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lunedì 14 luglio 2014

C'è carenza di onestà (ed eccesso d'informazione)

Il dibattito sul giornalismo va avanti da giorni con rinnovato vigore, ora declinato al blogging vs. fact checking, ora rivolto a capire quanti chiodi sulla bara abbia la professione stessa del giornalista.

Premesso che l'esercizio del fare informazione mai morirà, indipendentemente da qualità, quantità e modi di usufruirne, diverse riflessioni interessanti - di carattere etico e "generale" - arrivano dalle parole di un giornalista duro e puro come Massimo Fini su Linkiesta.

In pratica, prima di metterci a discettare su quanto e come il giornalismo sia morto e i giornalisti moribondi, dovremmo prima farci un esamino di coscienza come cittadini, e capire quanto i cambiamenti antropologici della nostra società vengano da lontano e abbiano condizionato l'atteggiamento con cui ci si approccia all'informazione, a livello professionale e di semplice consumo.


Dare di nuovo un senso a certe espressioni divenute inflazionate e svuotate di senso può essere un punto di partenza. "Onestà intellettuale", ad esempio. Tutti a tirare in ballo l'onestà intellettuale, persino per difendere posizioni indifendibili. "Coerenza", per continuare. Coerenza non significa perseguire nell'errore o non ammettere le proprie colpe, ma molti si riparano dietro questa interpretazione.

Fini dice una cosa da tenere a mente: L’onesta intellettuale è un atteggiamento mentale che dovrebbe rappresentare la normalità. Significa trattare nello stesso modo chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Una cosa se secondo te è sbagliata, o giusta, lo devi riconoscere indipendentemente da chi la fa.

Una banalità? Lo sarebbe se potessimo dire di riscontrare questo atteggiamento nella vita reale. Pensateci: quante volte vedete qualcosa del genere? Quante volte anche noi (professionisti o meno), applichiamo due pesi e due misure?


Giornalisti e intellettuali (altra categoria di cui si potrebbe discutere all'infinito) non sono più come agli albori della società moderna i cani da guardia che controllano il potere e la politica: questo perché, prosegue Fini, l'idolatria del denaro - o anche la semplice necessità - ha fatto crollare gli equilibri. E, possiamo aggiungere noi, anche l'ego e qualche volta la voglia di "contare qualcosa" al prezzo di diventare schiavi di certa politica o certe lobby.

L'informazione non è morta, ma in un certo senso è finita: finita per eccesso di informazione. Ogni giorno siamo circondati da un overflow di articoli, argomenti, opinioni, post, status, tweet tra i quali è difficile districarsi e quasi impossibile individuare dove sta la correttezza. Questo perché testate grandi e piccole, giornalisti noti e meno noti, spesso cadono nelle trappole della velocità, del sensazionalismo e dell'autoreferenzialità, soprattutto online.

Certo, grazie al web si stanno sviluppando anche nuove forme e nuovi canali di informazione, e il futuro è un work in progress
In fondo, anche se soluzioni a portata di mano nessuno ne ha, le regole da tener presenti dovrebbero essere semplici (e valgono per tutti, non solo per i giornalisti): essere onesti e fornire contenuti utili, non tentare di raggirare il lettore-utente con stratagemmi ma donare qualcosa di proprio e unico.

La politica della ricerca compulsiva del click sta volgendo al termine, i risultati parlano chiaro. Sopravviverà chi saprà trovare la propria nicchia di qualità, settorialità e competenza.

Ti va di leggere ancora qualcosa?
- Il giornalismo è vivo (ma rischia di zombificarsi)
- Privacy (is dead?): tutto ciò che digiti può essere usato contro di te

- Formazione professionale giornalisti: cosa serve davvero?

mercoledì 9 luglio 2014

Il giornalismo è vivo (ma rischia la zombificazione)

Inizio da una riflessione interessante proposta da TagliaBlog, che torna sul tema della caduta libera della qualità del giornalismo online.

È vero, ormai ogni giorno le notizie che ci saltano addosso e ci aggrediscono online sembrano essere praticamente soltanto quelle più strampalate. In pratica non c'è una via di mezzo: si passa dallo stile “cronaca vera” (animali, gente impazzita, malattie assurde) alla cronaca nera affrontata in modo morboso e superficiale.

I danni per l'autorevolezza del giornalismo (inteso come professione) sono incalcolabili.
Ma la (triste) realtà è che il pessimo giornalismo è sempre esistito, esiste e sempre esisterà. È un sistema contro il quale bisogna battersi. E ci si batte sia facendo buona informazione, da professionisti, sia chiedendo che l'informazione sia utile e onesta, da lettori.

Certo, se tutti – anche le grandi e storiche testate - si piegano al più bieco link/like/click baiting sembra non esserci speranza.
Eppure a ben guardare sono pochi gli articoli-fuffa. I giornali online propongono moltissimi articoli, di tante e diverse tipologie (penso alla sanità, l'economia, la tecnologia): però, ad avere risalto sono sempre quei pochi pezzi che possono garantire un “gancio” che porti più traffico possibile sul sito.

Diciamoci la verità: le testate giornalistiche hanno acquisito le brutte abitudini che appartengono al peggior marketing.
Scrittura frettolosa, propaganda facilona, autoreferenzialità, “prostituzione” a fine di vantaggi/contatti/visite/sponsor... però sono cose che esistono dall'alba dei tempi.
D'altro canto, non si può rimproverare alla stampa di cercare di acchiappare lettori facendo del sensazionalismo o dei titoli d'impatto. Succedeva con gli strilloni nelle strade alla fine del'Ottocento, succede anche adesso. Bisogna però considerare che esistono diverse tipologie di lettori, da quello attento e preparato a quello che (soprattutto online) cerca uno spin-off dalla sua routine. Anche il giornalismo punta a dove tira il mercato.
Se poi da lì si arriva ad altri argomenti, soprattutto se più interessanti e intelligenti, tanto meglio.

Non si può però non collegare il cambiamento radicale del modo di fare e proporre giornalismo all'ascesa e all'importanza dei blog, un evento che ha rivoluzionato la storia.
Non sempre è tutto oro quello che luccica, e i blogger più scafati e integerrimi lo sanno bene: spesso dietro ad alcuni blog (e penso soprattutto a quelli che in USA hanno finito per sovrastare alcuni canali ufficiali) ci sono individui che scambiano e spacciano le proprie opinioni per notizie verificate e le proprie tesi come verità rivelate. L'industria delle notizie si è accorta di questo fenomeno e ha tentato – e tenta tutt'ora, anche da noi - di appropriarsene declinandolo in vari modi.

Nel migliore dei casi, assoldando il blogger autorevole per creare contenuti autorevoli, nel peggiore reclutando blogger-scimmie e pagandoli per il volume di traffico internet generato (sempre che si parli di soldi, perché ad alcune scimmie va bene anche la gratuità). La colpa è di chi offre questo tipo di lavoro o di chi lo accetta?

Attenzione, qui non si vogliono attribuire con leggerezza delle responsabilità. Una domanda, però, dobbiamo farcela. Il “peccato originale” è di chi produce giornalismo (/comunicazione) spazzatura o di chi ne usufruisce, quasi sempre consapevolmente?

Non dobbiamo infatti dimenticare un punto fondamentale: non è merito o demerito dei giornalisti, nè tantomeno dei blogger, se gran parte dell'utenza di internet preferisce i gattini nelle scatole alle notizie di economia, o se viene attirata dal titolo idiota (“Bambina schiaffeggia madre con un fetta di pizza e le salva la vita”) invece che dal titolo o dall'articolo confezionato con competenza, onestà e professionalità.

E' un problema più complesso e articolato, una questione che – probabilmente – dovrebbe far riflettere sulla nostra stessa società (e l'umanità intera), o rivedere le proprie strumentali fantasie “sull'internet libera tutti”, motore di cultura, progresso, innovazione.

In sostanza, per parafrasare un inflazionato modello di tautologie che risponde al nome di Forrest Gump, morto è chi il morto fa.
Ma non parlerei esattamente di morti: piuttosto di zombi, che diffondono un morbo.
L'immagine forse è un po' forte, ma beh, il problema è serio!
Sono zombi i giornalisti che inseguono il titolo acchiappa-clic e il giornalismo con contenuti acchiappa-clic.
La qualità costa fatica. Tempo. Sudore. Frustrazione (i risultati si vedono sul lungo termine, si sa).
Fare del giornalismo utile e corretto paga. Così come del blogging sano e rispettoso.
Ben vengano le riflessioni, gli spunti critici, le polemiche, le provocazioni.


Anche se la vera rivoluzione avverrebbe se gattini nei vasi, squali ballerini, starlette malvestite e malattie assurde non fossero gli argomenti costantemente in testa nelle classifiche dei post più cliccati, sempre e comunque...

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