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venerdì 17 ottobre 2014

10 Cose da Websocialcosi: Come scrivere il Titolo di un Post

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Sottotitolo: quello che TUTTI (i websocialcosi) dicono. E allora perché dovrei dirlo anche io?

Perché tu, caro lettore, meriti il meglio. E dato che in giro troverai un miliardo di post serissimi e bellissimi su tante cose (dallo scrivere i titoli, alla formula del post perfetto, dalle call-to-action a come muoverti sui social) meriti un approccio diverso, magari un po' critico, magari un po' beffardo, magari meno serioso ma riassuntivo, divertente e spassoso.

Lo troverai qui? Continua e vedrai! (offerta esente da diritto di recesso)
Un post sui titoli di un post è un evergreen, è anche una pratica noiosa se vogliamo, un qualcosa che ormai è talmente scontato che chiunque continua a scriverne in quantità per beccare traffico da quei poveri cristi che ancora cercano di capire qualcosa di copy e la formuletta magica (me compreso, ovviamente).
All'inizio il titolo di questo post doveva essere appunto:
COSE CHE DICONO TUTTI
ma sarebbe risultato un po' riduttivo, vero? Anche se in realtà lo dicono TUTTI, ma proprio tutti. Quindi dovevo infilarci un numero, una parola scema (indovinate?) un “come”, uno “scrivere” e ovviamente “post” e “titolo”. Gee.

Ho già scritto troppo, mentre tutti sanno che più o meno l'80% del pubblico web oltre al titolo non legge altro che due righe, allora per necessità metterò un

  1. che però non sarà seguito strettamente da un tip/consiglio/insegnamento/
MA
da una premessa necessaria:

Il titolo dei post non conta niente se il tuo post (e il tuo blog) fa schifo.
Chiariamo subito le tue intenzioni: cerchi di risollevare la vita del tuo blog sperando che un articolo (o qualche articolo) così-così con un buon titolo gli faccia da defibrillatore? Pfui!
La tua creatura web deve essere COSTANTEMENTE aggiornata, ricca di contenuti belli, ganzi, utili e divertenti da leggere. Speri che un titolo possa risollevare un articolo mediocre? Sbagli. Uno ci clicca, poi vede la fuffa e ti manda a quel paese... probabilmente per sempre.

Quindi, first of all: mettiti in testa che il titolo non è MIRACOLOSO, è solo una (piccola) parte del tutto (quel tutto che ti impone di farti il MAZZO), che il clic dell'utente non ti serve a niente - anzi, può essere deleterio - se dopo un buon titolo non si trova niente. Parafrasando un vecchio film italiano, SOTTO IL TITOLO NIENTE? E allora ripensa tutto.

Via con i numeri (da circo? forse):

  1. I numeri (quelli veri) funzionano, eccome. È scientificamente provato che, da buoni babbuini, andiamo a cliccare quello che ci sembra più “scientificamente” provato, e schiaffare un numero in apertura del titolo può regalare questo senso, sebbene in realtà uno veda nel numero anche/soprattutto la comodità di un elenco da consumare in 10 secondi netti. Tipo: 8 modi per... oppure 10 errori da non fare... Ah, ok... questo questo e questo: check. Questo non lo sapevo, anvedi che ganzo 'sto web-social-coso magari domani me lo rileggo”. Compreso?

  2. Fai una SPARATA. imparare dal peggior giornalismo e dai suoi titoli roboanti paga, inutile fare i puristi. Sparare una roba tipo QUESTO POST TI CAMBIERA' LA VITA fa sempre colpo ed è un metodo infido ma collaudato per acchiappare clic. Poi, il contenuto sono affari tuoi: se non gli cambi davvero la vita, a quello che ti legge, non lo rivedrai mai più sul tuo blogghetto/sitarello;

  3. Il titolo deve essere breve. Sì, lo so che tu vuoi raccontare QUELLO CHE HO IMPARATO DALLA MIA ESPERIENZA DI STAGISTA NON PAGATO E GUEST BLOGGER SFRUTTATO DAI CATTIVI LA' FUORI ECCO COME NON FARE LA MIA STESSA FINE, ma credimi, la lunghezza ok per il titolo sono sei-sette parole, se vuoi che la gente le legga. Devi essere maestro di sintesi e chiarezza, oltre che di ruffianeria verso il potenziale lettore. Comunque, gran parte del titolo precedente puoi riassumerlo con “coglione”;

  4. Fai una domanda. Ovviamente non “E adesso cosa scrivo?” (anche se, pensandoci bene, potrebbe essere un titolo che funziona bene)... insomma, hai capito, deve essere una domanda che cattura l'attenzione e tocca qualche nervo scoperto tipo: “Lavorare gratis danneggia la tua professionalità?”, e poi ti metti a sviscerare l'argomento in oggetto. Mi raccomando, poi nel post lascia sempre al lettore la possibilità di farsi un'idea adeguata, senza pensare che la TUA risposta possa essere quella assoluta.

  5. Superlativi e aggettivi come se piovesse (ma anche no). “La guida DEFINITIVA a...” - “8 metodi SPETTACOLARI per...” - “I 10 MIGLIORI tool...” - “Scrivere post PERFETTI...” - ho reso l'idea? Puoi anche metterne più di uno, senza esagerare però (ecco spiegato il ma anche no). Non sono necessari, ma sono dannatamente catchy. Non fare lo sbrodolone, dunque, ma punta a rendere la ciccia gustosa (o le verdurine, se sei vegetariano/a)

  6. Usa il NON tutto maiuscolo. Yes, alla gente piacciono i divieti, anche se può sembrarti strano. Hai sempre paura di fare quegli epic fail che un titolo evoca, quando lo vedi, vero? E ci clicchi per vedere se davvero sbagli qualcosa. That's psicologia, baby! Dunque, metti ansia al tuo lettore con un bel “Cosa NON fare su Twitter” oppure “5 orribili errori che NON devi scrivere...” e blablabla. Mi sto facendo paura da solo.

  7. Scrivi una cazzata. Sì, anche quelle aiutano. Non sempre e non troppo, ma se ci perdi un minuto, ogni tanto ne puoi trovare utile alla tua causa. Esci dal seminato e vai nel campo minato, ok? Parti dal titolo-cazzata e pensa al resto, chessò: a come scriverebbe un post sulla netiquette Bruce Willis. “La netiquette secondo Bruce Willis” - e poi giù a scrivere come si comporterebbe un action hero nei confronti di chi spamma nei gruppi di LinkedIn. Vabbè, è una cazzata come suggerimento. Scommetto che puoi fare di meglio, su.

  8. Fai una classifica. Anche tu aspett(av)i con ansia Hitlist Italia su Mtv ai tempi d'oro, eh? Bene, puoi fare la tua Superclassificashow su ogni argomento del web, basta corredarla di argomentazioni reali, utili e un po' spettacolari. E il titolo deve riflettere questo spirito: “I 5 migliori tool per infighettare la tue foto", tié.

  9. Sii chiaro, diretto, onesto, sexy e spregiudicato. Nessuno vuole un titolo complicato. Nessuno lo vuole generico. Nessuno lo vuole grigio come un impiegato di banca. Il titolo deve sedurre, conquistare, incuriosire, colpire con un pugno in mezzo agli occhi. È chiedere troppo? Allora torna a leggere i manualetti online di tutti i websocialcosi e lascia perdere il blogging. Per fare questo lavoro, baby, devi mettere in campo il 300% del tuo campionario intellettuale e del tuo fascino.

  10. Abbiamo finito.

Qui ci starebbe una call-to-action, ma ne scriveremo poi, e – detto fra noi – è una delle cose che mi piacciono di meno. Non devo convincerti a commentare, se non ne senti il bisogno. MA MI PIACEREBBE, OK? COMMENTA SE TI VA!
Ti voglio bene, caro lettore (se sei arrivato fin qui...)

Leggi anche:
- Come scrivere un dannatissimo BEL post!

mercoledì 15 ottobre 2014

Ma, un giorno, saremo davvero dei leader migliori?

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Proprio ieri, nel mio post di “ripartenza”, scrivevo quanti buoni e begli insegnamenti ci arrivano da tutte quelle persone che con il web (e non solo) lavorano ogni giorno.

Ebbene, girando per siti/blog/profili/note eccetera, sono anni che mi imbatto, come penso capiti anche a te ogni 2 per 3, in disquisizioni, regole e consigli di altissimo livello sul tema delle tecniche di leadership. Senza contare le centinaia e centinaia di pubblicazioni sull'argomento, dai titoli più o meno incredibili (dalla promessa di diventare campioni di leadership in una settimana a capolavori filosofici riletti “per il manager”).

Dimmi un po', caro lettore: ti sembra che finora, tra i veri o presunti leader con cui sei sicuramente entrato in contatto, questi insegnamenti saggi, illuminanti e possano dirsi entrati nel comune sentire ed agire?

Probabilmente no. Questo per diversi fattori, da quello generazionale a quello “tra il dire e il fare...”. Certo, ci sono delle eccezioni (io stesso, per fortuna, posso dirlo: c'è gente davvero in gamba, là fuori, ma è ancora in minoranza).

Ecco, se qualcosa deve dimostrare “l'invasione di consigli(eri)” di questa epoca, è proprio quella di essere utile. Lo stesso concetto che viene predicato da tutti i più-o-meno-guru del web-social: l'utilità che deve illuminare ogni sortita internettiana. Il contenuto utile, questo Santo Graal, come già ho scritto pure io.

Il mondo migliora soltanto se sappiamo migliorarlo: quindi, nel nostro piccolo, se tutti, alla prova dei fatti, messi davanti ad una esperienza di leadership riusciremo a dare il meglio seguendo quei precetti di umiltà, creatività, ascolto, condivisione e psicologia.

E tu mi dirai: dipende da come è fatta una persona, in fondo. Uno stronzo rimarrà sempre uno stronzo, dai libri prenderà solo quello che vuole e umanamente rimarrà comunque insopportabile. Uhm, come darti torto?

Se ragioni così, però, hai comunque la possibilità di cambiare le cose: segui la tua passione e cerca di diventare indipendente. Dunque, primo passo, cercare di diventare leader.

Secondo passo: rivelarsi migliore di “chi ci ha preceduto”, in tutti i sensi, anagrafico in primis.

Alla prova dei fatti, è comunque difficile. È difficile gestire una squadra, comprendere e affrontare ogni singola e spesso legittima esigenza di chi lavora con noi, settare e far rispettare le scadenze, rimproverare e poi premiare, tenere sotto controllo ogni singolo aspetto.

Ci vuole più umanità, più intelligenza emotiva, più sincerità assoluta o – quando si va a fare i conti con la realtà quotidiana – conta di più avere polso ed essere inflessibili (per non dire stronzi), per ottenere risultati? I “vecchi metodi” e la distanza empatica pagano di più di queste nuove dottrine che ci sentiamo ripetere ormai da ogni angolo del web?

martedì 14 ottobre 2014

Ricominciamo.

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“Oh no, Giac, ma cosa fai? Ti pare il titolo adatto all'articolo di un blog? Ma non hai imparato niente in questi ultimi anni?”

“Silenzio, Sadie, ho preso la mia decisione!”

Ciao, lettore. Non credo di averti mai presentato Sadie, la mia sadica coscienza social custode (che ha la forma di una piccola Living Dead Doll con le ali, non chiedermi perché).


Oggi Sadie – mentre mi svolazza attorno alla testa - è oltremodo allarmata perchè, dopo un po' che non scrivo, ho pensato di rivoluzionare l'approccio al blog.

Eccola che mi urla nell'orecchio: “Ma non esiste! Devi mantenere lo standard e fare quello che dicono tutti: pianificare il contenuto e corredarlo di un titolo che sia una piccola promessa al potenziale lettore, una domanda, presentare un tutorial, mettere un numero all'inizio e fare un elenco nel testo, aiutare a...”

“Ma vuoi stare zitta? Usciamo dalle regole, una volta tanto, ok? Ne ho già scritti parecchi. Scrivo di quello che riesco a mettere in pratica, non voglio ripetermi o peggio inventarmi roba copiando a caso. Non ci tengo a cercare di fare il social-web-guru 24/7, ok? Ci sono decine di persone e professionisti bravissimi che lo sanno fare benissimo e hanno ritmi, abitudini, tecniche efficaci e ineguagliabili”.

Sadie alza gli occhi al cielo mentre ripenso agli ultimi giorni della mia vita.

Due settimane! Due settimane di assenza da queste pagine, per le quali ti chiedo scusa, e mi scuso con il resto dei miei quattro lettori. E senza falsa modestia manzoniana: siete pochi, ma ci siete e siete costanti, lo dicono i numeri.

Due settimane in cui ho lavorato come un matto a QUESTA testata giornalistica online che finalmente ha visto la luce ed è ancora in pieno sviluppo, ho trovato persone fantastiche ed entusiaste che si sono unite al progetto. Poi beh, in attesa che quel sito faccia il suo dovere, ho anche – come sempre - lavorato per campare. Impegni, soddisfazioni, esperienze, conoscenze, strette di mano...

In poche parole, sono felice
“NO! - Sadie sta gridando isterica – Ma cosa dici? È il peccato peggiore sul web! Mai dire che sei felice e realizzato, ti odieranno tutti, nessuno vorrà leggerti! Scrivi che sei impegnato, ok... stressato, ancor meglio, che sei bravo a gestire i tuoi lavori con un calendario editoriale ma comunque passi la giornata davanti al pc, dì quanto è duro svegliarsi la mattina e trovare idee per scrivere cose per i tuoi clienti... ma non che sei FELICE, scemo!”

Un sorso di caffé. Diamine, sono felice e devo sentirmi in colpa? Ho trovato un equilibrio, riesco a gestire quasi tutto e pianificarmi la vita, sui social vado benino... e questo, va detto, dopo mesi e mesi di studio ragionato e sintesi durissima dei tanti insegnamenti che sul web dispensano - oh mamma, come li posso definire tutti in una sola parola? - bravi professionisti. Ad ogni parola ho messo un link, sì, è il mio modo per ringraziarli (dimentico di certo qualcuno - e non hanno certo bisogno del mio inutile linkaggio, ma era doveroso).

Cosa ho imparato in questi mesi? Al netto della necessaria e inevitabile auto-referenzialità di ogni esperto che, se ben gestita, genera un seguito spontaneo e salutare di persone... che sia il futuro, che sia una moda, che sia un abbaglio collettivo (che premia pochi, comunque) non importa: il web-social-qualcosa - marketing, writing, managing etc - è un impegno grande, un lavoro serio, una disciplina importante e nuova, ma che non sfugge a regole vecchie.

Del tipo: vuoi lavorare sul web? Spaccati la schiena. Studia. Fai pratica. Sbaglia. C'è tanta fuffa? Sì. Ci sono tanti venditori di fumo? Altrettanto. Ci sono quelli che si spacciano per il messia camuffando insegnamenti per pubblicità? Mi pare ovvio.

Invidie? Rancori? Miserie? Patetismo? A piene mani.

Esattamente come nella vita reale (che poi, anche basta con questa dicotomia: il web non è anche lui vita reale? Per caso ci passiamo ore virtuali o sono ore reali di vita reale?)

Capiamoci: se il Messia tornasse sulla Terra per aiutarti davvero a diventare un blogger migliore FOR FREE, lo metterebbero in croce (virtuale) tempo zero. 

Una cosa può comunque consolarti, caro lettore, ed è la stessa che consola me: sul web non si possono fermare le belle cose. Quelle fatte veramente con sincerità, con una bella attitudine e una reale utilità. A volte frutto della sola passione disinteressata.

Magari non saremo tu o io a trovare la formula del successo, ma qualcuno, ogni tanto, riuscirà a farlo, e sarà bello vedere l'evoluzione del percorso.

Dunque. Non vivere il web con l'ansia di dover dimostrare qualcosa o di raggiungere in modo facile determinati obiettivi, perché è il modo peggiore.
Vuoi farne la tua vita? Non dimenticare il resto. Lavora, e lavora sodo.

E poi, quando anche tu sarai sommerso dagli impegni, avrai esaurito la vena creativa, attraverserai un periodo di stress e rischierai il burnout, non troverai il tuo posto su questa terra (virtuale), tutti ti sembreranno falsi e opportunisti, sarai pieno di dubbi e domande... beh, staccati un po' dalla routine web-social. Fai un passo indietro. Prendi tempo, pensa, rifletti, sintetizza (con carta e penna) e poi:

RICOMINCIAMO.

Con buona pace di Sadie (che è ancora qui che mi guarda con occhi severissimi).
Alla prossima :-)

mercoledì 24 settembre 2014

Come emergere sul web? Esci dalla nicchia (e dai soliti schemi)

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Essere ultra-settoriali, nel campo dei blogging, poteva andar bene fino a qualche anno fa, ma adesso, se si vuole veramente emergere e competere, si deve uscire dalla nicchia e, per dirla in gergo giornalistico, diventare più “generalisti”. Rimanere nel proprio ambito, ok, ma sconfinare in tutti quelli simili e attinenti è un modo intelligente per attirare pubblico nuovo e non annoiare quello esistente.

Il tuo settore di competenza è probabilmente già saturo di figure che hanno scritto tutto il possibile su tips&tricks e filosofie di fondo della tua specializzazione (o passione).
Quindi... sei costretto ad andare nel panico
No, sfida tutti e porta l'asticella più in alto trovando altri modi, unici ed efficaci, per dire quello che vuoi, magari “uscendo dal seminato” e trovando nuove vie di contaminazione mentre lo fai. Non temere di essere originale.

Fino a qualche tempo fa, “limitarsi” a scavare nella propria nicchia poteva essere ok, ma oggi la stragrande maggioranza del pubblico online, aumentato esponenzialmente di anno in anno, si interessa e si sente in grado di poter giudicare tutto quello che viene scritto, sia nella forma che nel contenuto. Senza contare che in giro c'è una grande “fame” di contenuti.

Per questo, basandomi su diverse esperienze, penso che le cose migliori siano:
  • Non affrontare il web con la mentalità “esserci tanto per esserci”. L'ho già scritto un paio di volte, e ripeterlo non fa male: il rischio è quello di perdersi nell'ansia di far parte del flusso costante di contenuti (status, tweet, link, post...) e perdere completamente di vista l'obiettivo: produrre qualcosa di qualità, utile, interessante per il lettore-utente. Si pensa a produrre presenza a raffica senza riflettere e senza dare origine a qualcosa che rimanga.
  • Sapere che tu puoi essere il futuro della tua nicchia. Puoi esserlo nella misura in cui innovi e ti rinnovi. Sì, lo so che è difficile trovare qualcosa di originale da dire (e spesso anche dire in modo originale qualcosa che è già stato detto), ma se non ci provi, che senso ha? Vuoi essere “uno dei tanti” e aggiungerti al rumore di fondo? Non credo. Pensa due minuti in più sul tuo contenuto e cerca di distinguerti.
  • Piacere rendendoti piacevole. Comportati con l'utente come se fosse un amico con il quale ti senti a tuo agio. Trattalo con educazione e con rispetto cercando di divertirlo mentre racconti qualcosa. Non salire mai su nessun piedistallo. Boria & noia sono nemici mortali del web.
  • Non puntare subito ad obiettivi irraggiungibili. Guardati attorno e cerca di vedere chi è al tuo livello. Cerca di distinguerti da questa massa di competitor. Non basta essere bravi o veloci a scrivere, devi sapere come scrivere, cosa inserire per catturare l'attenzione e per creare engagement, saper leggere gli analytics, promuovere i tuoi post su almeno tre diversi social, interagire e ascoltare. Devi (e puoi) imparare a fare questo e molto altro. Prendi tempo e usa la pazienza. Solo così potrai battere la concorrenza ed emergere.
  • Tener presente sempre che la qualità vince. Un contenuto utile e interessante avrà una vita molto più lunga e soddisfacente di un post usa e getta/copiato. Affianca la qualità ad una attività di blogging costante (fissati appuntamenti e scadenze!) e vedrai che, con un pizzico di social media strategy, raggiungerai risultati soddisfacenti.

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Esaurimento da social, cosa NON fare d'impulso!
- Hai scritto un bel post? Promuovilo come un reporter d'assalto!

giovedì 18 settembre 2014

Social strategy: non accontentarti delle missioni secondarie, salva la Principessa!

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Non guardarmi con quel sopracciglio alzato, come se fossi un nerd senza speranza.
Quello che voglio dirti oggi, con questo titolo poco ortodosso ma (spero) azzeccato è... i social sono come un videogame, e dato che sei il protagonista, non limitarti a completare missioni accessorie!

Ti vedo ancora dubbioso.
Sui social se non sei attivo non esisti, lo sappiamo.
Per questo, ci scommetto, tu sei molto attivo: scrivi, posti, linki, commenti, tuitti, rituitti, rispondi, eccetera.
Ok, hai mai pensato che tutto questo “agire sul momento” sia utile ma non fondamentale per dare un senso alla tua esperienza sul web?

Tutti quelli che masticano un po' di videogiochi lo sanno: negli RPG (ma anche in Grand Theft Auto o Assassin's Creed, non facciamo gli snob fantasy) c'è la “grande trama”, i cui obiettivi fanno progredire sul serio il gioco, e poi ci sono le spassose, divertenti e coinvolgenti quest secondarie, inessenziali ma gustose da giocare.

La partecipazione attiva più volte al giorno sui social è un po' come il completamento della missioni “accessorie”: certo, è uno spasso condividere contenuti interessanti, chiacchierare con gli amici, interagire con i vip, creare e postare meme e via dicendo...
Ma non bisogna mai perdere di vista il quadro più grande: se sei online, se stai “esplorando” la mappa di questo strano, nuovo mondo (per tirare in ballo anche Star Trek) vuol dire che probabilmente aspiri a qualcosa.

In altre parole, mentre vai a zonzo raccogliendo monete (a volte anche scontrandoti con qualche troll, perchè no?) non devi dimenticarti di salvare la Principessa e conquistare il Castello.
Lascia il segno, crea qualcosa di veramente fico, di veramente tuo.
Raccogli informazioni e scrivi sul tuo blog un post memorabile, che i tuoi figli tramanderanno ai loro nipoti, (auto)pubblica un ebook che ti frutterà tanti complimenti (e solo complimenti: ma vuoi mettere?), stabilisci connessioni durature e proficue che possano dare qualcosa in più di concreto alla tua vita.

Fai progredire assieme questi due binari. Ovvio, se non sarai mai attivo e presente online una volta compiuta la tua “impresa” la gente si chiederà: “Ma questo chi è?” e ti ignorerà. Se ti sarai costruito una base solida di relazioni attraverso l'attività giornaliera e costante (con le famose quest secondarie) ti sarai probabilmente guadagnato un pubblico attento, interessato e disposto a condividere le tua opera.

Insomma, non fermarti a fare soltanto del “rumore di fondo” sul web – equivalente dell'andare in giro a prendere a colpi di spada i cespugli – ma, nel frattempo, prepara con attenzione e poi lancia un acuto che non potrà essere ignorato.

Sai dove ho preso l'ispirazione per questo post? Da un articolo scritto da Robin Sloan nel 2010.

Quattro anni sono un'era geologica (forse due? facciamo quattro) nel nostro splendido web-social-mondo, eppure... ci sono vari modi per salvare una Principessa, non credi?

Se ti va di leggere ancora qualcosa...

- I social media... secondo Hitchcock
- Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no)
- Nel villaggio social(e), non basta esserci: devi sapere il perchè!

martedì 16 settembre 2014

Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale. #FDR14

Sono andato alla Festa della Rete per seguire alcuni eventi, in particolare quelli targati “economy” dedicati al mondo del lavoro che (è) cambia(to).

Uno di questi aveva come titolo “Il lavoro di domani” (ammesso che domani ci sia ancora lavoro: questa è mia) e ha visto protagonisti Stefano Quintarelli, deputato, imprenditore e pioniere del digitale in Italia, Andrea Santagata, CEO di Banzai Media (dietro a giallozafferano, giovani.it e ilpost) e Carlo Alberto Carnevale, prof alla Bocconi di Milano.


Il valore dei valori - Il dibattito sul (non)lavoro ai tempi del digitale è ampio e difficile, e che da noi (in Italì) poco sia cambiato da dieci anni ha questa parte si capisce anche solo vedendo come i relatori ripropongono dati, grafici e teorie primigenie che ancora si adattano bene al nostro sistema. Tutti però sono concordi nell'affermare che lo stesso web è cambiato moltissimo dai modelli originari di business, anche se spesso solo gli addetti ai lavori se ne accorgono: chi deve utilizzare gli strumenti online a livello “elementare” per fare economia o promozione spesso non sa ancora dare valore specifico ai valori "nuovi", creati dai sistemi digitali, che non sono strettamente legati alla moneta.

I want to fly away – A un certo punto Quintarelli cade nella (ricorrente) trappola dell'esterofilia, nel senso che, anche se giustamente dice che “chi pensa solo ai confini italiani sbaglia perimetro”, poi tira fuori la classica frase tipo “nell'X posto in USA ci sono 25 mila posti, i ragazzi italiani bravissimi dovrebbero pensare a questo”.

Vero, ma fino a una certo punto, e infatti Santagata subito dopo lo riprende sottolineando che “va bene guardare al mercato globale, ma un sistema che obbliga ad emigrare è sbagliato”. Portando il ragionamento un po' più in là, si può aggiungere che le possibilità non dovrebbero essere solo per chi ha portato a compimento i cosiddetti percorsi “d'eccellenza” nello studio – richiesti all'estero – ma per chiunque abbia capacità specifiche e rivendichi il diritto di non essere costretto a lasciare il proprio Paese.

Posto fisso, ciao! - E qui si arriva al nocciolo della questione. Per i giovani notrani – diverse indagini lo hanno confermato per l'ennesima volta - “le Poste sono ancora meglio del digitale”, ovvero la mentalità del posto fisso è imperante. Se vogliamo anche legittima: in fondo, un giovane mica può desiderare di dover cercare e cambiare lavoro per tutta la vita. Anche se stimolante, è un'idea che può creare un po' di leggera ansia se uno sogna una famiglia, no?

Quindi capisco quando Santagata dice “L'idea del posto della vita – che non esiste praticamente più manco alle Poste – è una mentalità che affligge questo paese”, ma ho sentito anche benissimo quando prima ha affermato che il “mercato digitalenon è la soluzione ai problemi di occupazione in Italia (e non lo sarà ancora per molto tempo). Può essere però una grande risorsa, a patto che a monte ci sia un sistema di formazione che ad oggi in Italia è assente.

In poche parole, mancano veri e propri percorsi di studio che permettano ai ragazzi di saper lavorare in ambiti che ormai sono una realtà e un'opportunità, come quello della programmazione, della grafica e delle app. Quando al Sant'Anna di Pisa è stato attivato un master in programmazione di app per mobile, chi lo ha seguito ha trovato quasi immediatamente un'occupazione.

Il lavoro sarà demonetizzato - “Non saremo più pagati per il tempo impiegato su un lavoro, ma per il lavoro stesso, il singolo task”. Così Carnevale introduce il concetto che alla fine porta alla frase evidenziata. Il lavoro sarà “svuotato” del suo valore monetario (in ordine di tempo) per essere valutato e pagato per i risultati.

Ovvero: non sarai più pagato per il tuo tempo, ma per il singolo compito (che pure avrà una scadenza) e sarà affar tuo se sarai più o meno bravo nel “perderci” più o meno ore sopra.

Poi, quando Quintarelli parla di provvedimenti ad hoc che dovrebbero essere presi dalla politica per il mondo del lavoro che sta cambiando grazie al digitale, mi vengono in mente tutte le bellissime azioni che i vari governi hanno intrapreso nei confronti del web e mi sfugge una risatina (isterica).

Cosa mi ha lasciato, quindi, questo incontro? 
Ha peggiorato il senso di inquietudine che avevo rispetto al mondo del lavoro. I salari crolleranno, la ricerca di occupazione sarà continua e la competizione serratissima (“siamo tutti in competizione con l'ultimo degli indiani”, Carnevale dixit), esisteranno sempre meno super-specializzati ricchi e un “proletariato digitale” che vedrà i soldi col binocolo... quasi come nell'era industriale del primo Ottocento.

Siamo sicuri che il web, nell'ambito lavorativo, ci stia davvero facendo progredire, come società?

Se ti va, puoi leggere anche:
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards

lunedì 15 settembre 2014

Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards 2014

Come sono stati questi Macchianera Italian Awards 2014?

Prima di tutto, affollati.

Il Teatro Novelli di Rimini letteralmente esplodeva di pubblico e, all'apertura delle porte avvenuta con leggero ritardo, è soltanto grazie al morso del ragno radioattivo dei tempi del liceo se sono riuscito a rimediare un paio di posti a sedere.

Gente in piedi, gente ficcata in ogni anfratto, gente seduta per terra e sulle scalinate, in definitiva, dappertutto. L'atmosfera è sempre rimasta giocosa e divertita, riflettendo lo spirito “comunitario” della manifestazione, che ha il grande pregio di non prendersi mai troppo sul serio. Anche i cori da stadio che hanno accompagnato qualche premiazione hanno espresso la sana competizione tra i “nominati”, senza mai eccedere.

Comitive di blogger numerose e rumoreggianti hanno dunque furoreggiato in platea e galleria, mentre sul palco si procedeva spediti come treni – per evitare lungaggini, missione difficile ma compiuta in due ore e un quarto – con Gianluca Neri e Andrea Delogu + vari guest host a smistare nomination, siparietti e vincitori ma soprattutto a dare e (fulmineamente) togliere i microfoni per gli speech dei trionfatori.

(QUI l'elenco dei vincitori)

Molti i “grandi nomi” versione web che si sono affermati vincitori durante la serata, a volte anche a scapito di blog veri e propri, vedi nell'informazione Ansa.it (news), Il Fatto Quotidiano (testata online), Il Sole 24 Ore (economia) e Wikipedia in Italiano (educational).

Tra i migliori siti premiati per la loro attività, “facce” vecchie e nuove ma tutte meritevoli – come anche molti dei nominati, va detto, la competizione è stata serrata – tra i quali spiccano Bastonate (musica), Abbiamo le prove (letteratura) Friday Prejudice (cinema), Qualcosa di sinistra (opinione politica), Le cose cambiano (Lgbt).



Tra le conferme, ItalianSubs e i suoi insostituibili traduttori, sito che vince per la quarta volta di fila, se non erro, e Spinoza, che da sei anni domina incontrastato nella categoria satira. Stefano Andreoli, presentatosi sul palco con lo squadrone (quasi) al completo, non ha mancato di lanciare un paradossale messaggio a tutti i concorrenti: “Le battute sul web hanno rotto il cazzo!”. 

Nel suo anno d'oro Pif ha sbaragliato la concorrenza anche ai MIA, affermandosi tre volte come personaggio più apprezzato dalla Rete, miglior regista italiano (per La mafia uccide solo d'estate) e autore/conduttore tv (Il testimone). Paolino Ruffini, forte dei suoi incassi milionari, ha preso tutti per il culo dopo aver incassato il premio peggior film (Fuga di cervelli) via video con un bel “Dai, distruggete sul web anche il mio prossimo film, che tanto guadagno ugualmente una vagonata di vaini (soldi in livornese ndr)” Un umile Chef Rubio si è lanciato in un'invettiva stile la 25ma ora per ritirare il premio di miglior chef, mentre come miglior disegnatore è stato eletto l'ormai lanciatissimo ZeroCalcare e come migliori youtubers i ragazzi di The Jackal.

Rivelazione dell'anno, “Se i quadri potessero parlare”.

Non posso poi non citare gli amici di Scientificast che, con un lavoro davvero impegnativo e di qualità, hanno portato a casa il premio per miglior programma-podcast sul web con la loro lodevole azione di divulgazione scientifica. Bravi!

Un saluto anche ad autorevoli e apprezzati personaggi presenti in platea ma non saliti sul palco: Protesi di Complotto, Nebo, Feudalesimo e Libertà.

Adesso, anche io vorrei consegnare idealmente qualche riconoscimento:

Non so se qualcuno lo racconterà ufficialmente, ma di sicuro il premio al vincitore più contestato della serata va a AlFemminile.com (tra l'altro “gold partner” della manifestazione), accolto dai boati della platea al momento di ricevere il riconoscimento quale miglior community.

Premio agli spettatori più molesti della serata ai ragazzi di Vagabondo.it, che con cori da stadio e contrappunti gridati dal loggione hanno movimentato la scena, regalando anche, a volte, gustosi siparietti con chi stava sul palco!

Promossi i presentatori ufficiali – tra cui anche Matteo Bordone, Daniela Stazzitta Collu e Carlo Gabardini - ma faccio un plauso particolare allo stile “flash” e alla buona presenza sul palco di Comeprincipe per l'esecuzione della categoria Twitter pride.

Cose da sottolineare:

  • L'assenza fisica pressoché totale di tutti i premiati vip, pure se potenzialmente “alla mano” (Zoro, Zerocalcare, The Jackal) forse dovrebbe fare riflettere. Vanno bene i video di ringraziamento – e va bene pure premiare grossi calibri per far parlare dell'evento – ma non vedere quasi nessuno dei vincitori “famosi” a ritirare il premio fa uno strano effetto, manco abitassero in un altro continente...
  • Il “passamicrofono” tra più conduttori ci può stare, ma poi far rimanere tutti sul palco seduti e inattivi per gran parte del tempo forse è superfluo! 
  • Come detto sopra, il coinvolgimento di tv-radio-marchi famosi e conosciuti anche da mia nonna è perfettamente sensato e finanche vitale per un evento come i MIA, però arrivati a questo punto è necessario rivedere alcune categorie e l'inserimento “nello stesso girone” di giocatori completamente diversi. 



Ciò detto, ci si vede nel 2015 ai MIA (ovunque siano, anche a costo di calarmi dal soffitto come Tom Cruise in Mission:Impossibile).

lunedì 8 settembre 2014

Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no!)

A proposito, se qualcuno qui lavora nella pubblicità o nel marketing... uccidetevi!”.

Bill Hicks è stato uno dei comici più brillanti, caustici e paradossali del ventesimo secolo. Rivedendo qualche sera fa la registrazione di uno dei suoi migliori spettacoli, mi ha colpito la veemenza con la quale si scagliava contro il mondo dell'advertising: era il 1993 (poco prima della sua morte per malattia).

Bill se la prendeva soprattutto con il modo di fare pubblicità bolso, aggressivo e sessualizzato degli anni '80 e dei primi anni '90, in un contesto storico dove i rampanti 'yuppies' e i giovani imprenditori avrebbero venduto anche le loro mamme per fare affari guadagnare montagne di soldi.

Internet, per inciso, era un neonato e ben lungi dal suo pieno sviluppo, tantomeno si poteva pensare alla rivoluzione dell'online marketing o del social media marketing.

Anche se i tempi sono radicalmente cambiati, Bill dice cose – condivise dal pubblico – che hanno una valenza universale: i pubblicitari-marketingari, definiti “la progenie di Satana” sono capaci di vendere qualsiasi cosa a chiunque, fregandosene di tutto il resto e soprattutto, guardando il mondo con occhi che stampano il simbolo della moneta corrente su qualsiasi oggetto o persona, riempiendo “di spazzatura” il mondo circostante.



Non è forse l'idea ancora radicata nella testa di tantissima gente? Lavori nel marketing? Oh, sei un tizio senza scrupoli e tendenzialmente bugiardo di cui è meglio non fidarsi. O farlo con molta cautela. (Un po' come i giornalisti, e parlo da giornalista, lo so bene...)

I media sono cambiati, la pubblicità lo ha fatto poco: prima c'erano spot tv invadenti, cartelloni aggressivi, offerte telefoniche, eccetera. Su internet? Banner invadenti, pop-up aggressivi e fastidiosi, subdole tecniche di clic-baiting, eccetera.

Eppure, di certo lo sai, queste sono ormai strategie perdenti.

Il web ci ha resi liberi anche da questo modo di fare di pubblicità, ci sono voluti tempo e un po' di fatica, ma finalmente sembra che il modello “televisivo” sia superato e che l'utente si sia stufato.

Ci vuole coinvolgimento, ci vogliono autenticità e sincerità nei messaggi, serve il dialogo tra produttore e consumatore, è necessario un nuovo modo di presentare e raccontare la propria storia invece di fotografare un prodotto e stamparci sopra un prezzo. Storytelling, branding, social strategy, ma soprattutto educazione e correttezza verso il “tuo” consumatore.

La domanda è: cosa avrebbe pensato di Bill Hicks di questi nuovi fenomeni? Come avrebbe scherzato (dicendo quindi la verità) sul modo di fare marketing dei giorni nostri, sul web? Ma soprattutto: quando ti guardi allo specchio, tu giovane, rampante professionista del social media marketing, vedi un piccolo aiutante di Satana?

Se vuoi fare marketing in questo nuovo, strano mondo (per dirla alla Star Trek), non devi ucciderti. Devi uccidere il piccolo aiutante di Satana che c'è in te, togliere il simbolo della moneta da ogni elemento del mondo e vivere la tua professione con onestà, trasparenza e voglia di raccontare.


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mercoledì 3 settembre 2014

Nel villaggio social(e), non basta esserci: devi sapere il perchè!

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Il buon vecchio sociologo Marshall McLuhan, che ogni appassionato di comunicazione conosce per il suo assunto “Il medium è il messaggio”, aveva con le sue teorie anticipato il web, ma ora forse si farebbe due domande su quello che aveva definito “villaggio globale”.

Certo, gli spazi si sono ristretti, le distanze annullate, i canali di comunicazione moltiplicati, ma in questo villaggio, quanti abitanti hanno 
davvero un obiettivo di vita e quanti, invece, hanno piantato una tenda solo per dire “Ehi, ci sono anche io!”?

Una delle mentalità più diffuse, - soprattutto nell'ambito personal branding o social media marketing - è quello del pensare che basti semplicemente “esserci”, sulle varie piattaforme social. Niente di più superficiale. Anche se, in effetti, il ritmo vertiginoso di status, tweet, post etc. ci fa sentire tagliati fuori se non facciamo qualcosa.

Una risposta abbastanza chiara a questa concezione social dell'esserci per esserci arriva da Brian Solis, il teorico per eccellenza del web.

In un'intervista al The Economist, Solis opera una distinzione netta – con la classica “parolina in più” che cambia tutto – tra social business e social media.

Di fatto, non siamo più neppure nello stesso campo: con social business si indica la filosofia stessa che sta alla base dell'essere “impresa social” (che tu sia un battitore libero o un'azienda poco cambia). Il che vuol dire studiare un impatto positivo nella vita delle persone, ponderare la propria possibile utilità, mettere in atto una cultura specifica sulla quale modellare le proprie azioni, chiarire le proprie aspirazioni e mirare ad un “livello più alto” di visione e condivisione con gli altri.

Con il termine social media, invece, si indicano solo e soltanto gli strumenti e i canali attraverso i quali queste decisioni vengono messe in atto.

In sostanza, quello che ci dice l'eminente antropologo-futurologo è che spesso si pone in modo ingenuo troppa enfasi sui “social media” e ci si dimentica completamente del quadro più ampio. Il medium NON è il messaggio, non parla da solo e il suo utilizzo non comunica niente in più che possa portarti dei vantaggi.

Tradotto, puoi avere tutti i calendari editoriali che vuoi, e dei contenuti molto carini e utili, ma se continua a sfuggirti il senso ultimo delle tue azioni sul web finirai invariabilmente per accumulare un bel gruzzolo inutile di post, status, tweet e foto.

Comunicare non basta, sapersi far vedere/leggere neppure, bisogna studiare e rendere unica la propria comunicazione.

Dover bloggare e saper postare/tuittare non basta. Quello che serve è un cambiamento della mentalità con la quale si affronta il safari nella savana dell'internet.

I vecchi sistemi di pianificazione, le strategie vecchia scuola tradotte nel linguaggio online, i sistemi lenti e macchinosi sono quelli che ti faranno mangiare dal leone (= i competitor).
Solo avendo chiari i propri obiettivi e le proprie possibilità, si potrà sopravvivere e raggiungere la piena soddisfazione.

Ciò che deve cambiare è essenzialmente l'approccio di ogni singolo utente o dell'azienda che si affaccia al web: capire e direzionare la propria identità e agire secondo criteri di autenticità, aprirsi completamente agli altri accettando a braccia aperte idee, critiche e consigli, collaborare ed essere generosi.

Una volta compreso questo (il core del nostro social business), possiamo iniziare il nostro lavoro sui social media.


- Esaurimento da social, cosa NON fare d'impulso!
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lunedì 1 settembre 2014

Esaurimento da social? Prima degli istinti omicidi, leggi qua!

Immagine by Charlie Bink
Sai cos'è la sindrome da burnout?

Prima che tu mi abbandoni per fiondarti su wikipedia... se dico stress a cosa pensi?

Esatto, tutta quella (brutta) serie di cause che ti portano ad essere iperteso, irritabile, negativo, incattivito...  Una volta questo fenomeno si affibbiava solo alle professioni “d'aiuto” (hai presente il settore medico-sociale?) ma poi è stata estesa al mondo del lavoro a tutto tondo – che tu ci creda o meno, anche al settore pubblico, parlo per esperienza – e infine, naturalmente, può essere ritrovata anche nel nostro utilizzo professionale o meno dei social media.


Per farla breve: questione di expectations vs. reality, l'entusiasmo viene meno, le motivazioni dell'impegno pure, le soddisfazioni si negano anche al telefono, e il lavoro ti chiede troppo per non darti niente in cambio. Suona familiare?

Ti sembra di non “arrivare mai”, gli obiettivi rimangono troppo lontani, chi dovrebbe darti una mano latita, non ottieni risultati anche se ti impegni... tutte cause che portano il tuo umore sottozero e che poi ti portano ad essere nervoso, distaccato, negativo, assente verso tutto e tutti.

Ne vale la pena? Ovviamente no. Puoi farci qualcosa? Certo!

Parlo da “semplice” utilizzatore dei media di ogni natura, non certo da trombone con le soluzioni in tasca, ma posso – avendolo vissuto sulla mia pelle – azzardare qualche ipotesi su come sconfiggere questo brutto muso del burnout. Parlo dei social, non del lavoro. Lì le variabili sono talmente tante e complesse che sarebbe davvero presuntuoso cercare di risolverle in un post!


Ok, dunque come evitare di “bruciare” il nostro entusiasmo verso questi splendidi mezzi che sono i social media? Oltre ad alcune raccomandazioni di carattere generale per partire al meglio (vedi qui), ecco cosa fare quando ti senti arrivato al picco del tuo odio social e del rifiuto verso il prossimo virtuale:

  • Non perdere la calma e non cancellare nessuno dei tuoi profili. Non del tutto. Nel momento in cui vorresti farlo può sembrare una buona idea (l'idea di sparire – anche se è solo un'idea – è allettante), ma se prima o poi vorrai tornare ad essere presente online, dover rifare tutto potrebbe essere decisamente frustrante. 

  • Cambia il tuo modo di essere presente online. Prima di gettare la spugna, fai un tentativo estremo: modifica completamente il tuo approccio ai social. Tanto, che hai da perdere, se secondo te adesso non funziona? Quando dico completamente, intendo proprio del tutto: fai esattamente l'opposto di quelle che sono le tue abitudini (posta meno/di più, parla di altro, cambia stile), mantenendoti sempre entro i limiti della netiquette.
  • A proposito di netiquette: ricorda sempre che l'educazione è tutto. Non permettere mai al tuo stato di frustrazione di trasformarti in un eremita cinico e avvelenato. Non c'è niente di peggio che vedere gente che sta online a sputare sentenze sui social e maltrattare chi li utilizza (oltre che un palese ossimoro, l'eremita social è un personaggio ridicolo, no?) 
  • Fuggi dal pc (anche dallo smartphone!) e immergiti nella realtà. I social ti hanno stufato, li trovi falsi e/o privi di stimoli e riscontri? Rimani attivo ma dirada l'attività, e impegnati nel vivere “la vita reale”. Magari vedrai che anche là fuori le cose non vanno meglio, o forse troverai persone per cui valga (ri)stabilire connessioni anche online. Socializzare nel mondo reale regala un miliardo di punti di vista differenti e di nuovi modi di approcciare le relazioni – anche quelle online. Provare per credere. 
Questi non sono che “piccoli” accorgimenti. È facilissimo cadere in uno stato di “apatia social”, soprattutto se la nostra attività ha bisogno di riscontri dall'esterno.
Ma è anche altrettanto facile trovare un equilibrio, basta non soffermarsi troppo su quello che ci irrita o ci fa star male: lasciamo cadere, ogni tanto, le polemiche e disinteressiamoci di chi sembra essere sempre e comunque una star!

Il segreto – che segreto non è – è abituare il cervello a pensare un pochino di più a te stesso e al tuo bene.



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venerdì 29 agosto 2014

Non sei "il più intelligente nella stanza"? Allora devi essere Spongebob!

Immagine via
Se sei la persona più intelligente nella stanza, probabilmente hai sbagliato stanza”.

Ti è mai capitato di leggere questa frase, scritta (o copiata e incollata) sulla bacheca di qualche tuo amico simpaticone?
A me è successo diverse volte, l'ultima proprio ieri.
E ho pensato: “Beh, a volte è proprio bello sbagliare stanza, anzi... è necessario”.

Perché? Semplice. Tutti noi pensiamo, in qualche modo, di essere i migliori in quello che facciamo, anche soltanto in una delle nostre passioni. Scontrarci - anzi, trovarci nello stesso ambiente - con chi invece ci dimostra (senza alcuna fatica o presunzione) di essere migliore di noi e di ottenere i risultati che per adesso possiamo solo sognare... è un'esperienza fondamentale.

Credo non esista niente di più motivazionale dello sbattere il naso contro il muro rappresentato dalle persone che, svolgendo semplicemente un lavoro o dedicandosi a qualcosa che piace loro, ci fanno comprendere i nostri difetti, le nostre mancanze. O magari, ci illuminano con un metodo creativo-produttivo che non avremmo mai pensato, e che probabilmente riuscirem(m)o a mettere in pratica anche noi.

Il motivo è presto detto: tu sei creativo come chiunque altro, se vuoi. Nessuno è stato toccato da un'Intelligenza Superiore per ottenere le proprie capacità di avere idee e di saperle sviluppare. L'unica illuminazione che ti serve è quella degli stimoli esterni che saprai cercare, trovare e, infine, elaborare...

- Devi essere una spugna: esatto! Pensa di essere un piccolo Spongebob. Devi ingigantirti assorbendo tutto quello che ti circonda. Fai in un modo di avere sempre dei buoni stimoli ogni giorno, leggi in modo compulsivo fonti che si occupano dei tuoi interessi e anche di argomenti che ti sono estranei (non vorrai mica fossilizzarti, vero?). Alla fine avrai trattenuto di sicuro qualcosa che ti servirà e renderà più ricco e saggio.

- Crea un appuntamento fisso per la tua creatività. Sii abitudinario: non crederai mica alla leggenda degli artisti che fanno vita sregolata e producono le loro opere in estemporanea, vero? Tu devi essere un noioso impiegato della creatività. Trova un orario a te consono e utilizzalo ogni giorno. Un'ora, magari. Mettiti alla scrivania e inizia a sfidare il foglio bianco. Strizza i tuoi neuroni.

- Raccogli ogni ispirazione. Un autore che mi piace molto, Neil Gaiman, dice che l'ispirazione arriva da ogni parte, e a volte bisogna difendersi. Nel senso che, se uno arriva al punto di essere capace di trovare stimoli nella vita che lo circonda, nei dialoghi con gli altri e in tutto quello che vede/legge... dovrà trattenersi dallo scrivere in ogni momento appunti sul taccuino per poter vivere la propria giornata senza il naso sul bloc-notes. Puoi provarci, no?

- Infine, per citare l'onnipresente Seth Godin... se ti senti bloccato, fai uno sforzo d'immaginazione e inizia qualcosa, qualsiasi cosa. Pensa alla prima cosa che ti passa in testa e sviluppala, segnando la data sul calendario e fissando una scadenza. Fare qualcosa è sempre meglio di fare niente.

La vera differenza, nella creatività, è tra il nulla e il qualcosa: non aver paura di creare e di misurarti con gli altri.

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
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martedì 26 agosto 2014

La vita (non) è tutta un SELFIE, neppure in tv!

Quando il cinema e la tv si occupano delle “nuove tendenze”, in particolare di tecnologia, spesso queste vengono approcciate in maniera goffa e poco rispettosa della loro natura.

Figuriamoci quindi cosa può succedere con una serie che si intitola Selfie... sì, avete letto bene, proprio come quelli che vi fate in continuazione. Una serie tv che, dunque, dovrebbe parlare di social media, o almeno affrontarli come motore delle vicende.

Prima di farvi venire l'orticaria – se non sopportate i selfie – rilassatevi: il telefilm, in onda sul canale americano ABC, non tratta di dodicenni o superstar con tendenze megalomani, ma di una sciacquetta di effimero successo online che deve riprendersi da un epic fail...

La cosa migliore di questo pilot (cioè primo episodio) sono i due protagonisti, Karen Gillan (la “storica” Amy Pond di Doctor Who) e John Cho (il Sulu del nuovo Star Trek al cinema).

Lei, Eliza, è una ex-bruttina della scuola adesso trendsetter e maniaca dei social, mentre lui, Henry, un esperto di marketing che odia la falsità dei rapporti online, ipercritico e metodico. Entrambi gli attori sono molto bravi e in parte, e salvano il prodotto dal naufragio alla prima sortita.

Non pensate, però, di trovarvi di fronte ad un prodotto che parla di internet e di web marketing: come i nomi dei due personaggi suggeriscono, siamo dalle parti di una sorta di remake moderno di My Fair Lady. Lei non è autentica e deve ricostruirsi un'immagine, lui è un riservato esperto in materia: uno scontro tra opposti che finiranno per attrarsi, con il mondo dei social a fare da teatro, invece di quello dell'alta società.

Il difetto di questo primo “assaggio” sta nell'indecisione del prodotto nel coniugare l'anima “al passo con i tempi” all'impianto vecchio stile: alla fine l'utilizzo dei social viene affrontato come la solita “diavoleria moderna” che ostacola la vita reale e non rappresenta una fonte di rapporti utili e veri. Non si contano le battute piuttosto banali in materia (tipo lo scambio “La tua mancanza di rapporti sociali ti rende così bravo a lavoro?” “Mi sembra facile non creare connessioni in una città che apprezza solo la connessione wi-fi”) così come le scene in cui gli amici virtuali non rispondono ai messaggi – anzi, non sono empatici! - e non interagiscono quando Eliza si sente giù.

Andiamo, se fosse una vera instagramer/tweetstar per lei sarebbe semplicissimo ricevere feedback positivi anche per il suo stato d'animo contrariato (magari con un selfie without makeup?). Ok, magari non le porterebbero il ginger ale a casa come lei vorrebbe, ma questa cosa del tanti amici online-nessun amico vero è un po' stiracchiata.

Se c'è qualcosa che puoi imparare da questo primo episodio di Selfie, è avere la netta sensazione che i vezzi di scrittura più grossolani siano proprio lo specchio della percezione che hanno “di noi” le molt(issim)e persone non social-pratiche (o non social-enthusiast).

Considerato però che il pubblico di riferimento è quello giovane e smaliziato, come si risolverà questa ambiguità della serie tv?

Beh, io intanto continuo a vederla.

Vuoi leggere ancora qualcosa? Prova...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
- Prima di pensare al successo... migliora te stesso!

lunedì 25 agosto 2014

Il contenuto utile è il Santo Graal. Ma come trovarlo?

Fonte
Fermo lì, gentile lettore, rimani incollato a questo articolo: ti spiegherò quanto e come un post nel tuo blog può essere (ritenuto) utile.

Ok, ci ho provato. Non sono ancora particolarmente bravo negli “attacchi” dei post, eh?
Quello che ho tentato di fare è lanciarti una secchiata d'acqua fredda nella prima riga e mezzo, per poterti presentare una piccola riflessione su ciò che si intende per contenuto utile.

Dopo mesi di letture in lungo e in largo per il web, su temi che riguardano informazione, social media, marketing e tecnologia, ho – da modesto giornalista quale sono – rilevato una semplice suddivisione di tipologie di utilità, che tu, scafato surfer internettiano, magari troverai ovvia. Però...

Tutorial (inglobo qui anche l'elenco di risorse), commenti & notizie, post “di sostanza” (temi generali, elaborazione di dati, teorie). Tralascio – al momento – interviste e recensioni, utili sì ma spesso in ottica di “semplice” smm, mentre i guest post possono ricadere in ognuna delle categorie sopra esposte.

Per uno come me che arriva dal mondo giornalistico, il tutorial è un po' come la notizia “di servizio”, fatta di elementi utili ma non interessante in sè. È vero, rimane per chi lo ha scritto un “patrimonio” dalla vita lunga, che non scade per molto tempo e che probabilmente otterrà accessi giornalieri costanti per diversi mesi, se non addirittura anni – fino al prossimo aggiornamento del sistema affrontato.

Ci sono poi i post che commentano notizie o fatti “del giorno” (es. la campagna #coglioneno, il dibattito sul giornalismo online) che sono l'equivalente delle notizie di cronaca nera o i lanci ANSA sulle dichiarazioni dei politici: spesso sono riflessioni di un certo interesse ma nascono e muoiono in quel preciso istante ed hanno un periodo di vita abbastanza breve, considerato anche che non possono essere aggiornate, se non in modo limitato ed episodico.

Infine, abbiamo i post “di sostanza”. Laddove nel mondo dell'informazione un articolo narrativo su un grande tema – lo storytelling applicato ad un fatto, elevato a sociologia - può raccogliere innumerevoli clic e avere una vita editoriale potenzialmente infinita, così alcuni post dedicati alle questioni centrali e cruciali dei social media, di internet e del web marketing possono durare in eterno.

Questa, per me, è la vera utilità che va oltre il (semplice?) risolvere un problema immediato dell'utente generico del www.

Non è sempre vero che un articolo breve è un articolo di successo (e viceversa). Lo è, spesso, in relazione alla chiarezza espositiva e alla gradevolezza della formattazione del testo. Un post di content marketing non è una pallosa nota politica: il pubblico che legge un articolo sui social o su un argomento che gli sta particolarmente a cuore, nonostante vada adescato con un incipit fenomenale, avrà una soglia d'attenzione più alta e non gli peserà la manina per scollare un po' in basso.

Statisticamente parlando, è anche più probabile che un utente, leggendo un articolo bello, illuminante e ricco di spunti, sia stimolato a salvarlo nei preferiti e a mandare a memoria il nome dell'autore (che poi verrà seguito su Twitter, sulla sua pagina FB, su LinkedIn...) rispetto ad un semplice tutorial.

Correggimi se sbaglio, ma spesso se vai a consultare un tutorial lo utilizzi soltanto per risolvere la tua necessità del momento e poi lo chiudi, a meno di non trovare qualcosa di veramente interessante.

Questo ci insegna che, certo, bisogna essere fighi anche nello scrivere delle semplici istruzioni (altro che il manualetto della radiosveglia!).

E tu come la pensi?

...e se hai voglia di leggere ancora qualcosa...
- Come utilizzare meglio i social (e non deprimerti)
- L'idea (è) l'azione: tre consigli (e un esempio)
- Prima di pensare al successo... migliora te stesso!

mercoledì 20 agosto 2014

Prima di pensare al successo, meglio migliorarsi!

Fonte
Ammetto che piazzare la parola “successo” nel titolo possa far pensare alla solita strategia acchiappa-clic.
Sempre più spesso mi capita di leggere in giro articoli, pur molto interessanti, che mettono il concetto di successo prima di ogni cosa, svelando “segreti” magari utili, ma che in realtà con il successo hanno a che fare poco o nulla.

Dato che, da umile pensatore non-di-successo, ritengo che prima di tutto bisogna provare ad essere persone migliori di quanto siamo (come avevo già scritto qui), ho provato a buttare giù qualche pensiero utile, che cerco di mettere in pratica ogni giorno (da aggiungere alle strategie di sopravvivenza sui social).

Se fossi un guru del life coaching – cosa che non sono – introdurrei questi punti con un preambolo del tipo: “Ecco le cose che fanno le persone di successo!”. Ma, tralasciando i roboanti strilloni marketing-oriented, non credo di sapere esattamente cosa fanno le persone di successo... e penso che invece tu sappia che quel tipo di persone hanno spesso successo indipendentemente dal loro caratteraccio e dalla loro educazione.

Quindi, quello che segue è solo un piccolo elenco di comportamenti che, in realtà, possono migliorare la nostra “salute mentale” mentre ci applichiamo sul lavoro e sulle relazioni online e offline (sono assolutamente aperto a contributi, suggerimenti e aggiunte da parte tua!)

CONTROLLA LE EMOZIONI NELLE DISCUSSIONI
Pensa a quando, da ragazzino, eri irruento e gli adulti ti dicevano “Conta fino a dieci prima di dire qualcosa!”. Ecco, la buona vecchia saggezza degli insopportabili adulti resta un faro per la persona giudiziosa. Essere emotivi è una grande risorsa, ma nelle discussioni (e/o nelle crisi su web e live) può essere un limite insidioso. 
Anche la causa più giusta del mondo può passare in secondo piano in una “guerra” a suon di dialettica più o meno virulenta. Per cui, conta fino a dieci (se hai tempo) prima di scrivere o prenditi qualche attimo per soppesare le parole che stai per pronunciare. Sarà un guadagno per tutti, soprattutto se riesci ad esprimerti con educazione e ragionevolezza.

PERDONA, RICORDA, EVITA RANCORI
Saper perdonare è un grande dono, e richiede – a volte – molta forza di volontà. Se perdoni non sei debole, sei saggio: sai che mantenere uno stato di agitazione e di rabbia non può che condizionare in peggio le tue giornate. 
Quando lo avrai fatto, però, non sarai che a un terzo del percorso: devi infatti mettere in un cassetto della tua testa le circostanze che hanno portato a questa situazione e farne tesoro per il futuro. 
Infine, devi essere convinto della tua scelta sapendo bene perché hai perdonato, evitando di serbare rancore e farlo affiorare nei futuri rapporti con la persona che ti ha fatto un torto. Altrimenti non sarà servito e sarai sempre a disagio.

LA PERFEZIONE NON ESISTE
Se lavori cercando la perfezione, probabilmente ricaverai solo frustrazione. La perfezione non esiste, ed essere troppo esigente con te stesso non ti renderà di certo la vita lavorativa migliore.
Anzi, potrebbe finire per generare ansia e impedirti di portare a termine in maniera serena i tuoi compiti. Dai il massimo, fai tutto quello che ritieni necessario per ottenere un ottimo risultato.
Ma non fasciarti la testa con l'idea di dover essere intoccabile o infallibile: tutto può essere rivisto e migliorato, l'importante è arrivare ad un punto in cui sei soddisfatto del tuo operato.

IL FALLIMENTO NON E' UNA SCONFITTA
A tutti piace avere successo, no? Riuscire ad avere risultati al primo colpo, ricevere complimenti, sentirsi soddisfatti. Beh, come sai, nella maggior parte dei casi le cose non funzionano così. Il lavoro viene rispedito indietro o non viene apprezzato, c'è da far fronte a richieste astruse e rivedere l'operato mille volte, e capita anche, ogni tanto, di veder andare in fumo tutti i nostri sforzi.
Fallire non è una sconfitta definitiva e non è certo la pietra tombale della nostra attività, qualunque essa sia. Il fallimento è soltanto un mattone della nostra esperienza in costruzione. Per questo è imperativo non fare una malattia delle cose andate storte: piuttosto, è utile renderle anticorpi che ci aiuteranno a difenderci meglio e a capire come affrontare situazioni analoghe.

PROBLEMI? MEGLIO PENSARE ALLE SOLUZIONI
Una delle cose che più mi limitano, nella vita di tutti i giorni, è fossilizzarmi su un problema e iniziare a disperarmi.
Finisco per rannicchiarmi sul divano a sentir rimbombare i pensieri in testa, o giro in tondo nello studio senza concludere niente e senza essere capace neppure di ascoltare gli altri o concentrarmi su qualcosa.
Ci vuole davvero tanta elasticità per skippare questa fase e passare allo step successivo: trovare una soluzione. Troppe volte ci lasciamo sopraffare dai pensieri negativi e non ci mettiamo a macinare pensieri costruttivi
Bene, costringiti allora a trovare subito una soluzione al problema che hai davanti: scrivila immediatamente, dove ti capita! Pensane poi un altro paio, costringiti a far galoppare i neuroni.
E a quelle persone che ti ammorbano con lamentele, sfighe e drammi – dopo aver prestato la giusta attenzione e un po' di conforto – chiedi: “Ok, ma adesso cosa puoi fare per uscire da questa situazione?”. Un aiuto a pensare vale più di mille pacche sulle spalle.

Se ti va di leggere ancora qualcosa, puoi provare:

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