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martedì 28 ottobre 2014

10 Cose da Websocialcosi: Come Pensare e Scrivere un BEL Post per il tuo Blog

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Hai due righe per fare colpo sul lettore. Due righe.

Cosa fai? Gli dici che ha due righe per fare colpo sul lettore in un post scritto per dirgli come fare colpo sul lettore con i suoi post.

Pensa ad un piccolo cagnolino bagnato e bisognoso di affetto che ti guarda con i suoi grandi occhioni in attesa di affetto e riparo: irresistibile e emozionante! Ecco, il tuo post deve esercitare lo stesso effetto con il lettore, con la promessa di tanto amore.

Sei ancora qui? Oppure sei andato a cercarti l'ennesimo articolo che si apre con un “Vuoi sapere come scrivere il post perfetto? Bene, adesso ti dico come fare per scrivere il post perfetto. Se vuoi scrivere il post perfetto, continua a leggere questo articolo scritto per spiegarti come si scrive il post perfetto...” (non ho bisogno di aggiungere altro, vero?)

Non c'è trucco e non c'è inganno: non ti darò la solita formuletta per poi dirti che devi essere autentico – ma davvero nessuno si rende conto delle contraddizioni? -, non ti fornirò neppure infografiche né tantomeno numeri che puoi trovare in altri posti.

Qui ti farò pensare un pochettino sul senso dei tuoi post.

Questa è l'unica promessa - che secondo l'opinione comune dovrebbe caratterizzare tutti i post – che ti faccio: se scrivi qualcosa sul tuo blog è perché vuoi offrire qualcosa a chi è appassionato e/o ha bisogno di qualcosa, guadagnandoci di ritorno “in visibilità” e riconoscimento.

Allora via! Anzi, stop. Prima di scrivere hai bisogno di una lunga fase di studio. Lo hai fatto? Hai meditato bene sui macro-argomenti, li hai divisi in singoli aspetti da affrontare e hai individuato già quali e quanti post realizzare?

Una volta dopo aver strutturato bene nella tua testa tutto questo, puoi iniziare a scrivere i tuoi post. Scrivere per il web è un esercizio utilissimo e può dare grandi soddisfazioni. Ti insegna ad essere preciso, chiaro, attento e personale. 
Continua a scrivere, segui chi ti piace e impara da loro. Adesso però, permettimi di darti una mano a ragionare su quelle cose che ti sentirai dire in ogni angolo dell'internet.

  1. Incipit folgorante. Chuck Norris e i suoi calci rotanti devono essere NIENTE in confronto all'attacco dei tuoi post. Solo che tu hai una tastiera, e la devi usare meglio del semplice sbatterla in faccia al prossimo. Puoi farcela: parti col botto, tipo con frase lapidaria, o domanda secca, o citazione saggia (attinente). Devi dare TUTTO nelle prime dieci parole. Pensaci. E ripensaci. Non fare il furbo, ripensaci ancora.
  2. La promessa. Va bene, devi far capire bene di che cosa parlerai e come lo farai, ma ricordati che hai già un titolo. Se io ho cliccato arrivando da te perché mi hai scritto Ecco come scrivere un bel post, non serve che me lo ripeti per tre righe. Dammi qualche motivo per cui il tuo articolo dovrebbe essere meglio degli altri, non stare lì a dirmi semplicemente che adesso mi dirai le regole per scrivere un bel post. Le ripetizioni e le ridondanze sono odiose. Lo stesso vale per – chessò – una recensione di modellismo. Dimmi perché la tua è meglio delle altre, o spara qualcosa che mi tenga incollato fino alla fine, ok?
  3. Le emozioni. Hai presente il cagnolino bagnato e bisognoso di affetto che dicevo in apertura? Ho giocato sporco, lo ammetto. Magari lo hai visualizzato, magari no: sei senza cuore, o ti piacciono i gatti. Però ha un'alta probabilità di funzionare. Funziona meglio, naturalmente, se riesci a scrivere in due righe qualcosa in cui l'utente si possa identificare. Esempio: Perché dovresti leggere? Perché nella vita di tutti i giorni ti sarà certamente capitato... (ma per carità, scrivi cose che DAVVERO hai visto e vissuto, altrimenti meglio tacere)
  4. Elenchi, immagini, clic-to-tweet e altre robine carine e spezza-testo. Certo, la varietà è utile, no? Ma va utilizzata con criterio. Un elenco è spesso il corpo del testo, quindi deve essere preciso, veloce, essenziale, chiaro. Le immagini sono belle e generano attenzione, ma non metterne 5 in un post di mezza pagina, eh. Secondo me, anche due spesso sono troppe. Parti sempre dal less is more, almeno per quanto riguarda il “carico visivo”: e pure con citazioni ed embed vacci piano: dal carino all'insopportabile il passo è brevissimo.
  5. Stile. Stile è una parola che mi piace. Anzi, l'adoro. Lo stile, per me, è tutto o quasi. Non voglio leggere articoli senza stile. La banalità è il Male. Puah. Persino un elenco di cose note e arcinote nelle giuste mani può diventare qualcosa di eccitante (ogni riferimento a questo post è puramente casuale). Non strafare, ma neppure scrivere da impiegato statale. Anzi, valuta bene le tue capacità: se dopo un anno ancora non hai uno stile preciso, se copi e incolli e rielabori, se ti escono fuori solo cose anonime, magari riconsidera la tua attività sul web. Ti eviterai un sacco di perdite di tempo e potrai dedicarti ad imparare ad andare in windsurf.
  6. La ricetta della nonna. Ah, quanto mi piace quando leggo cose tipo: ehi, vuoi fare un post che faccia colpo, baby? Allora ricorda: titolo-promessa-sottotitolo-testo-call to action-altro sottotitolo-call to action finale. Anche Bendetta Parodi tra poco scriverà un libro di ricette sul blogging. La struttura è importantissima, ma non pensare nemmeno per un minuto che utilizzare una formula sia il segreto del successo. Se sarai sempre uguale, non andrai da nessuna parte. Siamo un Paese di svogliati e abitudinari, ma questo non vuol dire che il tuo blog debba essere noioso. E soprattutto, il successo di un post dipende dal contenuto e non dalla forma (la quale, comunque, se non fa schifo aiuta).
  7. Il tono. Tutti ti diranno di rivolgerti al lettore direttamente. E su questo siamo d'accordo. Tutti ti diranno di essere serio ma non serioso, soprattutto se vuoi fare colpo a livello professionale. E siamo d'accordo anche su questo. Te lo dico anche io? , perché non c'è niente di peggio di qualcuno che scrive in modo generico e con tono generico. Dare del tu al lettore è un modo bellissimo di rompere il ghiaccio ed entrare in una virtuale confidenza, ma ricorda: è un approccio educato, non un dare di gomito continuamente cercando una complicità forzata. Non dare niente per scontato e scrivi sempre ricordando che ti stai rivolgendo ad uno sconosciuto.
  8. Semplicità, originalità e blablabla. Questo è un altro grande cavallo di battaglia di chi consiglia per professione: sii sintetico! Sai che ti dico? Puoi anche non esserlo. Semplice non vuol dire liofilizzato e/o schematico. Semplice significa chiaro e piacevole, comprensibile e divertente. Evita frasi troppo articolate, periodi lunghi, subordinate, e ok. Ripassa un po' di grammatica e di analisi logica. Una frase ben scritta si legge sempre bene e volentieri, anche se è un po' più lunga del dovuto. I concetti devono poi essere espressi in modo originale: nessuno ti chiede di essere il nuovo Baricco, sia chiaro, ma la stessa cosa, nella nostra meravigliosa lingua, può essere espressa in mille modi differenti e puoi trovare il tuo, senza replicare le “solite” frasi note e quindi uccidere l'interesse del povero utente arrivato lì per caso. Noterai che in questo elenco non ho previsto la voce “lunghezza”. Se sei interessante non esiste lunghezza, chi ti dice che devi stare entro un tot di parole (300, 400, 600) ti giudica già un povero blogger sub-umano.
  9. Inserisci i link. A chi piacciono, a chi meno, ma servono, eccome. Se hai delle fonti o delle pagine che sono utili da consultare per il lettore, le devi citare. Questo ti rende bello, bravo e forte (oltre che onesto e colto). Se poi riesci a connettere i tuoi articoli tra loro in modo fluido, tanto meglio. I link interni sono una manna dal cielo per la permanenza del lettore sul tuo blog. Ricorda: inserisci solo cose strettamente attinenti, non essere pretestuoso, altrimenti vanifichi tutto il lavoro.
  10. Leggi, rileggi, fai leggere e rileggere, studia. Niente è peggio dei refusi. Certo, nessuno è perfetto, per cui sbagliare ogni tanto ti rende umano. Però non scrivere strafalcioni, sciocchezze o cose inesatte potrebbe essere meglio, vero? Allora non avere fretta nel pubblicare, leggi tutto 3 o 4 volte, se hai qualcuno a portata di mano chiedi un controllo (è utilissimo: e, se si addormenta mentre lo fa, probabilmente devi ripensare il testo). Poi, tra un post e l'altro, studia, leggi, informati: ti aiuterà a scrivere meglio. Leggi sempre. Migliora costantemente.
Questo ci porta in modo diretto alla conclusione: vuoi scrivere contenuti utili e interessanti? Devi essere una persona utile e interessante, qualsiasi sia il tuo campo d'azione. Questo è fondamentale, non puoi fingere.

Ricorda, non potrai mai risultare diverso dal qualcuno che intimamente sei, neppure attraverso una scrittura assemblata con le migliori formule dei vari dottor Frankenstein del web.

Prima di tutto, quindi, devi lavorare su te stesso.

Se ti va, leggi anche:
- Come scrivere uno stamaledetto titolo del post che faccia colpo!

venerdì 17 ottobre 2014

10 Cose da Websocialcosi: Come scrivere il Titolo di un Post

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Sottotitolo: quello che TUTTI (i websocialcosi) dicono. E allora perché dovrei dirlo anche io?

Perché tu, caro lettore, meriti il meglio. E dato che in giro troverai un miliardo di post serissimi e bellissimi su tante cose (dallo scrivere i titoli, alla formula del post perfetto, dalle call-to-action a come muoverti sui social) meriti un approccio diverso, magari un po' critico, magari un po' beffardo, magari meno serioso ma riassuntivo, divertente e spassoso.

Lo troverai qui? Continua e vedrai! (offerta esente da diritto di recesso)
Un post sui titoli di un post è un evergreen, è anche una pratica noiosa se vogliamo, un qualcosa che ormai è talmente scontato che chiunque continua a scriverne in quantità per beccare traffico da quei poveri cristi che ancora cercano di capire qualcosa di copy e la formuletta magica (me compreso, ovviamente).
All'inizio il titolo di questo post doveva essere appunto:
COSE CHE DICONO TUTTI
ma sarebbe risultato un po' riduttivo, vero? Anche se in realtà lo dicono TUTTI, ma proprio tutti. Quindi dovevo infilarci un numero, una parola scema (indovinate?) un “come”, uno “scrivere” e ovviamente “post” e “titolo”. Gee.

Ho già scritto troppo, mentre tutti sanno che più o meno l'80% del pubblico web oltre al titolo non legge altro che due righe, allora per necessità metterò un

  1. che però non sarà seguito strettamente da un tip/consiglio/insegnamento/
MA
da una premessa necessaria:

Il titolo dei post non conta niente se il tuo post (e il tuo blog) fa schifo.
Chiariamo subito le tue intenzioni: cerchi di risollevare la vita del tuo blog sperando che un articolo (o qualche articolo) così-così con un buon titolo gli faccia da defibrillatore? Pfui!
La tua creatura web deve essere COSTANTEMENTE aggiornata, ricca di contenuti belli, ganzi, utili e divertenti da leggere. Speri che un titolo possa risollevare un articolo mediocre? Sbagli. Uno ci clicca, poi vede la fuffa e ti manda a quel paese... probabilmente per sempre.

Quindi, first of all: mettiti in testa che il titolo non è MIRACOLOSO, è solo una (piccola) parte del tutto (quel tutto che ti impone di farti il MAZZO), che il clic dell'utente non ti serve a niente - anzi, può essere deleterio - se dopo un buon titolo non si trova niente. Parafrasando un vecchio film italiano, SOTTO IL TITOLO NIENTE? E allora ripensa tutto.

Via con i numeri (da circo? forse):

  1. I numeri (quelli veri) funzionano, eccome. È scientificamente provato che, da buoni babbuini, andiamo a cliccare quello che ci sembra più “scientificamente” provato, e schiaffare un numero in apertura del titolo può regalare questo senso, sebbene in realtà uno veda nel numero anche/soprattutto la comodità di un elenco da consumare in 10 secondi netti. Tipo: 8 modi per... oppure 10 errori da non fare... Ah, ok... questo questo e questo: check. Questo non lo sapevo, anvedi che ganzo 'sto web-social-coso magari domani me lo rileggo”. Compreso?

  2. Fai una SPARATA. imparare dal peggior giornalismo e dai suoi titoli roboanti paga, inutile fare i puristi. Sparare una roba tipo QUESTO POST TI CAMBIERA' LA VITA fa sempre colpo ed è un metodo infido ma collaudato per acchiappare clic. Poi, il contenuto sono affari tuoi: se non gli cambi davvero la vita, a quello che ti legge, non lo rivedrai mai più sul tuo blogghetto/sitarello;

  3. Il titolo deve essere breve. Sì, lo so che tu vuoi raccontare QUELLO CHE HO IMPARATO DALLA MIA ESPERIENZA DI STAGISTA NON PAGATO E GUEST BLOGGER SFRUTTATO DAI CATTIVI LA' FUORI ECCO COME NON FARE LA MIA STESSA FINE, ma credimi, la lunghezza ok per il titolo sono sei-sette parole, se vuoi che la gente le legga. Devi essere maestro di sintesi e chiarezza, oltre che di ruffianeria verso il potenziale lettore. Comunque, gran parte del titolo precedente puoi riassumerlo con “coglione”;

  4. Fai una domanda. Ovviamente non “E adesso cosa scrivo?” (anche se, pensandoci bene, potrebbe essere un titolo che funziona bene)... insomma, hai capito, deve essere una domanda che cattura l'attenzione e tocca qualche nervo scoperto tipo: “Lavorare gratis danneggia la tua professionalità?”, e poi ti metti a sviscerare l'argomento in oggetto. Mi raccomando, poi nel post lascia sempre al lettore la possibilità di farsi un'idea adeguata, senza pensare che la TUA risposta possa essere quella assoluta.

  5. Superlativi e aggettivi come se piovesse (ma anche no). “La guida DEFINITIVA a...” - “8 metodi SPETTACOLARI per...” - “I 10 MIGLIORI tool...” - “Scrivere post PERFETTI...” - ho reso l'idea? Puoi anche metterne più di uno, senza esagerare però (ecco spiegato il ma anche no). Non sono necessari, ma sono dannatamente catchy. Non fare lo sbrodolone, dunque, ma punta a rendere la ciccia gustosa (o le verdurine, se sei vegetariano/a)

  6. Usa il NON tutto maiuscolo. Yes, alla gente piacciono i divieti, anche se può sembrarti strano. Hai sempre paura di fare quegli epic fail che un titolo evoca, quando lo vedi, vero? E ci clicchi per vedere se davvero sbagli qualcosa. That's psicologia, baby! Dunque, metti ansia al tuo lettore con un bel “Cosa NON fare su Twitter” oppure “5 orribili errori che NON devi scrivere...” e blablabla. Mi sto facendo paura da solo.

  7. Scrivi una cazzata. Sì, anche quelle aiutano. Non sempre e non troppo, ma se ci perdi un minuto, ogni tanto ne puoi trovare utile alla tua causa. Esci dal seminato e vai nel campo minato, ok? Parti dal titolo-cazzata e pensa al resto, chessò: a come scriverebbe un post sulla netiquette Bruce Willis. “La netiquette secondo Bruce Willis” - e poi giù a scrivere come si comporterebbe un action hero nei confronti di chi spamma nei gruppi di LinkedIn. Vabbè, è una cazzata come suggerimento. Scommetto che puoi fare di meglio, su.

  8. Fai una classifica. Anche tu aspett(av)i con ansia Hitlist Italia su Mtv ai tempi d'oro, eh? Bene, puoi fare la tua Superclassificashow su ogni argomento del web, basta corredarla di argomentazioni reali, utili e un po' spettacolari. E il titolo deve riflettere questo spirito: “I 5 migliori tool per infighettare la tue foto", tié.

  9. Sii chiaro, diretto, onesto, sexy e spregiudicato. Nessuno vuole un titolo complicato. Nessuno lo vuole generico. Nessuno lo vuole grigio come un impiegato di banca. Il titolo deve sedurre, conquistare, incuriosire, colpire con un pugno in mezzo agli occhi. È chiedere troppo? Allora torna a leggere i manualetti online di tutti i websocialcosi e lascia perdere il blogging. Per fare questo lavoro, baby, devi mettere in campo il 300% del tuo campionario intellettuale e del tuo fascino.

  10. Abbiamo finito.

Qui ci starebbe una call-to-action, ma ne scriveremo poi, e – detto fra noi – è una delle cose che mi piacciono di meno. Non devo convincerti a commentare, se non ne senti il bisogno. MA MI PIACEREBBE, OK? COMMENTA SE TI VA!
Ti voglio bene, caro lettore (se sei arrivato fin qui...)

Leggi anche:
- Come scrivere un dannatissimo BEL post!

mercoledì 15 ottobre 2014

Ma, un giorno, saremo davvero dei leader migliori?

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Proprio ieri, nel mio post di “ripartenza”, scrivevo quanti buoni e begli insegnamenti ci arrivano da tutte quelle persone che con il web (e non solo) lavorano ogni giorno.

Ebbene, girando per siti/blog/profili/note eccetera, sono anni che mi imbatto, come penso capiti anche a te ogni 2 per 3, in disquisizioni, regole e consigli di altissimo livello sul tema delle tecniche di leadership. Senza contare le centinaia e centinaia di pubblicazioni sull'argomento, dai titoli più o meno incredibili (dalla promessa di diventare campioni di leadership in una settimana a capolavori filosofici riletti “per il manager”).

Dimmi un po', caro lettore: ti sembra che finora, tra i veri o presunti leader con cui sei sicuramente entrato in contatto, questi insegnamenti saggi, illuminanti e possano dirsi entrati nel comune sentire ed agire?

Probabilmente no. Questo per diversi fattori, da quello generazionale a quello “tra il dire e il fare...”. Certo, ci sono delle eccezioni (io stesso, per fortuna, posso dirlo: c'è gente davvero in gamba, là fuori, ma è ancora in minoranza).

Ecco, se qualcosa deve dimostrare “l'invasione di consigli(eri)” di questa epoca, è proprio quella di essere utile. Lo stesso concetto che viene predicato da tutti i più-o-meno-guru del web-social: l'utilità che deve illuminare ogni sortita internettiana. Il contenuto utile, questo Santo Graal, come già ho scritto pure io.

Il mondo migliora soltanto se sappiamo migliorarlo: quindi, nel nostro piccolo, se tutti, alla prova dei fatti, messi davanti ad una esperienza di leadership riusciremo a dare il meglio seguendo quei precetti di umiltà, creatività, ascolto, condivisione e psicologia.

E tu mi dirai: dipende da come è fatta una persona, in fondo. Uno stronzo rimarrà sempre uno stronzo, dai libri prenderà solo quello che vuole e umanamente rimarrà comunque insopportabile. Uhm, come darti torto?

Se ragioni così, però, hai comunque la possibilità di cambiare le cose: segui la tua passione e cerca di diventare indipendente. Dunque, primo passo, cercare di diventare leader.

Secondo passo: rivelarsi migliore di “chi ci ha preceduto”, in tutti i sensi, anagrafico in primis.

Alla prova dei fatti, è comunque difficile. È difficile gestire una squadra, comprendere e affrontare ogni singola e spesso legittima esigenza di chi lavora con noi, settare e far rispettare le scadenze, rimproverare e poi premiare, tenere sotto controllo ogni singolo aspetto.

Ci vuole più umanità, più intelligenza emotiva, più sincerità assoluta o – quando si va a fare i conti con la realtà quotidiana – conta di più avere polso ed essere inflessibili (per non dire stronzi), per ottenere risultati? I “vecchi metodi” e la distanza empatica pagano di più di queste nuove dottrine che ci sentiamo ripetere ormai da ogni angolo del web?

martedì 14 ottobre 2014

Ricominciamo.

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“Oh no, Giac, ma cosa fai? Ti pare il titolo adatto all'articolo di un blog? Ma non hai imparato niente in questi ultimi anni?”

“Silenzio, Sadie, ho preso la mia decisione!”

Ciao, lettore. Non credo di averti mai presentato Sadie, la mia sadica coscienza social custode (che ha la forma di una piccola Living Dead Doll con le ali, non chiedermi perché).


Oggi Sadie – mentre mi svolazza attorno alla testa - è oltremodo allarmata perchè, dopo un po' che non scrivo, ho pensato di rivoluzionare l'approccio al blog.

Eccola che mi urla nell'orecchio: “Ma non esiste! Devi mantenere lo standard e fare quello che dicono tutti: pianificare il contenuto e corredarlo di un titolo che sia una piccola promessa al potenziale lettore, una domanda, presentare un tutorial, mettere un numero all'inizio e fare un elenco nel testo, aiutare a...”

“Ma vuoi stare zitta? Usciamo dalle regole, una volta tanto, ok? Ne ho già scritti parecchi. Scrivo di quello che riesco a mettere in pratica, non voglio ripetermi o peggio inventarmi roba copiando a caso. Non ci tengo a cercare di fare il social-web-guru 24/7, ok? Ci sono decine di persone e professionisti bravissimi che lo sanno fare benissimo e hanno ritmi, abitudini, tecniche efficaci e ineguagliabili”.

Sadie alza gli occhi al cielo mentre ripenso agli ultimi giorni della mia vita.

Due settimane! Due settimane di assenza da queste pagine, per le quali ti chiedo scusa, e mi scuso con il resto dei miei quattro lettori. E senza falsa modestia manzoniana: siete pochi, ma ci siete e siete costanti, lo dicono i numeri.

Due settimane in cui ho lavorato come un matto a QUESTA testata giornalistica online che finalmente ha visto la luce ed è ancora in pieno sviluppo, ho trovato persone fantastiche ed entusiaste che si sono unite al progetto. Poi beh, in attesa che quel sito faccia il suo dovere, ho anche – come sempre - lavorato per campare. Impegni, soddisfazioni, esperienze, conoscenze, strette di mano...

In poche parole, sono felice
“NO! - Sadie sta gridando isterica – Ma cosa dici? È il peccato peggiore sul web! Mai dire che sei felice e realizzato, ti odieranno tutti, nessuno vorrà leggerti! Scrivi che sei impegnato, ok... stressato, ancor meglio, che sei bravo a gestire i tuoi lavori con un calendario editoriale ma comunque passi la giornata davanti al pc, dì quanto è duro svegliarsi la mattina e trovare idee per scrivere cose per i tuoi clienti... ma non che sei FELICE, scemo!”

Un sorso di caffé. Diamine, sono felice e devo sentirmi in colpa? Ho trovato un equilibrio, riesco a gestire quasi tutto e pianificarmi la vita, sui social vado benino... e questo, va detto, dopo mesi e mesi di studio ragionato e sintesi durissima dei tanti insegnamenti che sul web dispensano - oh mamma, come li posso definire tutti in una sola parola? - bravi professionisti. Ad ogni parola ho messo un link, sì, è il mio modo per ringraziarli (dimentico di certo qualcuno - e non hanno certo bisogno del mio inutile linkaggio, ma era doveroso).

Cosa ho imparato in questi mesi? Al netto della necessaria e inevitabile auto-referenzialità di ogni esperto che, se ben gestita, genera un seguito spontaneo e salutare di persone... che sia il futuro, che sia una moda, che sia un abbaglio collettivo (che premia pochi, comunque) non importa: il web-social-qualcosa - marketing, writing, managing etc - è un impegno grande, un lavoro serio, una disciplina importante e nuova, ma che non sfugge a regole vecchie.

Del tipo: vuoi lavorare sul web? Spaccati la schiena. Studia. Fai pratica. Sbaglia. C'è tanta fuffa? Sì. Ci sono tanti venditori di fumo? Altrettanto. Ci sono quelli che si spacciano per il messia camuffando insegnamenti per pubblicità? Mi pare ovvio.

Invidie? Rancori? Miserie? Patetismo? A piene mani.

Esattamente come nella vita reale (che poi, anche basta con questa dicotomia: il web non è anche lui vita reale? Per caso ci passiamo ore virtuali o sono ore reali di vita reale?)

Capiamoci: se il Messia tornasse sulla Terra per aiutarti davvero a diventare un blogger migliore FOR FREE, lo metterebbero in croce (virtuale) tempo zero. 

Una cosa può comunque consolarti, caro lettore, ed è la stessa che consola me: sul web non si possono fermare le belle cose. Quelle fatte veramente con sincerità, con una bella attitudine e una reale utilità. A volte frutto della sola passione disinteressata.

Magari non saremo tu o io a trovare la formula del successo, ma qualcuno, ogni tanto, riuscirà a farlo, e sarà bello vedere l'evoluzione del percorso.

Dunque. Non vivere il web con l'ansia di dover dimostrare qualcosa o di raggiungere in modo facile determinati obiettivi, perché è il modo peggiore.
Vuoi farne la tua vita? Non dimenticare il resto. Lavora, e lavora sodo.

E poi, quando anche tu sarai sommerso dagli impegni, avrai esaurito la vena creativa, attraverserai un periodo di stress e rischierai il burnout, non troverai il tuo posto su questa terra (virtuale), tutti ti sembreranno falsi e opportunisti, sarai pieno di dubbi e domande... beh, staccati un po' dalla routine web-social. Fai un passo indietro. Prendi tempo, pensa, rifletti, sintetizza (con carta e penna) e poi:

RICOMINCIAMO.

Con buona pace di Sadie (che è ancora qui che mi guarda con occhi severissimi).
Alla prossima :-)

mercoledì 24 settembre 2014

Come emergere sul web? Esci dalla nicchia (e dai soliti schemi)

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Essere ultra-settoriali, nel campo dei blogging, poteva andar bene fino a qualche anno fa, ma adesso, se si vuole veramente emergere e competere, si deve uscire dalla nicchia e, per dirla in gergo giornalistico, diventare più “generalisti”. Rimanere nel proprio ambito, ok, ma sconfinare in tutti quelli simili e attinenti è un modo intelligente per attirare pubblico nuovo e non annoiare quello esistente.

Il tuo settore di competenza è probabilmente già saturo di figure che hanno scritto tutto il possibile su tips&tricks e filosofie di fondo della tua specializzazione (o passione).
Quindi... sei costretto ad andare nel panico
No, sfida tutti e porta l'asticella più in alto trovando altri modi, unici ed efficaci, per dire quello che vuoi, magari “uscendo dal seminato” e trovando nuove vie di contaminazione mentre lo fai. Non temere di essere originale.

Fino a qualche tempo fa, “limitarsi” a scavare nella propria nicchia poteva essere ok, ma oggi la stragrande maggioranza del pubblico online, aumentato esponenzialmente di anno in anno, si interessa e si sente in grado di poter giudicare tutto quello che viene scritto, sia nella forma che nel contenuto. Senza contare che in giro c'è una grande “fame” di contenuti.

Per questo, basandomi su diverse esperienze, penso che le cose migliori siano:
  • Non affrontare il web con la mentalità “esserci tanto per esserci”. L'ho già scritto un paio di volte, e ripeterlo non fa male: il rischio è quello di perdersi nell'ansia di far parte del flusso costante di contenuti (status, tweet, link, post...) e perdere completamente di vista l'obiettivo: produrre qualcosa di qualità, utile, interessante per il lettore-utente. Si pensa a produrre presenza a raffica senza riflettere e senza dare origine a qualcosa che rimanga.
  • Sapere che tu puoi essere il futuro della tua nicchia. Puoi esserlo nella misura in cui innovi e ti rinnovi. Sì, lo so che è difficile trovare qualcosa di originale da dire (e spesso anche dire in modo originale qualcosa che è già stato detto), ma se non ci provi, che senso ha? Vuoi essere “uno dei tanti” e aggiungerti al rumore di fondo? Non credo. Pensa due minuti in più sul tuo contenuto e cerca di distinguerti.
  • Piacere rendendoti piacevole. Comportati con l'utente come se fosse un amico con il quale ti senti a tuo agio. Trattalo con educazione e con rispetto cercando di divertirlo mentre racconti qualcosa. Non salire mai su nessun piedistallo. Boria & noia sono nemici mortali del web.
  • Non puntare subito ad obiettivi irraggiungibili. Guardati attorno e cerca di vedere chi è al tuo livello. Cerca di distinguerti da questa massa di competitor. Non basta essere bravi o veloci a scrivere, devi sapere come scrivere, cosa inserire per catturare l'attenzione e per creare engagement, saper leggere gli analytics, promuovere i tuoi post su almeno tre diversi social, interagire e ascoltare. Devi (e puoi) imparare a fare questo e molto altro. Prendi tempo e usa la pazienza. Solo così potrai battere la concorrenza ed emergere.
  • Tener presente sempre che la qualità vince. Un contenuto utile e interessante avrà una vita molto più lunga e soddisfacente di un post usa e getta/copiato. Affianca la qualità ad una attività di blogging costante (fissati appuntamenti e scadenze!) e vedrai che, con un pizzico di social media strategy, raggiungerai risultati soddisfacenti.

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Esaurimento da social, cosa NON fare d'impulso!
- Hai scritto un bel post? Promuovilo come un reporter d'assalto!

giovedì 18 settembre 2014

Social strategy: non accontentarti delle missioni secondarie, salva la Principessa!

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Non guardarmi con quel sopracciglio alzato, come se fossi un nerd senza speranza.
Quello che voglio dirti oggi, con questo titolo poco ortodosso ma (spero) azzeccato è... i social sono come un videogame, e dato che sei il protagonista, non limitarti a completare missioni accessorie!

Ti vedo ancora dubbioso.
Sui social se non sei attivo non esisti, lo sappiamo.
Per questo, ci scommetto, tu sei molto attivo: scrivi, posti, linki, commenti, tuitti, rituitti, rispondi, eccetera.
Ok, hai mai pensato che tutto questo “agire sul momento” sia utile ma non fondamentale per dare un senso alla tua esperienza sul web?

Tutti quelli che masticano un po' di videogiochi lo sanno: negli RPG (ma anche in Grand Theft Auto o Assassin's Creed, non facciamo gli snob fantasy) c'è la “grande trama”, i cui obiettivi fanno progredire sul serio il gioco, e poi ci sono le spassose, divertenti e coinvolgenti quest secondarie, inessenziali ma gustose da giocare.

La partecipazione attiva più volte al giorno sui social è un po' come il completamento della missioni “accessorie”: certo, è uno spasso condividere contenuti interessanti, chiacchierare con gli amici, interagire con i vip, creare e postare meme e via dicendo...
Ma non bisogna mai perdere di vista il quadro più grande: se sei online, se stai “esplorando” la mappa di questo strano, nuovo mondo (per tirare in ballo anche Star Trek) vuol dire che probabilmente aspiri a qualcosa.

In altre parole, mentre vai a zonzo raccogliendo monete (a volte anche scontrandoti con qualche troll, perchè no?) non devi dimenticarti di salvare la Principessa e conquistare il Castello.
Lascia il segno, crea qualcosa di veramente fico, di veramente tuo.
Raccogli informazioni e scrivi sul tuo blog un post memorabile, che i tuoi figli tramanderanno ai loro nipoti, (auto)pubblica un ebook che ti frutterà tanti complimenti (e solo complimenti: ma vuoi mettere?), stabilisci connessioni durature e proficue che possano dare qualcosa in più di concreto alla tua vita.

Fai progredire assieme questi due binari. Ovvio, se non sarai mai attivo e presente online una volta compiuta la tua “impresa” la gente si chiederà: “Ma questo chi è?” e ti ignorerà. Se ti sarai costruito una base solida di relazioni attraverso l'attività giornaliera e costante (con le famose quest secondarie) ti sarai probabilmente guadagnato un pubblico attento, interessato e disposto a condividere le tua opera.

Insomma, non fermarti a fare soltanto del “rumore di fondo” sul web – equivalente dell'andare in giro a prendere a colpi di spada i cespugli – ma, nel frattempo, prepara con attenzione e poi lancia un acuto che non potrà essere ignorato.

Sai dove ho preso l'ispirazione per questo post? Da un articolo scritto da Robin Sloan nel 2010.

Quattro anni sono un'era geologica (forse due? facciamo quattro) nel nostro splendido web-social-mondo, eppure... ci sono vari modi per salvare una Principessa, non credi?

Se ti va di leggere ancora qualcosa...

- I social media... secondo Hitchcock
- Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no)
- Nel villaggio social(e), non basta esserci: devi sapere il perchè!

mercoledì 17 settembre 2014

Modello sostenibile per l'informazione online? L'economia della nonna.

Esiste un modello sostenibile per l'informazione online?
No.
Esiste però la saggezza della nonna: spendi poco e assicurati di fare abbastanza soldi.
Fine.

Quando, alla Festa della Rete, sono andato ad ascoltare l'incontro al Teatro Novelli tra Luca Sofri, Peter Gomez, Jacopo Tondelli e Angelo Maria Perrino non mi aspettavo certo la formula magica per far nascere, crescere e prosperare una testata giornalistica online.

Però, da persona interessata in pieno all'argomento (con una nascitura creatura giornalistica) ero un target perfetto per questo dibattito. Vi anticipo che quella in apertura non è una battuta ma la morale della favola, mi perdonerete lo spoiler.

In un panorama poco confortate riguardo ai conti delle testate online (leggere qui) non avrei, come detto, voluto sentire illuminazioni di chissà quale livello... ma avrei preferito uscire senza la sensazione che ci sia grande affanno sotto il cielo.

Sofri esordisce con un “i giovani oggi hanno un'idea del giornalismo anacronistica”. Lo so bene: anche io sono (stato) vittima dell'idea romantica del giornalismo. Raccontare storie, coinvolgere persone, informare correttamente i cittadini, verificare le fonti e dare senso al caos, salvare il mondo... cose così. Non so quanti giovani, oggi, desiderino ancora fare giornalismo vero o ideale, fatto sta che Sofri ha detto una cosa giusta (tra le righe): di idealismo si muore, e chi si avventura nella giungla online animato solo da buoni intenti - senza un po' di malizia e tanto pragmatismo, ergo: fare ciccia e saper domare il web -, il leone se lo magna. 'nuff said.

Il modello, per ora, probabilmente più funzionante e con connubio off e on-line è quello del Fatto Quotidiano
Gomez gongola dal palco, e ne ha donde: il loro stile può piacere o non piacere, ma conti alla mano sono gli unici che, partiti “di carta” anni fa individuando la loro piccola nicchia, si sono espansi pian pianino arrivando oggi a poter addirittura pianificare degli investimenti a medio termine. Mica poco. Modello sostenibile? Partire fortemente di nicchia, capitalizzare l'esperienza, fare piccoli passetti in avanti non appena possibile ampliando lo spettro di strumenti/argomenti/collaboratori. Frase-cult di Gomez: “Il giornalismo non deve mai stare dalla parte del potere, ma questo mica vuol dire che non deve essere il più generalista possibile per acchiappare pubblico!”.

Tondelli, da parte sua, non fa mistero della nota “scottatura” con Linkiesta, testata partita con le migliori intenzioni del mondo ad azionariato diffuso. Anche se lui, ormai fuoriuscito da più di un anno, pensa al futuro: è pronto ad una nuova avventura, un progetto online orientato ai social e con occhio all'economia, dall'ostico (ma affascinante) titolo Gli Stati Generali. Anche qui, però, non ci viene rivelato nessun dettaglio sul possibile “modello sostenibile”. Se non una perla di imperituro splendore: “Ragazzi, organizzate bene il sistema di chi deve stare alla cassa”. Non giornalisti ma operatori commerciali. Prima di tutto. Poi si vedrà.
L'impressione – mai nascosta, basta leggere alcuni pezzi online – è che esperienze come Linkiesta siano nate sulle ali dell'entusiasmo e che poi si siano scontrate con la dura realtà. Ovvero l'estrema difficoltà di monetizzare il proprio lavoro sul web, che nel caso del giornalismo e della scrittura è particolarmente drammatica.

Infine Perrino, che dopo una lunga carriera in Panorama è il plenipotenziario di Affaritaliani, una delle prime testate italiane online e ancora oggi, grazie alla filosofia del “giornalismo come pranzo completo” spazia a 360° senza snobismi nel mondo delle notizie cavandosela anche bene sul versante economico. Lezione: “Non fare gli schizzinosi, utilizzare tutto quanto fa brodo”. Modello sostenibile? Non si butta via niente e si usa ogni mezzo per farsi promozione.

Insomma, alzatomi dalla poltroncina ho avuto la conferma che: il contenuto, nel giornalismo (e non aggiungo online non a caso), non è più il “king” (se lo è mai stato davvero). Che saper scrivere è secondario rispetto all'immediatezza di pubblicazione, del titolo ruffiano e del saper fare SEO.

Niente di tragico, sia chiaro. Non sono uno di quei disfattisti che piange sull'inchiostro versato. Niente vieta a chi sa scrivere bene di essere più smaliziato, capire il “mercato” dell'informazione e attrezzarsi di conseguenza. Anzi, direi proprio che a questi chiari di luna chi non evolve in questo senso si merita l'estinzione. Non puoi pretendere che il mondo cambi e il giornalismo no.
Luca Sofri, molto gentilmente, quando lo fermo un attimo all'uscita del teatro, mi fa le condoglianze sorridendo: “Vuoi creare una testata online? Assicurati di spendere poco e contenere sempre e comunque i costi. È vitale”.

Ma il giornalismo dovrà essere per forza “vittima” dell'ipervelocità e della notizia come bene di consumo usa-e-getta, oppure – come penso molti della mia generazione non troppo ingenuamente credono – pratiche come lo storytelling e il “contenuto utile” salveranno il mestiere (e la sua dignità)?

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards
Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale
- Utilizzare meglio i social (ed evitare travasi di bile)

martedì 16 settembre 2014

Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale. #FDR14

Sono andato alla Festa della Rete per seguire alcuni eventi, in particolare quelli targati “economy” dedicati al mondo del lavoro che (è) cambia(to).

Uno di questi aveva come titolo “Il lavoro di domani” (ammesso che domani ci sia ancora lavoro: questa è mia) e ha visto protagonisti Stefano Quintarelli, deputato, imprenditore e pioniere del digitale in Italia, Andrea Santagata, CEO di Banzai Media (dietro a giallozafferano, giovani.it e ilpost) e Carlo Alberto Carnevale, prof alla Bocconi di Milano.


Il valore dei valori - Il dibattito sul (non)lavoro ai tempi del digitale è ampio e difficile, e che da noi (in Italì) poco sia cambiato da dieci anni ha questa parte si capisce anche solo vedendo come i relatori ripropongono dati, grafici e teorie primigenie che ancora si adattano bene al nostro sistema. Tutti però sono concordi nell'affermare che lo stesso web è cambiato moltissimo dai modelli originari di business, anche se spesso solo gli addetti ai lavori se ne accorgono: chi deve utilizzare gli strumenti online a livello “elementare” per fare economia o promozione spesso non sa ancora dare valore specifico ai valori "nuovi", creati dai sistemi digitali, che non sono strettamente legati alla moneta.

I want to fly away – A un certo punto Quintarelli cade nella (ricorrente) trappola dell'esterofilia, nel senso che, anche se giustamente dice che “chi pensa solo ai confini italiani sbaglia perimetro”, poi tira fuori la classica frase tipo “nell'X posto in USA ci sono 25 mila posti, i ragazzi italiani bravissimi dovrebbero pensare a questo”.

Vero, ma fino a una certo punto, e infatti Santagata subito dopo lo riprende sottolineando che “va bene guardare al mercato globale, ma un sistema che obbliga ad emigrare è sbagliato”. Portando il ragionamento un po' più in là, si può aggiungere che le possibilità non dovrebbero essere solo per chi ha portato a compimento i cosiddetti percorsi “d'eccellenza” nello studio – richiesti all'estero – ma per chiunque abbia capacità specifiche e rivendichi il diritto di non essere costretto a lasciare il proprio Paese.

Posto fisso, ciao! - E qui si arriva al nocciolo della questione. Per i giovani notrani – diverse indagini lo hanno confermato per l'ennesima volta - “le Poste sono ancora meglio del digitale”, ovvero la mentalità del posto fisso è imperante. Se vogliamo anche legittima: in fondo, un giovane mica può desiderare di dover cercare e cambiare lavoro per tutta la vita. Anche se stimolante, è un'idea che può creare un po' di leggera ansia se uno sogna una famiglia, no?

Quindi capisco quando Santagata dice “L'idea del posto della vita – che non esiste praticamente più manco alle Poste – è una mentalità che affligge questo paese”, ma ho sentito anche benissimo quando prima ha affermato che il “mercato digitalenon è la soluzione ai problemi di occupazione in Italia (e non lo sarà ancora per molto tempo). Può essere però una grande risorsa, a patto che a monte ci sia un sistema di formazione che ad oggi in Italia è assente.

In poche parole, mancano veri e propri percorsi di studio che permettano ai ragazzi di saper lavorare in ambiti che ormai sono una realtà e un'opportunità, come quello della programmazione, della grafica e delle app. Quando al Sant'Anna di Pisa è stato attivato un master in programmazione di app per mobile, chi lo ha seguito ha trovato quasi immediatamente un'occupazione.

Il lavoro sarà demonetizzato - “Non saremo più pagati per il tempo impiegato su un lavoro, ma per il lavoro stesso, il singolo task”. Così Carnevale introduce il concetto che alla fine porta alla frase evidenziata. Il lavoro sarà “svuotato” del suo valore monetario (in ordine di tempo) per essere valutato e pagato per i risultati.

Ovvero: non sarai più pagato per il tuo tempo, ma per il singolo compito (che pure avrà una scadenza) e sarà affar tuo se sarai più o meno bravo nel “perderci” più o meno ore sopra.

Poi, quando Quintarelli parla di provvedimenti ad hoc che dovrebbero essere presi dalla politica per il mondo del lavoro che sta cambiando grazie al digitale, mi vengono in mente tutte le bellissime azioni che i vari governi hanno intrapreso nei confronti del web e mi sfugge una risatina (isterica).

Cosa mi ha lasciato, quindi, questo incontro? 
Ha peggiorato il senso di inquietudine che avevo rispetto al mondo del lavoro. I salari crolleranno, la ricerca di occupazione sarà continua e la competizione serratissima (“siamo tutti in competizione con l'ultimo degli indiani”, Carnevale dixit), esisteranno sempre meno super-specializzati ricchi e un “proletariato digitale” che vedrà i soldi col binocolo... quasi come nell'era industriale del primo Ottocento.

Siamo sicuri che il web, nell'ambito lavorativo, ci stia davvero facendo progredire, come società?

Se ti va, puoi leggere anche:
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards

lunedì 15 settembre 2014

Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards 2014

Come sono stati questi Macchianera Italian Awards 2014?

Prima di tutto, affollati.

Il Teatro Novelli di Rimini letteralmente esplodeva di pubblico e, all'apertura delle porte avvenuta con leggero ritardo, è soltanto grazie al morso del ragno radioattivo dei tempi del liceo se sono riuscito a rimediare un paio di posti a sedere.

Gente in piedi, gente ficcata in ogni anfratto, gente seduta per terra e sulle scalinate, in definitiva, dappertutto. L'atmosfera è sempre rimasta giocosa e divertita, riflettendo lo spirito “comunitario” della manifestazione, che ha il grande pregio di non prendersi mai troppo sul serio. Anche i cori da stadio che hanno accompagnato qualche premiazione hanno espresso la sana competizione tra i “nominati”, senza mai eccedere.

Comitive di blogger numerose e rumoreggianti hanno dunque furoreggiato in platea e galleria, mentre sul palco si procedeva spediti come treni – per evitare lungaggini, missione difficile ma compiuta in due ore e un quarto – con Gianluca Neri e Andrea Delogu + vari guest host a smistare nomination, siparietti e vincitori ma soprattutto a dare e (fulmineamente) togliere i microfoni per gli speech dei trionfatori.

(QUI l'elenco dei vincitori)

Molti i “grandi nomi” versione web che si sono affermati vincitori durante la serata, a volte anche a scapito di blog veri e propri, vedi nell'informazione Ansa.it (news), Il Fatto Quotidiano (testata online), Il Sole 24 Ore (economia) e Wikipedia in Italiano (educational).

Tra i migliori siti premiati per la loro attività, “facce” vecchie e nuove ma tutte meritevoli – come anche molti dei nominati, va detto, la competizione è stata serrata – tra i quali spiccano Bastonate (musica), Abbiamo le prove (letteratura) Friday Prejudice (cinema), Qualcosa di sinistra (opinione politica), Le cose cambiano (Lgbt).



Tra le conferme, ItalianSubs e i suoi insostituibili traduttori, sito che vince per la quarta volta di fila, se non erro, e Spinoza, che da sei anni domina incontrastato nella categoria satira. Stefano Andreoli, presentatosi sul palco con lo squadrone (quasi) al completo, non ha mancato di lanciare un paradossale messaggio a tutti i concorrenti: “Le battute sul web hanno rotto il cazzo!”. 

Nel suo anno d'oro Pif ha sbaragliato la concorrenza anche ai MIA, affermandosi tre volte come personaggio più apprezzato dalla Rete, miglior regista italiano (per La mafia uccide solo d'estate) e autore/conduttore tv (Il testimone). Paolino Ruffini, forte dei suoi incassi milionari, ha preso tutti per il culo dopo aver incassato il premio peggior film (Fuga di cervelli) via video con un bel “Dai, distruggete sul web anche il mio prossimo film, che tanto guadagno ugualmente una vagonata di vaini (soldi in livornese ndr)” Un umile Chef Rubio si è lanciato in un'invettiva stile la 25ma ora per ritirare il premio di miglior chef, mentre come miglior disegnatore è stato eletto l'ormai lanciatissimo ZeroCalcare e come migliori youtubers i ragazzi di The Jackal.

Rivelazione dell'anno, “Se i quadri potessero parlare”.

Non posso poi non citare gli amici di Scientificast che, con un lavoro davvero impegnativo e di qualità, hanno portato a casa il premio per miglior programma-podcast sul web con la loro lodevole azione di divulgazione scientifica. Bravi!

Un saluto anche ad autorevoli e apprezzati personaggi presenti in platea ma non saliti sul palco: Protesi di Complotto, Nebo, Feudalesimo e Libertà.

Adesso, anche io vorrei consegnare idealmente qualche riconoscimento:

Non so se qualcuno lo racconterà ufficialmente, ma di sicuro il premio al vincitore più contestato della serata va a AlFemminile.com (tra l'altro “gold partner” della manifestazione), accolto dai boati della platea al momento di ricevere il riconoscimento quale miglior community.

Premio agli spettatori più molesti della serata ai ragazzi di Vagabondo.it, che con cori da stadio e contrappunti gridati dal loggione hanno movimentato la scena, regalando anche, a volte, gustosi siparietti con chi stava sul palco!

Promossi i presentatori ufficiali – tra cui anche Matteo Bordone, Daniela Stazzitta Collu e Carlo Gabardini - ma faccio un plauso particolare allo stile “flash” e alla buona presenza sul palco di Comeprincipe per l'esecuzione della categoria Twitter pride.

Cose da sottolineare:

  • L'assenza fisica pressoché totale di tutti i premiati vip, pure se potenzialmente “alla mano” (Zoro, Zerocalcare, The Jackal) forse dovrebbe fare riflettere. Vanno bene i video di ringraziamento – e va bene pure premiare grossi calibri per far parlare dell'evento – ma non vedere quasi nessuno dei vincitori “famosi” a ritirare il premio fa uno strano effetto, manco abitassero in un altro continente...
  • Il “passamicrofono” tra più conduttori ci può stare, ma poi far rimanere tutti sul palco seduti e inattivi per gran parte del tempo forse è superfluo! 
  • Come detto sopra, il coinvolgimento di tv-radio-marchi famosi e conosciuti anche da mia nonna è perfettamente sensato e finanche vitale per un evento come i MIA, però arrivati a questo punto è necessario rivedere alcune categorie e l'inserimento “nello stesso girone” di giocatori completamente diversi. 



Ciò detto, ci si vede nel 2015 ai MIA (ovunque siano, anche a costo di calarmi dal soffitto come Tom Cruise in Mission:Impossibile).

I vincitori dei Macchianera Italian Awards 2014 - #MIA14

Ecco qua i vincitori dei Macchianera Italian Awards del 2014.
Qui trovi la "cronaca" e un commento alla serata di premiazione!

Migliori Siti

Miglior sito dell’anno – Lercio.it
Miglior sito di news – ANSA.it
Miglior Testata Giornalistina online – Il Fatto Quotidiano
Peggior Testata Giornalistica – Studio Aperto
Miglior sito per genitori e bambini – Pianeta Mamma
Miglior sito di viaggi – Turisti per Caso
Miglior sito di economia – Il Sole 24 Ore
Miglior start up – Musixmatch
Miglior community – AlFemminile
Miglior sito LGBT – Le cose cambiano
Miglior sito Educational – Wikipedia in Italiano
Miglior Sito Tecnico Divulgativo – Wired Italia
Miglior sito Musicale – Bastonate
Miglior sito letterario – Abbiamo le prove
Miglior sito politico d’opinione – Qualcosa di sinistra
Miglior sito televisivo – Italian Subs
Miglior sito di cinema – Friday Prejudice
Miglior Sito Food – Kitchen Aid Italy
Miglior sito Fashion & Beauty – ClioMakeUp
Miglior Sito di satira – Spinoza.it


Dal web


Miglior Polemica – Scienziati Vs Le Iene sul Caso Stamina
Miglior Selfie – Belen Rodriguez
Horror Selfie – Bruno Vespa feat. Berlusconi
Miglior pagina social – Tua madre è leggenda
Miglior battuta – Lercio.it
Miglior articolo web – “Tutta la storia del metodo stamina” di Wired.it
Miglior Hashtag – #VinciamoPoi

Personalità

Rivelazione dell’anno – Stefano Guerrera de “Se i quadri potessero parlare”
Cattivo più temibile – Andrea Diprè
Miglior Disegnatore – Zerocalcare
Miglior youtuber – The Jackal
Miglior Personaggio 2014 – Pif
Miglior FoodBlogger – Latteria Inalpi
Miglior Chef – Chef Rubio

Brand & Pubblicità

Miglior Brand online – Amazon
Miglior Campagna Adv Online – DUREX & Rocco Siffredi
Tv, cinema e radio

Miglior radio / programma /podcast sul web – Scientificast
Peggior trasmissione radio – Lo Zoo di 105
Peggiore radio – RadioPadania
Migliore programma radio – Deejay Chiama Italia
Peggior spot televisivo – Pittarosso
Miglior spot televisivo – IKEA
Trasmissione TV più social – Gazebo
Peggior Trasmissione TV – Pomeriggio5
Miglior trasmissione TV – Il Testimone
Miglior Canale TV – DMAX
Peggior Film Italiano – Fuga di Cervelli
Miglior Film Italiano – La mafia uccide solo d’estate

martedì 9 settembre 2014

Il potere del clic. Anzi, del non clic

Penso che esistano pochi concetti noiosi al mondo quanto quello di responsabilità.

Non fraintendermi, prendo sul serio il senso di responsabilità, non potrei vivere senza, nel privato come nel lavoro. Ma guardiamoci in faccia e diciamoci le cose come stanno: tu forse bevi sempre responsabilmente? O guidi sempre responsabilmente? Hai uno stile di vita per cui dormi, mangi, fai movimento in modo responsabile? O prendi ogni singola decisione nella vita assumendoti tutte le responsabilità?

Non credo. È assolutamente umano (e parlo per esperienza).
Così come è logico sbuffare o rovesciare gli occhi non appena senti qualcuno iniziare una frase con, tipo: “Bisogna essere responsabili... bla bla bla”.

A quel punto, ci scommetto, hai già staccato il cervello.
Tra i tanti concetti abusati e bistrattati dei nostri tempi, infatti, quello di responsabilità è uno dei primi della lista.

Bene, io sono qui, adesso, a scriverti in questo post che cliccare responsabilmente può cambiare il mondo. Il mondo online, poi chissà.


Mi spiego meglio: sul web l'evoluzione passa da come l'utente si comporta online. Ogni azione è preceduta da un clic, nella stragrande maggioranza dei casi: con quelli di aprono link, si danno consensi, si mettono mi piace e si fanno condivisioni.

Ora, ogni giorno ci lamentiamo che c'è qualcosa là fuori, sul web, che non ci piace. E magari ci scagliamo contro questa cosa con particolare veemenza.

C'è persino chi arriva a creare veri e propri flame (se non a trollare) per distruggere qualcosa che detesta. Nella maggior parte dei casi, è uno spreco di energie e di creatività.

Mai come adesso possiamo capire quanto l'indifferenza (dunque il non-clic) sia un'arma potente nelle mani degli utenti del web. I banner pubblicitari sono ingannatori? Non clicchiamoci sopra: dopo un po' ci siamo arrivati, i banner sono in via di estinzione, ecco allora qualcosa “di meglio”, magari un native advertising meno “offensivo e più impegnativo per chi lo promuove.

I titoli sensazionalistici dei siti d'informazione ti fanno schifo? Quelli smaccatamente utilizzati come “amo” per acchiappare visite ti insultano? Il gossip ti deprime? Non cliccare sulla notizia o sul post, non perdere neppure tempo a commentare. Se il riscontro cala sensibilmente, chi di dovere prenderà provvedimenti e vedrai meno contenuti del genere in giro.

Regola generale: se non fa discutere, se non genera numeri, non esiste.

Possiamo riuscire, attraverso il nostro non-clic, a ridimensionare o far evolvere quello che “non ci piace”.

Il modo in cui utilizziamo i nostri clic può davvero cambiare il mondo. Ogni volta che clicchi su qualcosa esprimi una concreta e determinante azione pubblica, anche se non te ne rendi conto. Non solo perché (forse) sei monitorato e produci dati da analizzare, ma perché determini il successo del contenuto che decidi di aprire.

Dobbiamo solo esserne più consapevoli e utilizzare il potere del (non) clic con – ok, adesso puoi sbadigliare – maggiore senso di responsabilità.

Le cose non potranno che andare meglio. Il cambiamento è sempre qualcosa di positivo, no?


Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no)

lunedì 8 settembre 2014

Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no!)

A proposito, se qualcuno qui lavora nella pubblicità o nel marketing... uccidetevi!”.

Bill Hicks è stato uno dei comici più brillanti, caustici e paradossali del ventesimo secolo. Rivedendo qualche sera fa la registrazione di uno dei suoi migliori spettacoli, mi ha colpito la veemenza con la quale si scagliava contro il mondo dell'advertising: era il 1993 (poco prima della sua morte per malattia).

Bill se la prendeva soprattutto con il modo di fare pubblicità bolso, aggressivo e sessualizzato degli anni '80 e dei primi anni '90, in un contesto storico dove i rampanti 'yuppies' e i giovani imprenditori avrebbero venduto anche le loro mamme per fare affari guadagnare montagne di soldi.

Internet, per inciso, era un neonato e ben lungi dal suo pieno sviluppo, tantomeno si poteva pensare alla rivoluzione dell'online marketing o del social media marketing.

Anche se i tempi sono radicalmente cambiati, Bill dice cose – condivise dal pubblico – che hanno una valenza universale: i pubblicitari-marketingari, definiti “la progenie di Satana” sono capaci di vendere qualsiasi cosa a chiunque, fregandosene di tutto il resto e soprattutto, guardando il mondo con occhi che stampano il simbolo della moneta corrente su qualsiasi oggetto o persona, riempiendo “di spazzatura” il mondo circostante.



Non è forse l'idea ancora radicata nella testa di tantissima gente? Lavori nel marketing? Oh, sei un tizio senza scrupoli e tendenzialmente bugiardo di cui è meglio non fidarsi. O farlo con molta cautela. (Un po' come i giornalisti, e parlo da giornalista, lo so bene...)

I media sono cambiati, la pubblicità lo ha fatto poco: prima c'erano spot tv invadenti, cartelloni aggressivi, offerte telefoniche, eccetera. Su internet? Banner invadenti, pop-up aggressivi e fastidiosi, subdole tecniche di clic-baiting, eccetera.

Eppure, di certo lo sai, queste sono ormai strategie perdenti.

Il web ci ha resi liberi anche da questo modo di fare di pubblicità, ci sono voluti tempo e un po' di fatica, ma finalmente sembra che il modello “televisivo” sia superato e che l'utente si sia stufato.

Ci vuole coinvolgimento, ci vogliono autenticità e sincerità nei messaggi, serve il dialogo tra produttore e consumatore, è necessario un nuovo modo di presentare e raccontare la propria storia invece di fotografare un prodotto e stamparci sopra un prezzo. Storytelling, branding, social strategy, ma soprattutto educazione e correttezza verso il “tuo” consumatore.

La domanda è: cosa avrebbe pensato di Bill Hicks di questi nuovi fenomeni? Come avrebbe scherzato (dicendo quindi la verità) sul modo di fare marketing dei giorni nostri, sul web? Ma soprattutto: quando ti guardi allo specchio, tu giovane, rampante professionista del social media marketing, vedi un piccolo aiutante di Satana?

Se vuoi fare marketing in questo nuovo, strano mondo (per dirla alla Star Trek), non devi ucciderti. Devi uccidere il piccolo aiutante di Satana che c'è in te, togliere il simbolo della moneta da ogni elemento del mondo e vivere la tua professione con onestà, trasparenza e voglia di raccontare.


Se ti va di leggere ancora qualcosa...
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mercoledì 3 settembre 2014

Nel villaggio social(e), non basta esserci: devi sapere il perchè!

Immagine via
Il buon vecchio sociologo Marshall McLuhan, che ogni appassionato di comunicazione conosce per il suo assunto “Il medium è il messaggio”, aveva con le sue teorie anticipato il web, ma ora forse si farebbe due domande su quello che aveva definito “villaggio globale”.

Certo, gli spazi si sono ristretti, le distanze annullate, i canali di comunicazione moltiplicati, ma in questo villaggio, quanti abitanti hanno 
davvero un obiettivo di vita e quanti, invece, hanno piantato una tenda solo per dire “Ehi, ci sono anche io!”?

Una delle mentalità più diffuse, - soprattutto nell'ambito personal branding o social media marketing - è quello del pensare che basti semplicemente “esserci”, sulle varie piattaforme social. Niente di più superficiale. Anche se, in effetti, il ritmo vertiginoso di status, tweet, post etc. ci fa sentire tagliati fuori se non facciamo qualcosa.

Una risposta abbastanza chiara a questa concezione social dell'esserci per esserci arriva da Brian Solis, il teorico per eccellenza del web.

In un'intervista al The Economist, Solis opera una distinzione netta – con la classica “parolina in più” che cambia tutto – tra social business e social media.

Di fatto, non siamo più neppure nello stesso campo: con social business si indica la filosofia stessa che sta alla base dell'essere “impresa social” (che tu sia un battitore libero o un'azienda poco cambia). Il che vuol dire studiare un impatto positivo nella vita delle persone, ponderare la propria possibile utilità, mettere in atto una cultura specifica sulla quale modellare le proprie azioni, chiarire le proprie aspirazioni e mirare ad un “livello più alto” di visione e condivisione con gli altri.

Con il termine social media, invece, si indicano solo e soltanto gli strumenti e i canali attraverso i quali queste decisioni vengono messe in atto.

In sostanza, quello che ci dice l'eminente antropologo-futurologo è che spesso si pone in modo ingenuo troppa enfasi sui “social media” e ci si dimentica completamente del quadro più ampio. Il medium NON è il messaggio, non parla da solo e il suo utilizzo non comunica niente in più che possa portarti dei vantaggi.

Tradotto, puoi avere tutti i calendari editoriali che vuoi, e dei contenuti molto carini e utili, ma se continua a sfuggirti il senso ultimo delle tue azioni sul web finirai invariabilmente per accumulare un bel gruzzolo inutile di post, status, tweet e foto.

Comunicare non basta, sapersi far vedere/leggere neppure, bisogna studiare e rendere unica la propria comunicazione.

Dover bloggare e saper postare/tuittare non basta. Quello che serve è un cambiamento della mentalità con la quale si affronta il safari nella savana dell'internet.

I vecchi sistemi di pianificazione, le strategie vecchia scuola tradotte nel linguaggio online, i sistemi lenti e macchinosi sono quelli che ti faranno mangiare dal leone (= i competitor).
Solo avendo chiari i propri obiettivi e le proprie possibilità, si potrà sopravvivere e raggiungere la piena soddisfazione.

Ciò che deve cambiare è essenzialmente l'approccio di ogni singolo utente o dell'azienda che si affaccia al web: capire e direzionare la propria identità e agire secondo criteri di autenticità, aprirsi completamente agli altri accettando a braccia aperte idee, critiche e consigli, collaborare ed essere generosi.

Una volta compreso questo (il core del nostro social business), possiamo iniziare il nostro lavoro sui social media.


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