social-qualcosa - marketing, writing, managing etc - è un impegno grande, un lavoro serio, una disciplina importante e nuova, ma che non sfugge a regole vecchie.

Del tipo: vuoi lavorare sul web? Spaccati la schiena. Studia. Fai pratica. Sbaglia. C'è tanta fuffa? Sì. Ci sono tanti venditori di fumo? Altrettanto. Ci sono quelli che si spacciano per il messia camuffando insegnamenti per pubblicità? Mi pare ovvio.

Invidie? Rancori? Miserie? Patetismo? A piene mani.

Esattamente come nella vita reale (che poi, anche basta con questa dicotomia: il web non è anche lui vita reale? Per caso ci passiamo ore virtuali o sono ore reali di vita reale?)

Capiamoci: se il Messia tornasse sulla Terra per aiutarti davvero a diventare un blogger migliore FOR FREE, lo metterebbero in croce (virtuale) tempo zero. 

Una cosa può comunque consolarti, caro lettore, ed è la stessa che consola me: sul web non si possono fermare le belle cose. Quelle fatte veramente con sincerità, con una bella attitudine e una reale utilità. A volte frutto della sola passione disinteressata.

Magari non saremo tu o io a trovare la formula del successo, ma qualcuno, ogni tanto, riuscirà a farlo, e sarà bello vedere l'evoluzione del percorso.

Dunque. Non vivere il web con l'ansia di dover dimostrare qualcosa o di raggiungere in modo facile determinati obiettivi, perché è il modo peggiore.
Vuoi farne la tua vita? Non dimenticare il resto. Lavora, e lavora sodo.

E poi, quando anche tu sarai sommerso dagli impegni, avrai esaurito la vena creativa, attraverserai un periodo di stress e rischierai il burnout, non troverai il tuo posto su questa terra (virtuale), tutti ti sembreranno falsi e opportunisti, sarai pieno di dubbi e domande... beh, staccati un po' dalla routine web-social. Fai un passo indietro. Prendi tempo, pensa, rifletti, sintetizza (con carta e penna) e poi:

RICOMINCIAMO.

Con buona pace di Sadie (che è ancora qui che mi guarda con occhi severissimi).
Alla prossima :-)

venerdì 12 settembre 2014

I social media... secondo Hitchcock

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Secondo me Alfred Hitchcock, grande regista e maestro del brivido, sarebbe stato anche uno splendido user dei social media. La sua intelligenza e il suo umorismo sarebbero stati utilissimi per sottolineare alcuni aspetti della vita online. Da cinefilo accanito, prendo avvio da tre citazioni del suo repertorio (dedicate al cinema ma applicabili al web) per analizzare alcuni aspetti social.

“Il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”

I social sono un po' così, no? Vediamo – e mostriamo – solo le parti interessanti e i contenuti che ci sembrano adatti. Un vero e proprio “montaggio” del film della nostra vita-azienda-attività-etc.

Peccato che per avere successo, nella vita vera e quindi anche nelle strategie di social marketing, ci sia dietro un grandissimo – e spesso noioso – lavoro da fare. Pianificazione, realizzazione, scrittura, programmazione...

Ma questo può essere esteso a qualsiasi lavoro, sia ben chiaro. Scordati di fare lo sbirro all'americana senza dover compilare migliaia di scartoffie. Non potrai essere i miglior sportivo della categoria se non ti distruggi per ore e giorni e mesi di allenamenti. Non esiste l'idea geniale che ti farà diventare milionario perché sei bello e bravo: dovrai sputare sangue per farla accettare e renderla di successo.

Non ci sono scorciatoie. Non ci sono jump-cut. Non ci sono montaggi antologici. C'è la tua vita, e ci sei tu: in mezzo, un sacco di fatica.


"C'è qualcosa di più importante della logica: l'immaginazione"

Ok, ti sei fatto una cultura su social media marketing, sullo storytelling, sul blogwriting, hai letto ogni singolo post presente sul web e tutte le pubblicazioni sul come brandizzarti, su come trovare clienti tra le PMI, i 10 modi per fare breccia su facebook-twitter-pinterest-tumblr-googleplus.

Sei una dannata macchina da guerra, il Robocop del web, il Terminator delle relazioni online, siano b2c che b2c. Bravo.

Adesso dimentica tutto quello che hai imparato e segui il cuore. Lascia da parte un attimo il cervello. Devi capire cosa ti può rendere unico e speciale, cosa può renderti diverso da tutti gli altri là fuori. Che hanno letto, studiato e messo in pratica le tue stesse cose. Anzi, di più.

Pensa fuori dagli schemi e segui ciò che senti. Poi attacca il cervello e la logica.

"Il cinema non è un pezzo di vita... è un pezzo di torta"

Indovina un po'? I social non sono la vita vera! Sono belli, a volte sono pure buoni, non parliamo poi della loro utilità.

Ma non cadere mai nell'errore di considerarli come vita reale o di prenderli per oro colato. O peggio, farne il centro della tua vita.

Utilizzare i social media è un po' come utilizzare uno strumento o guidare l'auto: non vorrai mica mangiare, dormire e incontrare persone dentro un'auto, vero? (Ok, magari in auto si può fare altro, ma questo non è quel tipo di blog!)

Morale della favola: se la vita non è un film, la vita non è neppure internet.

Sembra una banalità sconcertante, eppure fa sempre bene ricordarselo: staccarsi dal pc o dal tablet e fare una bella overdose di vita, incontrare persone, socializzare online è la cosa migliore di tutte, il punto cardinale delle tue attività.

E stasera, tutti a farsi una maratona di film del vecchio Hitch!

Se ti va di leggere ancora qualcosa...

martedì 9 settembre 2014

Il potere del clic. Anzi, del non clic

Penso che esistano pochi concetti noiosi al mondo quanto quello di responsabilità.

Non fraintendermi, prendo sul serio il senso di responsabilità, non potrei vivere senza, nel privato come nel lavoro. Ma guardiamoci in faccia e diciamoci le cose come stanno: tu forse bevi sempre responsabilmente? O guidi sempre responsabilmente? Hai uno stile di vita per cui dormi, mangi, fai movimento in modo responsabile? O prendi ogni singola decisione nella vita assumendoti tutte le responsabilità?

Non credo. È assolutamente umano (e parlo per esperienza).
Così come è logico sbuffare o rovesciare gli occhi non appena senti qualcuno iniziare una frase con, tipo: “Bisogna essere responsabili... bla bla bla”.

A quel punto, ci scommetto, hai già staccato il cervello.
Tra i tanti concetti abusati e bistrattati dei nostri tempi, infatti, quello di responsabilità è uno dei primi della lista.

Bene, io sono qui, adesso, a scriverti in questo post che cliccare responsabilmente può cambiare il mondo. Il mondo online, poi chissà.


Mi spiego meglio: sul web l'evoluzione passa da come l'utente si comporta online. Ogni azione è preceduta da un clic, nella stragrande maggioranza dei casi: con quelli di aprono link, si danno consensi, si mettono mi piace e si fanno condivisioni.

Ora, ogni giorno ci lamentiamo che c'è qualcosa là fuori, sul web, che non ci piace. E magari ci scagliamo contro questa cosa con particolare veemenza.

C'è persino chi arriva a creare veri e propri flame (se non a trollare) per distruggere qualcosa che detesta. Nella maggior parte dei casi, è uno spreco di energie e di creatività.

Mai come adesso possiamo capire quanto l'indifferenza (dunque il non-clic) sia un'arma potente nelle mani degli utenti del web. I banner pubblicitari sono ingannatori? Non clicchiamoci sopra: dopo un po' ci siamo arrivati, i banner sono in via di estinzione, ecco allora qualcosa “di meglio”, magari un native advertising meno “offensivo e più impegnativo per chi lo promuove.

I titoli sensazionalistici dei siti d'informazione ti fanno schifo? Quelli smaccatamente utilizzati come “amo” per acchiappare visite ti insultano? Il gossip ti deprime? Non cliccare sulla notizia o sul post, non perdere neppure tempo a commentare. Se il riscontro cala sensibilmente, chi di dovere prenderà provvedimenti e vedrai meno contenuti del genere in giro.

Regola generale: se non fa discutere, se non genera numeri, non esiste.

Possiamo riuscire, attraverso il nostro non-clic, a ridimensionare o far evolvere quello che “non ci piace”.

Il modo in cui utilizziamo i nostri clic può davvero cambiare il mondo. Ogni volta che clicchi su qualcosa esprimi una concreta e determinante azione pubblica, anche se non te ne rendi conto. Non solo perché (forse) sei monitorato e produci dati da analizzare, ma perché determini il successo del contenuto che decidi di aprire.

Dobbiamo solo esserne più consapevoli e utilizzare il potere del (non) clic con – ok, adesso puoi sbadigliare – maggiore senso di responsabilità.

Le cose non potranno che andare meglio. Il cambiamento è sempre qualcosa di positivo, no?


Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no)

lunedì 8 settembre 2014

Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no!)

A proposito, se qualcuno qui lavora nella pubblicità o nel marketing... uccidetevi!”.

Bill Hicks è stato uno dei comici più brillanti, caustici e paradossali del ventesimo secolo. Rivedendo qualche sera fa la registrazione di uno dei suoi migliori spettacoli, mi ha colpito la veemenza con la quale si scagliava contro il mondo dell'advertising: era il 1993 (poco prima della sua morte per malattia).

Bill se la prendeva soprattutto con il modo di fare pubblicità bolso, aggressivo e sessualizzato degli anni '80 e dei primi anni '90, in un contesto storico dove i rampanti 'yuppies' e i giovani imprenditori avrebbero venduto anche le loro mamme per fare affari guadagnare montagne di soldi.

Internet, per inciso, era un neonato e ben lungi dal suo pieno sviluppo, tantomeno si poteva pensare alla rivoluzione dell'online marketing o del social media marketing.

Anche se i tempi sono radicalmente cambiati, Bill dice cose – condivise dal pubblico – che hanno una valenza universale: i pubblicitari-marketingari, definiti “la progenie di Satana” sono capaci di vendere qualsiasi cosa a chiunque, fregandosene di tutto il resto e soprattutto, guardando il mondo con occhi che stampano il simbolo della moneta corrente su qualsiasi oggetto o persona, riempiendo “di spazzatura” il mondo circostante.



Non è forse l'idea ancora radicata nella testa di tantissima gente? Lavori nel marketing? Oh, sei un tizio senza scrupoli e tendenzialmente bugiardo di cui è meglio non fidarsi. O farlo con molta cautela. (Un po' come i giornalisti, e parlo da giornalista, lo so bene...)

I media sono cambiati, la pubblicità lo ha fatto poco: prima c'erano spot tv invadenti, cartelloni aggressivi, offerte telefoniche, eccetera. Su internet? Banner invadenti, pop-up aggressivi e fastidiosi, subdole tecniche di clic-baiting, eccetera.

Eppure, di certo lo sai, queste sono ormai strategie perdenti.

Il web ci ha resi liberi anche da questo modo di fare di pubblicità, ci sono voluti tempo e un po' di fatica, ma finalmente sembra che il modello “televisivo” sia superato e che l'utente si sia stufato.

Ci vuole coinvolgimento, ci vogliono autenticità e sincerità nei messaggi, serve il dialogo tra produttore e consumatore, è necessario un nuovo modo di presentare e raccontare la propria storia invece di fotografare un prodotto e stamparci sopra un prezzo. Storytelling, branding, social strategy, ma soprattutto educazione e correttezza verso il “tuo” consumatore.

La domanda è: cosa avrebbe pensato di Bill Hicks di questi nuovi fenomeni? Come avrebbe scherzato (dicendo quindi la verità) sul modo di fare marketing dei giorni nostri, sul web? Ma soprattutto: quando ti guardi allo specchio, tu giovane, rampante professionista del social media marketing, vedi un piccolo aiutante di Satana?

Se vuoi fare marketing in questo nuovo, strano mondo (per dirla alla Star Trek), non devi ucciderti. Devi uccidere il piccolo aiutante di Satana che c'è in te, togliere il simbolo della moneta da ogni elemento del mondo e vivere la tua professione con onestà, trasparenza e voglia di raccontare.


Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Hai scritto un bel post? Promuovilo come un reporter d'assalto!

martedì 26 agosto 2014

La vita (non) è tutta un SELFIE, neppure in tv!

Quando il cinema e la tv si occupano delle “nuove tendenze”, in particolare di tecnologia, spesso queste vengono approcciate in maniera goffa e poco rispettosa della loro natura.

Figuriamoci quindi cosa può succedere con una serie che si intitola Selfie... sì, avete letto bene, proprio come quelli che vi fate in continuazione. Una serie tv che, dunque, dovrebbe parlare di social media, o almeno affrontarli come motore delle vicende.

Prima di farvi venire l'orticaria – se non sopportate i selfie – rilassatevi: il telefilm, in onda sul canale americano ABC, non tratta di dodicenni o superstar con tendenze megalomani, ma di una sciacquetta di effimero successo online che deve riprendersi da un epic fail...

La cosa migliore di questo pilot (cioè primo episodio) sono i due protagonisti, Karen Gillan (la “storica” Amy Pond di Doctor Who) e John Cho (il Sulu del nuovo Star Trek al cinema).

Lei, Eliza, è una ex-bruttina della scuola adesso trendsetter e maniaca dei social, mentre lui, Henry, un esperto di marketing che odia la falsità dei rapporti online, ipercritico e metodico. Entrambi gli attori sono molto bravi e in parte, e salvano il prodotto dal naufragio alla prima sortita.

Non pensate, però, di trovarvi di fronte ad un prodotto che parla di internet e di web marketing: come i nomi dei due personaggi suggeriscono, siamo dalle parti di una sorta di remake moderno di My Fair Lady. Lei non è autentica e deve ricostruirsi un'immagine, lui è un riservato esperto in materia: uno scontro tra opposti che finiranno per attrarsi, con il mondo dei social a fare da teatro, invece di quello dell'alta società.

Il difetto di questo primo “assaggio” sta nell'indecisione del prodotto nel coniugare l'anima “al passo con i tempi” all'impianto vecchio stile: alla fine l'utilizzo dei social viene affrontato come la solita “diavoleria moderna” che ostacola la vita reale e non rappresenta una fonte di rapporti utili e veri. Non si contano le battute piuttosto banali in materia (tipo lo scambio “La tua mancanza di rapporti sociali ti rende così bravo a lavoro?” “Mi sembra facile non creare connessioni in una città che apprezza solo la connessione wi-fi”) così come le scene in cui gli amici virtuali non rispondono ai messaggi – anzi, non sono empatici! - e non interagiscono quando Eliza si sente giù.

Andiamo, se fosse una vera instagramer/tweetstar per lei sarebbe semplicissimo ricevere feedback positivi anche per il suo stato d'animo contrariato (magari con un selfie without makeup?). Ok, magari non le porterebbero il ginger ale a casa come lei vorrebbe, ma questa cosa del tanti amici online-nessun amico vero è un po' stiracchiata.

Se c'è qualcosa che puoi imparare da questo primo episodio di Selfie, è avere la netta sensazione che i vezzi di scrittura più grossolani siano proprio lo specchio della percezione che hanno “di noi” le molt(issim)e persone non social-pratiche (o non social-enthusiast).

Considerato però che il pubblico di riferimento è quello giovane e smaliziato, come si risolverà questa ambiguità della serie tv?

Beh, io intanto continuo a vederla.

Vuoi leggere ancora qualcosa? Prova...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
- Prima di pensare al successo... migliora te stesso!

lunedì 25 agosto 2014

Il contenuto utile è il Santo Graal. Ma come trovarlo?

Fonte
Fermo lì, gentile lettore, rimani incollato a questo articolo: ti spiegherò quanto e come un post nel tuo blog può essere (ritenuto) utile.

Ok, ci ho provato. Non sono ancora particolarmente bravo negli “attacchi” dei post, eh?
Quello che ho tentato di fare è lanciarti una secchiata d'acqua fredda nella prima riga e mezzo, per poterti presentare una piccola riflessione su ciò che si intende per contenuto utile.

Dopo mesi di letture in lungo e in largo per il web, su temi che riguardano informazione, social media, marketing e tecnologia, ho – da modesto giornalista quale sono – rilevato una semplice suddivisione di tipologie di utilità, che tu, scafato surfer internettiano, magari troverai ovvia. Però...

Tutorial (inglobo qui anche l'elenco di risorse), commenti & notizie, post “di sostanza” (temi generali, elaborazione di dati, teorie). Tralascio – al momento – interviste e recensioni, utili sì ma spesso in ottica di “semplice” smm, mentre i guest post possono ricadere in ognuna delle categorie sopra esposte.

Per uno come me che arriva dal mondo giornalistico, il tutorial è un po' come la notizia “di servizio”, fatta di elementi utili ma non interessante in sè. È vero, rimane per chi lo ha scritto un “patrimonio” dalla vita lunga, che non scade per molto tempo e che probabilmente otterrà accessi giornalieri costanti per diversi mesi, se non addirittura anni – fino al prossimo aggiornamento del sistema affrontato.

Ci sono poi i post che commentano notizie o fatti “del giorno” (es. la campagna #coglioneno, il dibattito sul giornalismo online) che sono l'equivalente delle notizie di cronaca nera o i lanci ANSA sulle dichiarazioni dei politici: spesso sono riflessioni di un certo interesse ma nascono e muoiono in quel preciso istante ed hanno un periodo di vita abbastanza breve, considerato anche che non possono essere aggiornate, se non in modo limitato ed episodico.

Infine, abbiamo i post “di sostanza”. Laddove nel mondo dell'informazione un articolo narrativo su un grande tema – lo storytelling applicato ad un fatto, elevato a sociologia - può raccogliere innumerevoli clic e avere una vita editoriale potenzialmente infinita, così alcuni post dedicati alle questioni centrali e cruciali dei social media, di internet e del web marketing possono durare in eterno.

Questa, per me, è la vera utilità che va oltre il (semplice?) risolvere un problema immediato dell'utente generico del www.

Non è sempre vero che un articolo breve è un articolo di successo (e viceversa). Lo è, spesso, in relazione alla chiarezza espositiva e alla gradevolezza della formattazione del testo. Un post di content marketing non è una pallosa nota politica: il pubblico che legge un articolo sui social o su un argomento che gli sta particolarmente a cuore, nonostante vada adescato con un incipit fenomenale, avrà una soglia d'attenzione più alta e non gli peserà la manina per scollare un po' in basso.

Statisticamente parlando, è anche più probabile che un utente, leggendo un articolo bello, illuminante e ricco di spunti, sia stimolato a salvarlo nei preferiti e a mandare a memoria il nome dell'autore (che poi verrà seguito su Twitter, sulla sua pagina FB, su LinkedIn...) rispetto ad un semplice tutorial.

Correggimi se sbaglio, ma spesso se vai a consultare un tutorial lo utilizzi soltanto per risolvere la tua necessità del momento e poi lo chiudi, a meno di non trovare qualcosa di veramente interessante.

Questo ci insegna che, certo, bisogna essere fighi anche nello scrivere delle semplici istruzioni (altro che il manualetto della radiosveglia!).

E tu come la pensi?

...e se hai voglia di leggere ancora qualcosa...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
- L'idea (è) l'azione: tre consigli (e un esempio)
- Prima di pensare al successo... migliora te stesso!

lunedì 11 agosto 2014

Romanticismo social: matrimonio con Coca-Cola

Adesso ti darò una notizia sconvolgente: ebbene sì, la Coca-Cola può essere utilizzata per fini romantici e non soltanto per far esplodere la bottiglia in faccia ai vostri amici grazie alle Mentos
Donnie McGilvray ha postato la foto qua sotto sulla pagina Facebook di Coca-Cola, illustrando la bella sorpresa allestita in frigorifero alla sua ragazza. Risultato: oltre 1 milione di like e 50 mila condivisioni... oltre ovviamente ad un matrimonio!


L'azienda non ha perso tempo ed ha prontamente sfruttato il successo per fare gli auguri alla coppia. Che le etichette siano state photoshoppate o meno per ottenere il risultato, non resta che fare i complimenti a Donnie.
E brava Coca-Cola.


E adesso qualche link un po' meno romantico...
- Perché quando parlo nessuno mi ascolta?

mercoledì 9 luglio 2014

Il giornalismo è vivo (ma rischia la zombificazione)

Inizio da una riflessione interessante proposta da TagliaBlog, che torna sul tema della caduta libera della qualità del giornalismo online.

È vero, ormai ogni giorno le notizie che ci saltano addosso e ci aggrediscono online sembrano essere praticamente soltanto quelle più strampalate. In pratica non c'è una via di mezzo: si passa dallo stile “cronaca vera” (animali, gente impazzita, malattie assurde) alla cronaca nera affrontata in modo morboso e superficiale.

I danni per l'autorevolezza del giornalismo (inteso come professione) sono incalcolabili.
Ma la (triste) realtà è che il pessimo giornalismo è sempre esistito, esiste e sempre esisterà. È un sistema contro il quale bisogna battersi. E ci si batte sia facendo buona informazione, da professionisti, sia chiedendo che l'informazione sia utile e onesta, da lettori.

Certo, se tutti – anche le grandi e storiche testate - si piegano al più bieco link/like/click baiting sembra non esserci speranza.
Eppure a ben guardare sono pochi gli articoli-fuffa. I giornali online propongono moltissimi articoli, di tante e diverse tipologie (penso alla sanità, l'economia, la tecnologia): però, ad avere risalto sono sempre quei pochi pezzi che possono garantire un “gancio” che porti più traffico possibile sul sito.

Diciamoci la verità: le testate giornalistiche hanno acquisito le brutte abitudini che appartengono al peggior marketing.
Scrittura frettolosa, propaganda facilona, autoreferenzialità, “prostituzione” a fine di vantaggi/contatti/visite/sponsor... però sono cose che esistono dall'alba dei tempi.
D'altro canto, non si può rimproverare alla stampa di cercare di acchiappare lettori facendo del sensazionalismo o dei titoli d'impatto. Succedeva con gli strilloni nelle strade alla fine del'Ottocento, succede anche adesso. Bisogna però considerare che esistono diverse tipologie di lettori, da quello attento e preparato a quello che (soprattutto online) cerca uno spin-off dalla sua routine. Anche il giornalismo punta a dove tira il mercato.
Se poi da lì si arriva ad altri argomenti, soprattutto se più interessanti e intelligenti, tanto meglio.

Non si può però non collegare il cambiamento radicale del modo di fare e proporre giornalismo all'ascesa e all'importanza dei blog, un evento che ha rivoluzionato la storia.
Non sempre è tutto oro quello che luccica, e i blogger più scafati e integerrimi lo sanno bene: spesso dietro ad alcuni blog (e penso soprattutto a quelli che in USA hanno finito per sovrastare alcuni canali ufficiali) ci sono individui che scambiano e spacciano le proprie opinioni per notizie verificate e le proprie tesi come verità rivelate. L'industria delle notizie si è accorta di questo fenomeno e ha tentato – e tenta tutt'ora, anche da noi - di appropriarsene declinandolo in vari modi.

Nel migliore dei casi, assoldando il blogger autorevole per creare contenuti autorevoli, nel peggiore reclutando blogger-scimmie e pagandoli per il volume di traffico internet generato (sempre che si parli di soldi, perché ad alcune scimmie va bene anche la gratuità). La colpa è di chi offre questo tipo di lavoro o di chi lo accetta?

Attenzione, qui non si vogliono attribuire con leggerezza delle responsabilità. Una domanda, però, dobbiamo farcela. Il “peccato originale” è di chi produce giornalismo (/comunicazione) spazzatura o di chi ne usufruisce, quasi sempre consapevolmente?

Non dobbiamo infatti dimenticare un punto fondamentale: non è merito o demerito dei giornalisti, nè tantomeno dei blogger, se gran parte dell'utenza di internet preferisce i gattini nelle scatole alle notizie di economia, o se viene attirata dal titolo idiota (“Bambina schiaffeggia madre con un fetta di pizza e le salva la vita”) invece che dal titolo o dall'articolo confezionato con competenza, onestà e professionalità.

E' un problema più complesso e articolato, una questione che – probabilmente – dovrebbe far riflettere sulla nostra stessa società (e l'umanità intera), o rivedere le proprie strumentali fantasie “sull'internet libera tutti”, motore di cultura, progresso, innovazione.

In sostanza, per parafrasare un inflazionato modello di tautologie che risponde al nome di Forrest Gump, morto è chi il morto fa.
Ma non parlerei esattamente di morti: piuttosto di zombi, che diffondono un morbo.
L'immagine forse è un po' forte, ma beh, il problema è serio!
Sono zombi i giornalisti che inseguono il titolo acchiappa-clic e il giornalismo con contenuti acchiappa-clic.
La qualità costa fatica. Tempo. Sudore. Frustrazione (i risultati si vedono sul lungo termine, si sa).
Fare del giornalismo utile e corretto paga. Così come del blogging sano e rispettoso.
Ben vengano le riflessioni, gli spunti critici, le polemiche, le provocazioni.


Anche se la vera rivoluzione avverrebbe se gattini nei vasi, squali ballerini, starlette malvestite e malattie assurde non fossero gli argomenti costantemente in testa nelle classifiche dei post più cliccati, sempre e comunque...

Articoli correlati:

mercoledì 25 giugno 2014

Un morso al social marketing, i brand ringraziano Luis Suarez

Social marketing con occhi e tastiere sempre pronti, ormai è regola: e se Luis Suarez sgranocchia la spalla di Chiellini durante il Mondiale di calcio, subito sotto a sfruttare l'ondata virale di status, tweet e meme.

In principio furono gli Oreo, quei bellissimi biscottini neri col ripieno di latte che da piccolo definivo "i Ringo negativi" (anche se i Ringo il nero già ce lo avevano).
Il 4 febbraio del 2013, durante il Superbowl, tirano fuori sui social (Twitter) in pochissimo tempo un'immagine che sfrutta il blackout avvenuto nello stadio di New Orleans: 
Alè, case study bello e pronto per social media manager, esperti di (social) marketing e via dicendo. La velocità di una battuta tradotta in instant-spot con il linguaggio ironico e immediato della rete. Bel colpo.

Da allora di caratteri ne sono passati sugli schermi e adesso tutti sono più pronti all'azione. Persino a casa nostra. Basta un evento fuori dall'ordinario, come può essere un morso tra giocatori in una partita del Mondiale brasiliano, e tutti piombano come falchi. Tutti, o meglio, chi può sfruttare l'accaduto perché è un brand legato alla "masticazione".
Pronti via: ecco chi si occupa di hamburger, patatine, bistecche e merendine

Cosa si nota? Che c'è ben poca inventiva e tutti giocano sulla retorica del cibo, del gusto e del morso. Niente elaborazioni grafiche, semplice sfruttamento del fatto avvenuto. 

Poi ci sono i brand che invece si occupano della salute dei denti (o le birre che si aprono con i denti)



E i nostri? Beh, c'è da dire che, al bando l'originalità, Barilla e Pavesi (Gocciole) ci hanno messo impegno:

Infine, come non citare i migliori esempi: quelli della tv, con Discovery Channel e AMC-Fox, che forte del comportamento da zombi (anche cerebrale) di Luis Suarez ha rilanciato il successone The Walking Dead

Se ti va, puoi leggere anche:

- Marketing dell'antirazzismo (con banane)
- Davvero nel giornalismo servono foto-shock?
- Dylan Dog e una generazione allo specchio

lunedì 5 maggio 2014

GennyCuloPelù, le notizie che si mangiano le altre notizie (ma quali?)

Bikini provocateur (ci arriviamo tra poco)
“Cosa mi sto perdendo?”
Ecco, la domanda che mi pongo quando inizio a vedere per troppo tempo le stesse notizie - o non-notizie, a seconda del caso - sui media è più o meno questa.
Quando il martellamento acchiappa-clic (o share, o copie) inizia a battere su quei 3-4 tasti ripetuti per giorni, tra fatti, opinioni, repliche e controrepliche, “ironia della rete” (meravigliosa espressione ormai cult che prelude a utilissime gallerie di screenshot e meme rubati ovunque), finisce che mi sorge il dubbio che dietro a questo wall of sound si nasconda qualche altra nota.
Non che spesso gli argomenti su cui marcia la gioiosa macchina della grande informazione non siano fonte di riflessioni particolari: tipo la schizofrenia democratica relativa all'attacco di Piero Pelù al premier Matteo Renzi, che ha scoperto i nervi un po' poco elastici della sinistra sul diritto di critica e di provocazione da parte degli artisti.
Pieroooooooh, dai reality alla dura realtà.
O, passando a roba ben più grave, quanto accaduto durante la partita di calcio Fiorentina-Napoli, dove gli scontri, i feriti di cui uno gravissimo e il gioco subordinato ai diktat ultrà sono passati immediatamente in secondo piano rispetto alla prepotenza mediatica (in linea col personaggio) dell'ormai iconico Genny 'a carogna – che con quel nickname potrebbe essere messo tra Il Mastino e la Montagna del Trono di spade – capace di ispirare fin da subito, oltre ad accese discussioni, anche migliaia di parodie e pagine fan sui social. Rileggo questa frase e un brivido mi percorre la schiena, ma tant'è.
Paola Bacchiddu castigatissima (su Twitter)
C'è poi la vicenda del culo della responsabile della comunicazione della Lista Tsipras, Paola Bacchiddu (giornalista, co-fondatrice di Linkiesta). La storia è questa: le campagne mediatiche della lista elettorale, nonostante impegno e inventiva, non fanno breccia e la stampa non se ne occupa. Sicchè, quasi per disperazione, la Paola caccia fuori dal cilindro un gesto ironico di protesta. Pubblica su Facebook una foto delle vacanze dove a risaltare è il suo onestamente ragguardevole fisico, fasciato da un bikini bianco, e scrive: “Uso qualunque mezzo, votate Tsipras”. Apriti cielo.
Tutti i media, boccaloni, ci cascano. Iniziamo la galleria degli orrori.
  • Provocazione”: vabbè, la posa della Bacchiddu non è delle più istituzionali, ma da quando un bikini è considerato provocatorio? Tra l'altro nello status che accompagna la foto non c'è neppure alcune accusa “provocatoria” (se vogliamo cercare anche un altro senso all'espressione) ma semplice ironia.
  • D'altra parte va registrato che questa trovata estemporanea, che ha avuto mediaticamente molto più successo di qualsiasi altra iniziativa studiata e meditata, suona quasi come un'abdicazione al ruolo di comunicatore. Dare alla gente quello che la gente vuole? Cercare la scorciatoia del facilona del “purchè se ne parli”? Sì, ma di cosa si parla: di Tsipras, dei suoi programmi, della sua lista? No. Si parla del culo di una che lavora per lui. Qualcuno andrà a cercarsi informazioni ulteriori sulla lista Tsipras? Non credo, magari qualcuno chiederà l'amicizia alla Bacchiddu su FB o si metterà a fare il lurker sul suo profilo a caccia di altre foto provocanti.
  • I media ci passano come i soliti boccaloni che si fotocopiano contenuti, senza neppure articolare troppo la questione, lasciando ai commentatori, sui loro blog ospiti delle varie testate, il compito di discettare sulle implicazioni di questa o quella reazione (anche lì, solita zuppa: bacchettoni vs. creativi con le varie sfumature).
Genny va come ciliegina sulla torta. Ciao.
Sipario, fino al prossimo fenomeno di costume, litigio o personaggio equivoco, ormai un appuntamento che si verifica con frequenza piuttosto allarmante.

Ah, per chi si ricordasse la domanda iniziale: forse, accecati e rintronati dalla virulenza del concerto di Genny & culi, ci stiamo perdendo per strada informazioni su come stia procedendo il dibattito sul lavoro, sui beneamati 80 euro per 11 milioni di italiani e le perplessità dell'Unione europea sulla ripresa economica del nostro Paese, con i dati dell'Istat per nulla confortanti anche in vista del prossimo anno... 

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