Il dibattito sul giornalismo va avanti da giorni con rinnovato vigore, ora declinato al blogging vs. fact checking, ora rivolto a capire quanti chiodi sulla bara abbia la professione stessa del giornalista.
Premesso che l'esercizio del fare informazione mai morirà, indipendentemente da qualità, quantità e modi di usufruirne, diverse riflessioni interessanti - di carattere etico e "generale" - arrivano dalle parole di un giornalista duro e puro come Massimo Fini su Linkiesta.
In pratica, prima di metterci a discettare su quanto e come il giornalismo sia morto e i giornalisti moribondi, dovremmo prima farci un esamino di coscienza come cittadini, e capire quanto i cambiamenti antropologici della nostra società vengano da lontano e abbiano condizionato l'atteggiamento con cui ci si approccia all'informazione, a livello professionale e di semplice consumo.
Dare di nuovo un senso a certe espressioni divenute inflazionate e svuotate di senso può essere un punto di partenza. "Onestà intellettuale", ad esempio. Tutti a tirare in ballo l'onestà intellettuale, persino per difendere posizioni indifendibili. "Coerenza", per continuare. Coerenza non significa perseguire nell'errore o non ammettere le proprie colpe, ma molti si riparano dietro questa interpretazione.
Fini dice una cosa da tenere a mente: L’onesta intellettuale è un atteggiamento mentale che dovrebbe rappresentare la normalità. Significa trattare nello stesso modo chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Una cosa se secondo te è sbagliata, o giusta, lo devi riconoscere indipendentemente da chi la fa.
Una banalità? Lo sarebbe se potessimo dire di riscontrare questo atteggiamento nella vita reale. Pensateci: quante volte vedete qualcosa del genere? Quante volte anche noi (professionisti o meno), applichiamo due pesi e due misure?
Giornalisti e intellettuali (altra categoria di cui si potrebbe discutere all'infinito) non sono più come agli albori della società moderna i cani da guardia che controllano il potere e la politica: questo perché, prosegue Fini, l'idolatria del denaro - o anche la semplice necessità - ha fatto crollare gli equilibri. E, possiamo aggiungere noi, anche l'ego e qualche volta la voglia di "contare qualcosa" al prezzo di diventare schiavi di certa politica o certe lobby.
L'informazione non è morta, ma in un certo senso è finita: finita per eccesso di informazione. Ogni giorno siamo circondati da un overflow di articoli, argomenti, opinioni, post, status, tweet tra i quali è difficile districarsi e quasi impossibile individuare dove sta la correttezza. Questo perché testate grandi e piccole, giornalisti noti e meno noti, spesso cadono nelle trappole della velocità, del sensazionalismo e dell'autoreferenzialità, soprattutto online.
Certo, grazie al web si stanno sviluppando anche nuove forme e nuovi canali di informazione, e il futuro è un work in progress.
In fondo, anche se soluzioni a portata di mano nessuno ne ha, le regole da tener presenti dovrebbero essere semplici (e valgono per tutti, non solo per i giornalisti): essere onesti e fornire contenuti utili, non tentare di raggirare il lettore-utente con stratagemmi ma donare qualcosa di proprio e unico.
La politica della ricerca compulsiva del click sta volgendo al termine, i risultati parlano chiaro. Sopravviverà chi saprà trovare la propria nicchia di qualità, settorialità e competenza.
Ti va di leggere ancora qualcosa?
- Il giornalismo è vivo (ma rischia di zombificarsi)
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lunedì 14 luglio 2014
C'è carenza di onestà (ed eccesso d'informazione)
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mercoledì 9 luglio 2014
Il giornalismo è vivo (ma rischia la zombificazione)
Inizio da una riflessione interessante proposta da TagliaBlog, che torna sul
tema della caduta libera della qualità del giornalismo online.
È
vero, ormai ogni giorno le notizie che ci saltano addosso e ci
aggrediscono online sembrano essere praticamente soltanto quelle più
strampalate. In pratica non c'è una via di mezzo: si passa dallo
stile “cronaca vera” (animali, gente impazzita, malattie assurde)
alla cronaca nera affrontata in modo morboso e superficiale.
I
danni per l'autorevolezza del giornalismo (inteso come professione)
sono incalcolabili.
Ma
la (triste) realtà è che il pessimo giornalismo è sempre esistito,
esiste e sempre esisterà. È un sistema contro il quale bisogna
battersi. E ci si batte sia facendo buona informazione, da
professionisti, sia chiedendo che l'informazione sia utile e onesta,
da lettori.
Certo,
se tutti – anche le grandi e storiche testate - si piegano al più
bieco link/like/click baiting sembra non esserci speranza.
Eppure
a ben guardare sono pochi gli articoli-fuffa. I giornali online
propongono moltissimi articoli, di tante e diverse tipologie (penso
alla sanità, l'economia, la tecnologia): però, ad avere risalto
sono sempre quei pochi pezzi che possono garantire un “gancio”
che porti più traffico possibile sul sito.
Diciamoci
la verità: le testate giornalistiche hanno acquisito le brutte
abitudini che appartengono al peggior marketing.
Scrittura
frettolosa, propaganda facilona, autoreferenzialità, “prostituzione”
a fine di vantaggi/contatti/visite/sponsor... però sono cose che
esistono dall'alba dei tempi.
D'altro
canto, non si può rimproverare alla stampa di cercare di acchiappare
lettori facendo del sensazionalismo o dei titoli d'impatto. Succedeva
con gli strilloni nelle strade alla fine del'Ottocento, succede anche
adesso. Bisogna però considerare che esistono diverse tipologie di
lettori, da quello attento e preparato a quello che (soprattutto
online) cerca uno spin-off dalla sua routine. Anche il giornalismo
punta a dove tira il mercato.
Se
poi da lì si arriva ad altri argomenti, soprattutto se più
interessanti e intelligenti, tanto meglio.
Non
si può però non collegare il cambiamento radicale del modo di fare
e proporre giornalismo all'ascesa e all'importanza dei blog, un
evento che ha rivoluzionato la storia.
Non
sempre è tutto oro quello che luccica, e i blogger più scafati e
integerrimi lo sanno bene: spesso dietro ad alcuni blog (e penso
soprattutto a quelli che in USA hanno finito per sovrastare alcuni
canali ufficiali) ci sono individui che scambiano e spacciano
le proprie opinioni per notizie verificate e le proprie tesi come
verità rivelate. L'industria delle notizie si è accorta di questo
fenomeno e ha tentato – e tenta tutt'ora, anche da noi - di
appropriarsene declinandolo in vari modi.
Nel
migliore dei casi, assoldando il blogger autorevole per creare
contenuti autorevoli, nel peggiore reclutando blogger-scimmie e
pagandoli per il volume di traffico internet generato (sempre che si
parli di soldi, perché ad alcune scimmie va bene anche la gratuità).
La colpa è di chi offre questo tipo di lavoro o di chi lo accetta?
Attenzione,
qui non si vogliono attribuire con leggerezza delle responsabilità. Una
domanda, però, dobbiamo farcela. Il “peccato originale” è di chi produce
giornalismo (/comunicazione) spazzatura o di chi ne usufruisce, quasi
sempre consapevolmente?
Non
dobbiamo infatti dimenticare un punto fondamentale: non è merito o
demerito dei giornalisti, nè tantomeno dei blogger, se gran parte
dell'utenza di internet preferisce i gattini nelle scatole alle
notizie di economia, o se viene attirata dal titolo idiota (“Bambina
schiaffeggia madre con un fetta di pizza e le salva la vita”)
invece che dal titolo o dall'articolo confezionato con competenza,
onestà e professionalità.
E'
un problema più complesso e articolato, una questione che –
probabilmente – dovrebbe far riflettere sulla nostra stessa società
(e l'umanità intera), o rivedere le proprie strumentali fantasie
“sull'internet libera tutti”, motore di cultura, progresso,
innovazione.
In
sostanza, per parafrasare un inflazionato modello di tautologie che
risponde al nome di Forrest Gump, morto è chi il morto fa.
Ma
non parlerei esattamente di morti: piuttosto di zombi, che diffondono
un morbo.
L'immagine
forse è un po' forte, ma beh, il problema è serio!
Sono
zombi i giornalisti che inseguono il titolo acchiappa-clic e il
giornalismo con contenuti acchiappa-clic.
La
qualità costa fatica. Tempo. Sudore. Frustrazione (i risultati si
vedono sul lungo termine, si sa).
Fare
del giornalismo utile e corretto paga. Così come del blogging sano e
rispettoso.
Ben
vengano le riflessioni, gli spunti critici, le polemiche, le
provocazioni.
Anche
se la vera rivoluzione avverrebbe se gattini nei vasi, squali
ballerini, starlette malvestite e malattie assurde non fossero gli
argomenti costantemente in testa nelle classifiche dei post più
cliccati, sempre e comunque...
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