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mercoledì 17 settembre 2014

Modello sostenibile per l'informazione online? L'economia della nonna.

Esiste un modello sostenibile per l'informazione online?
No.
Esiste però la saggezza della nonna: spendi poco e assicurati di fare abbastanza soldi.
Fine.

Quando, alla Festa della Rete, sono andato ad ascoltare l'incontro al Teatro Novelli tra Luca Sofri, Peter Gomez, Jacopo Tondelli e Angelo Maria Perrino non mi aspettavo certo la formula magica per far nascere, crescere e prosperare una testata giornalistica online.

Però, da persona interessata in pieno all'argomento (con una nascitura creatura giornalistica) ero un target perfetto per questo dibattito. Vi anticipo che quella in apertura non è una battuta ma la morale della favola, mi perdonerete lo spoiler.

In un panorama poco confortate riguardo ai conti delle testate online (leggere qui) non avrei, come detto, voluto sentire illuminazioni di chissà quale livello... ma avrei preferito uscire senza la sensazione che ci sia grande affanno sotto il cielo.

Sofri esordisce con un “i giovani oggi hanno un'idea del giornalismo anacronistica”. Lo so bene: anche io sono (stato) vittima dell'idea romantica del giornalismo. Raccontare storie, coinvolgere persone, informare correttamente i cittadini, verificare le fonti e dare senso al caos, salvare il mondo... cose così. Non so quanti giovani, oggi, desiderino ancora fare giornalismo vero o ideale, fatto sta che Sofri ha detto una cosa giusta (tra le righe): di idealismo si muore, e chi si avventura nella giungla online animato solo da buoni intenti - senza un po' di malizia e tanto pragmatismo, ergo: fare ciccia e saper domare il web -, il leone se lo magna. 'nuff said.

Il modello, per ora, probabilmente più funzionante e con connubio off e on-line è quello del Fatto Quotidiano
Gomez gongola dal palco, e ne ha donde: il loro stile può piacere o non piacere, ma conti alla mano sono gli unici che, partiti “di carta” anni fa individuando la loro piccola nicchia, si sono espansi pian pianino arrivando oggi a poter addirittura pianificare degli investimenti a medio termine. Mica poco. Modello sostenibile? Partire fortemente di nicchia, capitalizzare l'esperienza, fare piccoli passetti in avanti non appena possibile ampliando lo spettro di strumenti/argomenti/collaboratori. Frase-cult di Gomez: “Il giornalismo non deve mai stare dalla parte del potere, ma questo mica vuol dire che non deve essere il più generalista possibile per acchiappare pubblico!”.

Tondelli, da parte sua, non fa mistero della nota “scottatura” con Linkiesta, testata partita con le migliori intenzioni del mondo ad azionariato diffuso. Anche se lui, ormai fuoriuscito da più di un anno, pensa al futuro: è pronto ad una nuova avventura, un progetto online orientato ai social e con occhio all'economia, dall'ostico (ma affascinante) titolo Gli Stati Generali. Anche qui, però, non ci viene rivelato nessun dettaglio sul possibile “modello sostenibile”. Se non una perla di imperituro splendore: “Ragazzi, organizzate bene il sistema di chi deve stare alla cassa”. Non giornalisti ma operatori commerciali. Prima di tutto. Poi si vedrà.
L'impressione – mai nascosta, basta leggere alcuni pezzi online – è che esperienze come Linkiesta siano nate sulle ali dell'entusiasmo e che poi si siano scontrate con la dura realtà. Ovvero l'estrema difficoltà di monetizzare il proprio lavoro sul web, che nel caso del giornalismo e della scrittura è particolarmente drammatica.

Infine Perrino, che dopo una lunga carriera in Panorama è il plenipotenziario di Affaritaliani, una delle prime testate italiane online e ancora oggi, grazie alla filosofia del “giornalismo come pranzo completo” spazia a 360° senza snobismi nel mondo delle notizie cavandosela anche bene sul versante economico. Lezione: “Non fare gli schizzinosi, utilizzare tutto quanto fa brodo”. Modello sostenibile? Non si butta via niente e si usa ogni mezzo per farsi promozione.

Insomma, alzatomi dalla poltroncina ho avuto la conferma che: il contenuto, nel giornalismo (e non aggiungo online non a caso), non è più il “king” (se lo è mai stato davvero). Che saper scrivere è secondario rispetto all'immediatezza di pubblicazione, del titolo ruffiano e del saper fare SEO.

Niente di tragico, sia chiaro. Non sono uno di quei disfattisti che piange sull'inchiostro versato. Niente vieta a chi sa scrivere bene di essere più smaliziato, capire il “mercato” dell'informazione e attrezzarsi di conseguenza. Anzi, direi proprio che a questi chiari di luna chi non evolve in questo senso si merita l'estinzione. Non puoi pretendere che il mondo cambi e il giornalismo no.
Luca Sofri, molto gentilmente, quando lo fermo un attimo all'uscita del teatro, mi fa le condoglianze sorridendo: “Vuoi creare una testata online? Assicurati di spendere poco e contenere sempre e comunque i costi. È vitale”.

Ma il giornalismo dovrà essere per forza “vittima” dell'ipervelocità e della notizia come bene di consumo usa-e-getta, oppure – come penso molti della mia generazione non troppo ingenuamente credono – pratiche come lo storytelling e il “contenuto utile” salveranno il mestiere (e la sua dignità)?

Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Due o tre cose sui Macchianera Italian Awards
Il futuro del lavoro? Continua ricerca, competizione serrata. E il proletariato digitale
- Utilizzare meglio i social (ed evitare travasi di bile)

martedì 9 settembre 2014

Il potere del clic. Anzi, del non clic

Penso che esistano pochi concetti noiosi al mondo quanto quello di responsabilità.

Non fraintendermi, prendo sul serio il senso di responsabilità, non potrei vivere senza, nel privato come nel lavoro. Ma guardiamoci in faccia e diciamoci le cose come stanno: tu forse bevi sempre responsabilmente? O guidi sempre responsabilmente? Hai uno stile di vita per cui dormi, mangi, fai movimento in modo responsabile? O prendi ogni singola decisione nella vita assumendoti tutte le responsabilità?

Non credo. È assolutamente umano (e parlo per esperienza).
Così come è logico sbuffare o rovesciare gli occhi non appena senti qualcuno iniziare una frase con, tipo: “Bisogna essere responsabili... bla bla bla”.

A quel punto, ci scommetto, hai già staccato il cervello.
Tra i tanti concetti abusati e bistrattati dei nostri tempi, infatti, quello di responsabilità è uno dei primi della lista.

Bene, io sono qui, adesso, a scriverti in questo post che cliccare responsabilmente può cambiare il mondo. Il mondo online, poi chissà.


Mi spiego meglio: sul web l'evoluzione passa da come l'utente si comporta online. Ogni azione è preceduta da un clic, nella stragrande maggioranza dei casi: con quelli di aprono link, si danno consensi, si mettono mi piace e si fanno condivisioni.

Ora, ogni giorno ci lamentiamo che c'è qualcosa là fuori, sul web, che non ci piace. E magari ci scagliamo contro questa cosa con particolare veemenza.

C'è persino chi arriva a creare veri e propri flame (se non a trollare) per distruggere qualcosa che detesta. Nella maggior parte dei casi, è uno spreco di energie e di creatività.

Mai come adesso possiamo capire quanto l'indifferenza (dunque il non-clic) sia un'arma potente nelle mani degli utenti del web. I banner pubblicitari sono ingannatori? Non clicchiamoci sopra: dopo un po' ci siamo arrivati, i banner sono in via di estinzione, ecco allora qualcosa “di meglio”, magari un native advertising meno “offensivo e più impegnativo per chi lo promuove.

I titoli sensazionalistici dei siti d'informazione ti fanno schifo? Quelli smaccatamente utilizzati come “amo” per acchiappare visite ti insultano? Il gossip ti deprime? Non cliccare sulla notizia o sul post, non perdere neppure tempo a commentare. Se il riscontro cala sensibilmente, chi di dovere prenderà provvedimenti e vedrai meno contenuti del genere in giro.

Regola generale: se non fa discutere, se non genera numeri, non esiste.

Possiamo riuscire, attraverso il nostro non-clic, a ridimensionare o far evolvere quello che “non ci piace”.

Il modo in cui utilizziamo i nostri clic può davvero cambiare il mondo. Ogni volta che clicchi su qualcosa esprimi una concreta e determinante azione pubblica, anche se non te ne rendi conto. Non solo perché (forse) sei monitorato e produci dati da analizzare, ma perché determini il successo del contenuto che decidi di aprire.

Dobbiamo solo esserne più consapevoli e utilizzare il potere del (non) clic con – ok, adesso puoi sbadigliare – maggiore senso di responsabilità.

Le cose non potranno che andare meglio. Il cambiamento è sempre qualcosa di positivo, no?


Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no)
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