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martedì 16 settembre 2014

Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale. #FDR14

Sono andato alla Festa della Rete per seguire alcuni eventi, in particolare quelli targati “economy” dedicati al mondo del lavoro che (è) cambia(to).

Uno di questi aveva come titolo “Il lavoro di domani” (ammesso che domani ci sia ancora lavoro: questa è mia) e ha visto protagonisti Stefano Quintarelli, deputato, imprenditore e pioniere del digitale in Italia, Andrea Santagata, CEO di Banzai Media (dietro a giallozafferano, giovani.it e ilpost) e Carlo Alberto Carnevale, prof alla Bocconi di Milano.


Il valore dei valori - Il dibattito sul (non)lavoro ai tempi del digitale è ampio e difficile, e che da noi (in Italì) poco sia cambiato da dieci anni ha questa parte si capisce anche solo vedendo come i relatori ripropongono dati, grafici e teorie primigenie che ancora si adattano bene al nostro sistema. Tutti però sono concordi nell'affermare che lo stesso web è cambiato moltissimo dai modelli originari di business, anche se spesso solo gli addetti ai lavori se ne accorgono: chi deve utilizzare gli strumenti online a livello “elementare” per fare economia o promozione spesso non sa ancora dare valore specifico ai valori "nuovi", creati dai sistemi digitali, che non sono strettamente legati alla moneta.

I want to fly away – A un certo punto Quintarelli cade nella (ricorrente) trappola dell'esterofilia, nel senso che, anche se giustamente dice che “chi pensa solo ai confini italiani sbaglia perimetro”, poi tira fuori la classica frase tipo “nell'X posto in USA ci sono 25 mila posti, i ragazzi italiani bravissimi dovrebbero pensare a questo”.

Vero, ma fino a una certo punto, e infatti Santagata subito dopo lo riprende sottolineando che “va bene guardare al mercato globale, ma un sistema che obbliga ad emigrare è sbagliato”. Portando il ragionamento un po' più in là, si può aggiungere che le possibilità non dovrebbero essere solo per chi ha portato a compimento i cosiddetti percorsi “d'eccellenza” nello studio – richiesti all'estero – ma per chiunque abbia capacità specifiche e rivendichi il diritto di non essere costretto a lasciare il proprio Paese.

Posto fisso, ciao! - E qui si arriva al nocciolo della questione. Per i giovani notrani – diverse indagini lo hanno confermato per l'ennesima volta - “le Poste sono ancora meglio del digitale”, ovvero la mentalità del posto fisso è imperante. Se vogliamo anche legittima: in fondo, un giovane mica può desiderare di dover cercare e cambiare lavoro per tutta la vita. Anche se stimolante, è un'idea che può creare un po' di leggera ansia se uno sogna una famiglia, no?

Quindi capisco quando Santagata dice “L'idea del posto della vita – che non esiste praticamente più manco alle Poste – è una mentalità che affligge questo paese”, ma ho sentito anche benissimo quando prima ha affermato che il “mercato digitalenon è la soluzione ai problemi di occupazione in Italia (e non lo sarà ancora per molto tempo). Può essere però una grande risorsa, a patto che a monte ci sia un sistema di formazione che ad oggi in Italia è assente.

In poche parole, mancano veri e propri percorsi di studio che permettano ai ragazzi di saper lavorare in ambiti che ormai sono una realtà e un'opportunità, come quello della programmazione, della grafica e delle app. Quando al Sant'Anna di Pisa è stato attivato un master in programmazione di app per mobile, chi lo ha seguito ha trovato quasi immediatamente un'occupazione.

Il lavoro sarà demonetizzato - “Non saremo più pagati per il tempo impiegato su un lavoro, ma per il lavoro stesso, il singolo task”. Così Carnevale introduce il concetto che alla fine porta alla frase evidenziata. Il lavoro sarà “svuotato” del suo valore monetario (in ordine di tempo) per essere valutato e pagato per i risultati.

Ovvero: non sarai più pagato per il tuo tempo, ma per il singolo compito (che pure avrà una scadenza) e sarà affar tuo se sarai più o meno bravo nel “perderci” più o meno ore sopra.

Poi, quando Quintarelli parla di provvedimenti ad hoc che dovrebbero essere presi dalla politica per il mondo del lavoro che sta cambiando grazie al digitale, mi vengono in mente tutte le bellissime azioni che i vari governi hanno intrapreso nei confronti del web e mi sfugge una risatina (isterica).

Cosa mi ha lasciato, quindi, questo incontro? 
Ha peggiorato il senso di inquietudine che avevo rispetto al mondo del lavoro. I salari crolleranno, la ricerca di occupazione sarà continua e la competizione serratissima (“siamo tutti in competizione con l'ultimo degli indiani”, Carnevale dixit), esisteranno sempre meno super-specializzati ricchi e un “proletariato digitale” che vedrà i soldi col binocolo... quasi come nell'era industriale del primo Ottocento.

Siamo sicuri che il web, nell'ambito lavorativo, ci stia davvero facendo progredire, come società?

Se ti va, puoi leggere anche:
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards

giovedì 29 maggio 2014

"Scusate, vi mostriamo immagini orribili perchè non si possono ignorare". Davvero?

La vecchia dinamica del "se non sarò io a farlo, sarà di certo qualcun altro, allora meglio che sia io!" colpisce ancora. 

"Ci scusiamo in anticipo, ma non si può ignorare" si legge su un post di Facebook dell'Huffington Post.

La notizia è quella di due cuginette di 14 e 15 anni, stuprate e uccise tramite impiccagione da un branco i uomini nel villaggio indiano di Katra. A non poter essere ignorate sono le foto scioccanti (tanto da dover provocare delle scuse in anticipo) dei due piccoli corpi appesi ad un albero.

Ma chi decide se si può ignorare o meno questo fatto? E soprattutto, chi decide se la notizia SENZA foto cruenta è più o meno "vendibile"?
Facendo un rapido giro in rete si nota che molti altri siti hanno riportato la notizia senza allegare la foto dei due corpi impiccati.

Immagine sicuramente fortissima, esplicativa, se si considera anche la presenza della folla che ha deciso di protestare contro le istituzioni locali. Folla che ha impedito la rimozione dei cadaveri, chiedendo che giustizia venisse fatta. Fino alla denuncia dei presunti colpevoli (di cui due sono poliziotti).

Il dubbio rimane: se le immagini forti sono riportate "per dovere di cronaca" (con la chiosa: beh, le hanno diffuse le più grandi agenzie fotografiche...) allora che senso ha scusarsi? Il dovere di cronaca non può essere una foglia di fico dietro la quale nascondere la volontà di arrivare prima degli altri o in modo più d'impatto.

Quello che alla fine del ragionamento mi chiedo è se ci sia davvero il bisogno di fare notare che non c'è necessità reale di mostrare il corpicino impiccato di una bambina o di un bambino per dare la notizia e giustificare la condanna di un crimine inammissibile a qualsiasi latitudine.

E, se ce n'è bisogno, significa che ancora una volta come esseri umani ci sentiamo obbligati a farci sbattere in faccia l'orrore per smuoverci dal torpore. Per quei trenta secondi della lettura di un articolo online.

venerdì 21 febbraio 2014

La morte in diretta. E la morte indiretta.

Olesya Zhukovskaya ha 21 anni, fa il paramedico e si trova in mezzo agli scontri in corso a Kiev.
Improvvisamente, viene colpita da un proiettile al collo.

La foto che ritrae Olesya colpita e sanguinante, con una mano al collo e l’altra al cellulare…

Mi sono fermato mentre stavo componendo la frase e la lascio così com’è.
Qualcuno, in quella foto, sta portando via la ragazza per soccorrerla. Gli stessi soccorsi che le salveranno la vita, come le stessa ha poi comunicato. In mezzo a proiettile e foto, il cellulare. Stretto in mano da Olesya e utilizzato per comunicare la propria morte incombente.

La tragedia e la spettacolarizzazione (o informazione, chiamatela come volete, anche qui si potrebbe dibattere ore) del dramma. Subito diventa simbolo.

Una ragazza, ferita, consapevole di essere probabilmente a pochi minuti dalla fine, comunica la propria morte al mondo tramite Twitter.

Come possiamo trascurare un fatto di questa portata? Come possiamo lasciarlo scorrere via nel flusso del resto delle notizie del giorno senza valutarlo come punto di arrivo, di non-ritorno o di partenza di una nuova forma di probabile e inquietante in-sensibilità da condivisione?

Il tweet di Olesya viene non soltanto ri-twittato migliaia di volte, ma anche inserito nei preferiti di molti utenti.

Quando sento gran parte della gente scherzare sulla pornografia e/o sulla passione di alcuni per i film che mettono in scena splatter, snuff movies e torture varie, non posso fare a meno di pensare ad episodi come questi. Non posso evitare di chiedermi come si possa anche solo pensare che la fiction possa rivaleggiare con qualcosa di reale – con la pornografia del reale, di cui la morte è uno zenit - che inconsapevolmente passa, senza filtro, attraverso la nostra umanità, la trafigge riempiendola di crepe, e, ad ogni episodio simile, la riduce di parecchie unità, abbassando la nostra soglia della percezione del moralmente accettabile, dell’eticamente recepibile.
Senza rendercene conto.

La morte indiretta della nostra sensibilità.


Questa storia, come detto, ha fortunatamente un “lieto fine” perché Olesya (o chi per lei) ha twittato da poco, dal suo stesso account, di essere viva. Le auguro con tutto il cuore di non dover mai più avere occasioni per raccontarci la sua morte.
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