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mercoledì 24 settembre 2014

Come emergere sul web? Esci dalla nicchia (e dai soliti schemi)

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Essere ultra-settoriali, nel campo dei blogging, poteva andar bene fino a qualche anno fa, ma adesso, se si vuole veramente emergere e competere, si deve uscire dalla nicchia e, per dirla in gergo giornalistico, diventare più “generalisti”. Rimanere nel proprio ambito, ok, ma sconfinare in tutti quelli simili e attinenti è un modo intelligente per attirare pubblico nuovo e non annoiare quello esistente.

Il tuo settore di competenza è probabilmente già saturo di figure che hanno scritto tutto il possibile su tips&tricks e filosofie di fondo della tua specializzazione (o passione).
Quindi... sei costretto ad andare nel panico
No, sfida tutti e porta l'asticella più in alto trovando altri modi, unici ed efficaci, per dire quello che vuoi, magari “uscendo dal seminato” e trovando nuove vie di contaminazione mentre lo fai. Non temere di essere originale.

Fino a qualche tempo fa, “limitarsi” a scavare nella propria nicchia poteva essere ok, ma oggi la stragrande maggioranza del pubblico online, aumentato esponenzialmente di anno in anno, si interessa e si sente in grado di poter giudicare tutto quello che viene scritto, sia nella forma che nel contenuto. Senza contare che in giro c'è una grande “fame” di contenuti.

Per questo, basandomi su diverse esperienze, penso che le cose migliori siano:
  • Non affrontare il web con la mentalità “esserci tanto per esserci”. L'ho già scritto un paio di volte, e ripeterlo non fa male: il rischio è quello di perdersi nell'ansia di far parte del flusso costante di contenuti (status, tweet, link, post...) e perdere completamente di vista l'obiettivo: produrre qualcosa di qualità, utile, interessante per il lettore-utente. Si pensa a produrre presenza a raffica senza riflettere e senza dare origine a qualcosa che rimanga.
  • Sapere che tu puoi essere il futuro della tua nicchia. Puoi esserlo nella misura in cui innovi e ti rinnovi. Sì, lo so che è difficile trovare qualcosa di originale da dire (e spesso anche dire in modo originale qualcosa che è già stato detto), ma se non ci provi, che senso ha? Vuoi essere “uno dei tanti” e aggiungerti al rumore di fondo? Non credo. Pensa due minuti in più sul tuo contenuto e cerca di distinguerti.
  • Piacere rendendoti piacevole. Comportati con l'utente come se fosse un amico con il quale ti senti a tuo agio. Trattalo con educazione e con rispetto cercando di divertirlo mentre racconti qualcosa. Non salire mai su nessun piedistallo. Boria & noia sono nemici mortali del web.
  • Non puntare subito ad obiettivi irraggiungibili. Guardati attorno e cerca di vedere chi è al tuo livello. Cerca di distinguerti da questa massa di competitor. Non basta essere bravi o veloci a scrivere, devi sapere come scrivere, cosa inserire per catturare l'attenzione e per creare engagement, saper leggere gli analytics, promuovere i tuoi post su almeno tre diversi social, interagire e ascoltare. Devi (e puoi) imparare a fare questo e molto altro. Prendi tempo e usa la pazienza. Solo così potrai battere la concorrenza ed emergere.
  • Tener presente sempre che la qualità vince. Un contenuto utile e interessante avrà una vita molto più lunga e soddisfacente di un post usa e getta/copiato. Affianca la qualità ad una attività di blogging costante (fissati appuntamenti e scadenze!) e vedrai che, con un pizzico di social media strategy, raggiungerai risultati soddisfacenti.

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Esaurimento da social, cosa NON fare d'impulso!
- Hai scritto un bel post? Promuovilo come un reporter d'assalto!

venerdì 25 luglio 2014

Google si "dimentica" 160 mila link: primi effetti del diritto all'oblio

Oltre 160 mila link de-indicizzati.
Ecco i primi risultati del diritto all'oblio stabilito dalla Corte Europea, almeno per quanto riguarda il motore di ricerca numero uno al mondo, Google.
Andate a rileggere qui di cosa si parla (realmente) quando di parla di oblio... il Wall Street Journal riporta che Google ha già fornito dei dati in via ufficiosa alla UE dichiarando di aver "rimosso" migliaia di link dai suoi risultati, accogliendo circa metà delle richieste avanzate dai vari utenti (per un totale di oltre 300 mila). Dunque Mountain View ha preso sul serio la questione, e la mole di lavoro che ne deriva, rispondendo ad oltre 91.000 persone che ritenevano di essere oggetto di informazioni "incomplete e scorrette", dando il via libera in almeno la metà dei casi alla rimozione dell'indicizzazione dei link incriminati.

Questo apre un sacco di interrogativi: sarà uno strumento che alcuni utilizzeranno per far rimuovere (o meglio, far nascondere) informazioni indesiderate su se stessi, negando magari un sacrosanto diritto all'informazione? La verifica della legittimità delle richieste e i criteri secondo i quali queste saranno messe in atto sarà davvero oggettiva e uguale per tutti? 

Di sicuro, al momento, faremmo meglio a tenere tutti gli occhi puntati su Google, che si ritrova - stavolta suo malgrado - a fare da testa di ponte per una rivoluzione tutta europea che presto potrebbe arrivare in altri continenti. 

In chiusura, vediamo i dati che riguardano i vari Paesi: al 18 luglio 2014 guida la "classifica" dei cittadini pro-oblio la Francia, con 17.500 richieste di rimozione, seguita dalla Germania con 16.500, dall'Inghilterra con 12.000, dalla Spagna (8.000) e infine dall'Italia (7.500). Al momento, sembriamo i meno interessati a questo strano modello di protezione della privacy.

martedì 22 luglio 2014

In crisi di tempo? Facebook ti farà salvare tutto

Iniziamo dalle conclusioni: che il buon vecchio Facebook stia cercando in tutti i modi di far rimanere al suo interno gli utenti, senza farli "distrarre" su altre pagine, è ormai chiarissimo, vero? Così com'è scontato che questa permanenza, per il social, si traduce in potenziali introiti economici.

Veniamo al dunque e facciamoci una domanda. Paura di non riuscire a leggere tutto quello che postano gli amici su Facebook?
Mark Zuckerberg ha pensato anche a questo. A pochi giorni dalla notizia del pulsante "compra" con il quale non dovremo (forse) neppure più muovere le dita per andare su altri siti per l'e-commerce, ecco che FB vuol pure fare sua l'utilità dei reader.
Al suo interno, il social ha varato in forma sperimentale una nuova funzione per permettere agli utenti di leggere gli status-papiro degli amici, vedere i video o leggersi i link più tardi.

Ecco dunque il pulsante "salva", una specie di segnalibro che sarà utilizzabile sia su web sia in versione mobile. La funzione comparirà automaticamente sotto i post o accanto ai contenuti delle pagine fan. Ciò che viene salvato finirà in una sezione dedicata e non sarà pubblico, a meno che l'utente non voglia ri-condividerli con altri.
Esattamente come per gli acquisti online, l'opzione "salva" non è una novità, ma fu sperimentata un paio d'anni fa.

Un'opzione molto utile, di certo, per chi utilizza Facebook in modo professionale, per mantenere uno "storico" delle menzioni e degli articoli linkati sul social sulle proprie attività.
D'altro canto, ci sarà anche chi si salverà tutte le chiacchiere possibili per poi farsi una "rassegna status" alla sera!

venerdì 18 luglio 2014

Il diritto all'oblio? È l'unica cosa che (davvero) non esiste

Qualche giorno fa scrivevo a proposito del diritto all'oblio, stabilito da una sentenza della Corte Europea. In pratica, ogni cittadino ha il diritto di richiedere ai motori di ricerca - Google, Bing & co. - che nei risultati vengano rimossi contenuti che lo riguardano direttamente e che siano ritenuti «inadeguati, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessivi».

Google ha iniziato in grande stile a meditare sul da farsi costituendo un consiglio di saggi e chiedendo alla Rete il suo parere (qui).
Bing ha il suo bel modulino online di richiesta per bloccare i risultati "ai sensi di legge" (qui).

Non potrai mai sparaflashare e cancellare la memoria!
Morale della favola? Se di te parlano male, o in un modo che non ti piace, puoi (in teoria) far sparire il risultato.
Nel concreto? Si rimuove il risultato della ricerca, quindi si ottiene una de-indicizzazione del link, non certo l'eliminazione del contenuto stesso (che andrebbe richiesto a chi lo ha pubblicato, e qui i mezzi iniziano a venire meno).

Come si dice dalle nostre parti, fatta la legge, trovato l'inganno. Come a ribadire che tentare di cancellare o nascondere una notizia su internet equivale al "come può uno scoglio arginare il mare" di Battisti-Mogol, ecco che già esiste Hidden from Google. Un sito, promosso da un programmatore americano con il crowdsourcing, che elenca tutti link "vittime" del diritto all'oblio.

Inoltre, trovare ciò che viene de-indicizzato è altrettanto semplice: basta utilizzare motori di ricerca in altri Paesi per vedere, magicamente, quello che è "oscurato" in Europa. Che razza di oblio a intermittenza è questo? 

mercoledì 9 luglio 2014

Il giornalismo è vivo (ma rischia la zombificazione)

Inizio da una riflessione interessante proposta da TagliaBlog, che torna sul tema della caduta libera della qualità del giornalismo online.

È vero, ormai ogni giorno le notizie che ci saltano addosso e ci aggrediscono online sembrano essere praticamente soltanto quelle più strampalate. In pratica non c'è una via di mezzo: si passa dallo stile “cronaca vera” (animali, gente impazzita, malattie assurde) alla cronaca nera affrontata in modo morboso e superficiale.

I danni per l'autorevolezza del giornalismo (inteso come professione) sono incalcolabili.
Ma la (triste) realtà è che il pessimo giornalismo è sempre esistito, esiste e sempre esisterà. È un sistema contro il quale bisogna battersi. E ci si batte sia facendo buona informazione, da professionisti, sia chiedendo che l'informazione sia utile e onesta, da lettori.

Certo, se tutti – anche le grandi e storiche testate - si piegano al più bieco link/like/click baiting sembra non esserci speranza.
Eppure a ben guardare sono pochi gli articoli-fuffa. I giornali online propongono moltissimi articoli, di tante e diverse tipologie (penso alla sanità, l'economia, la tecnologia): però, ad avere risalto sono sempre quei pochi pezzi che possono garantire un “gancio” che porti più traffico possibile sul sito.

Diciamoci la verità: le testate giornalistiche hanno acquisito le brutte abitudini che appartengono al peggior marketing.
Scrittura frettolosa, propaganda facilona, autoreferenzialità, “prostituzione” a fine di vantaggi/contatti/visite/sponsor... però sono cose che esistono dall'alba dei tempi.
D'altro canto, non si può rimproverare alla stampa di cercare di acchiappare lettori facendo del sensazionalismo o dei titoli d'impatto. Succedeva con gli strilloni nelle strade alla fine del'Ottocento, succede anche adesso. Bisogna però considerare che esistono diverse tipologie di lettori, da quello attento e preparato a quello che (soprattutto online) cerca uno spin-off dalla sua routine. Anche il giornalismo punta a dove tira il mercato.
Se poi da lì si arriva ad altri argomenti, soprattutto se più interessanti e intelligenti, tanto meglio.

Non si può però non collegare il cambiamento radicale del modo di fare e proporre giornalismo all'ascesa e all'importanza dei blog, un evento che ha rivoluzionato la storia.
Non sempre è tutto oro quello che luccica, e i blogger più scafati e integerrimi lo sanno bene: spesso dietro ad alcuni blog (e penso soprattutto a quelli che in USA hanno finito per sovrastare alcuni canali ufficiali) ci sono individui che scambiano e spacciano le proprie opinioni per notizie verificate e le proprie tesi come verità rivelate. L'industria delle notizie si è accorta di questo fenomeno e ha tentato – e tenta tutt'ora, anche da noi - di appropriarsene declinandolo in vari modi.

Nel migliore dei casi, assoldando il blogger autorevole per creare contenuti autorevoli, nel peggiore reclutando blogger-scimmie e pagandoli per il volume di traffico internet generato (sempre che si parli di soldi, perché ad alcune scimmie va bene anche la gratuità). La colpa è di chi offre questo tipo di lavoro o di chi lo accetta?

Attenzione, qui non si vogliono attribuire con leggerezza delle responsabilità. Una domanda, però, dobbiamo farcela. Il “peccato originale” è di chi produce giornalismo (/comunicazione) spazzatura o di chi ne usufruisce, quasi sempre consapevolmente?

Non dobbiamo infatti dimenticare un punto fondamentale: non è merito o demerito dei giornalisti, nè tantomeno dei blogger, se gran parte dell'utenza di internet preferisce i gattini nelle scatole alle notizie di economia, o se viene attirata dal titolo idiota (“Bambina schiaffeggia madre con un fetta di pizza e le salva la vita”) invece che dal titolo o dall'articolo confezionato con competenza, onestà e professionalità.

E' un problema più complesso e articolato, una questione che – probabilmente – dovrebbe far riflettere sulla nostra stessa società (e l'umanità intera), o rivedere le proprie strumentali fantasie “sull'internet libera tutti”, motore di cultura, progresso, innovazione.

In sostanza, per parafrasare un inflazionato modello di tautologie che risponde al nome di Forrest Gump, morto è chi il morto fa.
Ma non parlerei esattamente di morti: piuttosto di zombi, che diffondono un morbo.
L'immagine forse è un po' forte, ma beh, il problema è serio!
Sono zombi i giornalisti che inseguono il titolo acchiappa-clic e il giornalismo con contenuti acchiappa-clic.
La qualità costa fatica. Tempo. Sudore. Frustrazione (i risultati si vedono sul lungo termine, si sa).
Fare del giornalismo utile e corretto paga. Così come del blogging sano e rispettoso.
Ben vengano le riflessioni, gli spunti critici, le polemiche, le provocazioni.


Anche se la vera rivoluzione avverrebbe se gattini nei vasi, squali ballerini, starlette malvestite e malattie assurde non fossero gli argomenti costantemente in testa nelle classifiche dei post più cliccati, sempre e comunque...

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