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martedì 9 settembre 2014

Il potere del clic. Anzi, del non clic

Penso che esistano pochi concetti noiosi al mondo quanto quello di responsabilità.

Non fraintendermi, prendo sul serio il senso di responsabilità, non potrei vivere senza, nel privato come nel lavoro. Ma guardiamoci in faccia e diciamoci le cose come stanno: tu forse bevi sempre responsabilmente? O guidi sempre responsabilmente? Hai uno stile di vita per cui dormi, mangi, fai movimento in modo responsabile? O prendi ogni singola decisione nella vita assumendoti tutte le responsabilità?

Non credo. È assolutamente umano (e parlo per esperienza).
Così come è logico sbuffare o rovesciare gli occhi non appena senti qualcuno iniziare una frase con, tipo: “Bisogna essere responsabili... bla bla bla”.

A quel punto, ci scommetto, hai già staccato il cervello.
Tra i tanti concetti abusati e bistrattati dei nostri tempi, infatti, quello di responsabilità è uno dei primi della lista.

Bene, io sono qui, adesso, a scriverti in questo post che cliccare responsabilmente può cambiare il mondo. Il mondo online, poi chissà.


Mi spiego meglio: sul web l'evoluzione passa da come l'utente si comporta online. Ogni azione è preceduta da un clic, nella stragrande maggioranza dei casi: con quelli di aprono link, si danno consensi, si mettono mi piace e si fanno condivisioni.

Ora, ogni giorno ci lamentiamo che c'è qualcosa là fuori, sul web, che non ci piace. E magari ci scagliamo contro questa cosa con particolare veemenza.

C'è persino chi arriva a creare veri e propri flame (se non a trollare) per distruggere qualcosa che detesta. Nella maggior parte dei casi, è uno spreco di energie e di creatività.

Mai come adesso possiamo capire quanto l'indifferenza (dunque il non-clic) sia un'arma potente nelle mani degli utenti del web. I banner pubblicitari sono ingannatori? Non clicchiamoci sopra: dopo un po' ci siamo arrivati, i banner sono in via di estinzione, ecco allora qualcosa “di meglio”, magari un native advertising meno “offensivo e più impegnativo per chi lo promuove.

I titoli sensazionalistici dei siti d'informazione ti fanno schifo? Quelli smaccatamente utilizzati come “amo” per acchiappare visite ti insultano? Il gossip ti deprime? Non cliccare sulla notizia o sul post, non perdere neppure tempo a commentare. Se il riscontro cala sensibilmente, chi di dovere prenderà provvedimenti e vedrai meno contenuti del genere in giro.

Regola generale: se non fa discutere, se non genera numeri, non esiste.

Possiamo riuscire, attraverso il nostro non-clic, a ridimensionare o far evolvere quello che “non ci piace”.

Il modo in cui utilizziamo i nostri clic può davvero cambiare il mondo. Ogni volta che clicchi su qualcosa esprimi una concreta e determinante azione pubblica, anche se non te ne rendi conto. Non solo perché (forse) sei monitorato e produci dati da analizzare, ma perché determini il successo del contenuto che decidi di aprire.

Dobbiamo solo esserne più consapevoli e utilizzare il potere del (non) clic con – ok, adesso puoi sbadigliare – maggiore senso di responsabilità.

Le cose non potranno che andare meglio. Il cambiamento è sempre qualcosa di positivo, no?


Se ti va di leggere ancora qualcosa...
- Lavori nel marketing? Ucciditi (ma anche no)

venerdì 25 luglio 2014

Expendables piratati e sacrificabili al boxoffice? Dipende da te

189 mila download in meno di 24 ore.
Sarebbe un bel successo, se si trattasse di qualcosa di legale. E invece stiamo parlando di un film non ancora ufficialmente uscito: The Expendables 3, il nuovo capitolo della saga action firmata da Sylvester Stallone, che riporta sullo schermo vecchie glorie e nuove leve del genere reso cult dalle pellicole degli anni '80.

Non giriamoci intorno: a meno di un mese dalla premiere ufficiale del film, la circolazione di una copia pirata in qualità DVD e questi numeri fanno cadere le braccia.

Ci ritroviamo di fronte ad un dilemma, e stavolta senza la foglia di fico del cinema d'autore che circola poco: chi attenderà un mese per vederselo sul grande schermo? Quanti, invece, preferiranno la comoda e gratuita visione sullo schermo del pc?

Un film d'azione del genere vive dell'incasso in sala dovuto alla "nicchia" di appassionati che, guarda caso, in gran parte (uomini, giovani) ricade nei grandi utilizzatori del download illegale. La frittata è (potenzialmente) fatta.

Il precedente a cui si può fare riferimento è “X-Men - Le Origini: Wolverine” che fu scaricato da 15 milioni di persone un mese prima dell'uscita nei cinema e incassò molto meno di quanto avrebbe potuto (vabbè, era pure un pessimo film...). Se vi consola, colui che uploadò il file pirata è finito in carcere e Megaupload, beh, sappiamo com'è finita.

Adesso, i cosiddetti amanti del cinema, del genere action, dell'arte e dei vecchi miti gloriosi degli anni '80 sono chiamati ad una scelta di campo. Affossare i propri beniamini o sostenerli fino alla fine, scaricare o vedere in sala, stare comodi o sostenere il (tanto amato?) cinema.

mercoledì 23 luglio 2014

Equo compenso, Franceschini abbaia ad Apple (ma è colpa della SIAE)

Che cos'è l'equo compenso? In poche parole, una tassa che si paga ogni volta che compriamo dispositivi come smartphone, tablet, pc e memorie usb. Perché paghiamo? Perché su questi prodotti possiamo "copiare" file in teoria protetti dal diritto d’autore.

Morale della favola, dobbiamo pagare di più degli oggetti per un uso che nemmeno potremmo mai fare. 

Adesso, con un tweet, il ministro Dario Franceschini se la prende con Apple dicendo che questa si rivale gli utenti aumentando il prezzo dei suoi prodotti in Italia rispetto ad altre nazioni europee (nello specifico per l'iPhone 5S 16Gb). Peccato che sia stato lui stesso, con la firma del decreto che ha rivisto le tariffe dell’equo compenso per copia privata, ad aver permesso questa mossa che suona come una rivalsa.



Vediamo cosa dice il testo: 4 euro sugli smartphone  e sui tablet con 16 Gb di memoria, 0.36 euro sulle memorie USB con 4 Gb di capacità, 0.20 euro sui dvd.

Chi ci guadagna? La SIAE, con i conti perennemente in rosso. La Società che tutela gli autori e gli editori, da sempre investita da polemiche dei suoi stessi associati e dalle logiche interne molto opinabili, tenterà (con il beneplacito delle istituzioni) di guadagnare più soldi possibili attraverso il provvedimento.


Nella prova di forza tra produttori di prodotti elettronici e la SIAE, nel nostro Paese non poteva che vincere quest'ultima. Il Governo la tutela, poi lancia un (debole) monito verbale dicendo che a pagare devono essere i produttori e non i consumatori, e con la coscienza a posto si siede a guardare.

A guardare come i costi, naturalmente, vengono scaricati su chi vuole comprare.

C'è almeno un risvolto positivo in questo bel provvedimento (lo chiamiamo salva-SIAE? Sì, dai)? Forse avrà una ricaduta sulle abitudini degli italiani, anche quelle dei più "arretrati". Andremo tutti a comprare i prodotti online, sugli store digitali degli altri Paesi europei.

Applausi (registrazione non coperta da diritti d'autore).

mercoledì 9 luglio 2014

I Pirati di Silicon Valley, quindici anni dopo

Prima di The Social Network, c'era I Pirati di Silicon Valley.
Prima di Facebook, cioè, si è parlato di come sono nate le macchine sulle quali lo utilizziamo.

O meglio, delle due persone che hanno reso possibile la rivoluzione che ha portato un pc in ogni casa e sistemi operativi intuitivi (e poi laptop, netbook, smartphone, tablet...): Steve Jobs e Bill Gates.

Jobs, passato a miglior vita, è di certo un personaggio più narrativamente attraente. Genio sregolato, ex-hippie e fruttariano, grande oratore e carismatico, umorale e maleducato. Gates, da sempre più schivo e riservato, ha comunque una personalità non trascurabile (e un caratterino niente male).

I Pirati di Silicon Valley è un film-tv del giornalista e regista Martyn Burke datato 1999 che, con tutti i limiti da film-tv, affronta di petto senza timori una storia molto recente e controversa. La storia della “conquista” del mondo dei personal computer da parte di due giovani rampanti, tra gli anni '70 e gli '80 del Novecento.

Un film strutturato molto bene, anche se non girato benissimo, sia per ritmo che per scelte narrative. Tra dissolvenze invadenti e spunti ottimi lasciati cadere nel vuoto, c'è però un coraggio quasi incosciente nel tratteggiare un anti-ritratto di due delle icone degli ultimi quarant'anni e numi tutelari del “pc su ogni scrivania”, Steve Jobs e Bill Gates.

Con le dovute licenze da romanzo e gli ovvi limiti della semplificazione, c'è però una buona resa della personalità complessa e scorbutica di Jobs, ossessionato dall'idea di essere l'artista che dipinge il futuro dei computer, e l'antipatico pragmatismo di Gates.

Due giovani molto simili in molte cose: il talento, informatico (Gates) e visionario (Jobs), l'assenza di scrupoli, la volontà di abbattere il sistema dominato da giganti preistorici che non guarda in faccia niente e nessuno, tanto meno l'etica e l'onestà. Alle capacità personali si sommano infatti la bugia, l'arrivismo e il furto delle idee altrui.

Il film, tratto dal libro "Fire in the Valley" di Paul Freiberger e Michael Swaine, è spesso rozzo e schematico ma efficace: restituisce la figura di due personaggi speculari, opposti e complementari. Sommando fatti documentati a leggende metropolitane (non, però, così distanti dalla realtà) ricostruisce in modo efficace un periodo cruciale della nostra storia moderna.

Nessuno esce bene da questa pellicola. Jobs e Gates hanno sì rivoluzionato per sempre la nostra vita, il mondo della tecnologia, del marketing e dell'impresa, ma sono anche persone che hanno piegato il mondo e le persone ai propri scopi, rubando idee e tentando di distruggersi a vicenda. Niente di cui scandalizzarsi, sia chiaro: la base del progresso è spazzare via chi non “vede” il futuro e l'utilità degli strumenti che ha sotto il naso (e magari inventato). Vince chi sa cambiare, osare, prendere dei rischi, anche a spese altrui.

Aneddoti spettacolari e veri: il dirigente della HP che dice a Steve Wozniak, socio di Jobs (rifiutando il progetto del Mac-1): “Ma cosa se ne fa la gente di un pc a casa?” e la storica riunione di Gates con il colosso IBM, dove costruì la sua fortuna vendendo un sistema operativo che ancora non aveva (il DOS, acquistato dalla sua Microsoft a due spicci da un altro produttore) e mantenendone la proprietà, concedendolo in licenza.
Persino la IBM pensava che i soldi arrivassero solo dai pc, e non dal software... un po' come quando Lucas gettò le basi del suo impero andando oltre il cinema e assicurandosi i proventi del marchandising alla faccia della 20th Century Fox.

Certo, ai Pirati della Silicon Valley adesso servirebbe un sequel su cosa è successo (ed è successo moltissimo!) dopo il 1999. Anche se in realtà il film si ferma dopo il 1985, e riassume il resto in 3 didascalie negli ultimi 30 secondi...

Due parole sugli interpreti: Noah Wyle è un ottimo Steve Jobs, lodato persino dal papà di Apple che pure odiò il film. Jobs chiamò addirittura Wyle a introdurre, vestito come lui, la conferenza del MacWorld 1999.


Anthony Michael Hall è un odioso Bill Gates, ingobbito e introverso, anche lui molto bravo. Due prove di attori che sostengono e danno un valore maggiore a questa opera.


Puoi leggere anche:
- Halt and catch fire, la serie tv sullo sviluppo dei pc negli anni '80
- La prima stagione di House of Cards
- Il social marketing applicato al Mondiale

domenica 6 luglio 2014

Halt and catch fire: ecco l'erede di Mad Men, in salsa nerd anni '80

Catturare la vostra attenzione per parlare di Halt and Catch Fire?
Si gioca tutto su una semplice operazione matematica: Mad Men + The Social Network + nostalgia targata 1980.
E sulla sigla iniziale, strepitosa:




Ci siete ancora? Questo vuol dire che la nuova serie del canale americano AMC (sì, proprio lo stesso di Mad Men) può fare al caso vostro. Arrivata a metà della corsa (5 episodi su 10 della prima stagione) è il momento di parlare di questa giovane creatura che potrebbe avere un lungo e luminoso futuro. 
Come specificato in apertura, la formula con la quale si può grossolanamente bollare la serie creata da Christopher Cantwell e Christopher Rogers è quella del patchwork di successi legati a effetto-nostalgia, sfide tecnologiche e ambizione.

Ricostruzione d'epoca, lettura “epica” di un contesto storico e dei suoi protagonisti, classica struttura romanzata per incollare lo spettatore allo schermo. 
Siamo nel 1983, IBM domina il mercato dei computer: uno spregiudicato e misterioso ex dipendente del colosso informatico si presenta alla posta della società Cardiff Electric e si fa assumere, grazie al suo curriculum e la sua parlantina. E' Joe McMillan (Lee Pace), giovane e rampante agente commerciale, che nel giro di un paio di giorni “incastra” i suoi nuovi boss seguendo un proprio visionario progetto: battere la IBM sul suo stesso terreno, la produzione di computer.
E' un terremoto. Joe è arrivato lì seguendo gli articoli di un ingegnere della Cardiff, Gordon Clark (Scoot McNairy), scottato da precedenti fallimenti nel progettare dispositivi e mettersi in proprio, ma con il fuoco che ancora brucia sotto la cenere.

Con una incredibile maratona di reverse-engineering, i due compilano il BIOS delle macchine IBM e si apprestano all'operazione di clonazione, prima passo verso un azzardato progetto di miglioramento tecnico e di abbattimento dei costi.
Peccato che la IBM non stia con le mani in mano: sfidata dallo stesso McMillan che – a quanto pare – sembra sapere il fatto suo, mette in campo decine di avvocati ma non riesce a fermarli, al contempo costringendo la Cardiff ad andare avanti nell'idea di Joe. Ritirarsi sarebbe ammettere di aver copiato.
La guerra andrà avanti in modo sanguinoso, e non solo a colpi di attentati aziendali. Gordon ha una famiglia e mettendosi in gioco vede tutto a rischio: la moglie, intelligentissima impiegata della Texas Instruments (Carry Bishé), e le due piccole figlie. Quale futuro potranno avere?

Tra Joe e Gordon c'è il terzo incomodo, incarnato da una splendida studentessa ventiduenne che coniuga la figura del genio problematico e del punk asociale: Cameron Howe (Mackenzie Davis), fisico da modella e capelli alla Twiggy in versione The Clash. Personaggio dalla credibilità pari a zero (donna, bellissima, ribelle, appassionata di codice binario: un po' troppe comode coincidenze) che però funziona perché utilizzato col contagocce e contrapposto a due uomini “ordinari” che mettono a nudo le loro fragilità – Gordon insicuro e irrequieto, Joe bugiardo e dall'oratoria fatta di slogan da venditore.

La scrittura della serie è eccellente per quanto riguarda la struttura drammatica, a partire dalla scelta di mettere un carismatico imbroglione come McMillan al centro della storia: è lui a spiegare tutte le mosse più ostiche agli altri, e al tempo stesso allo spettatore, con linguaggio semplice e di stampo pubblicitario.
A lui si contrappongono Gordon, introverso, taciturno e caratterialmente debole e la complessa Cameron, sempre in bilico tra la macchietta disadattata e la ragazza profondamente sensibile.

E Joe, misterioso, affascinante, consumato dal “sacro fuoco” della visionarietà, come figura è ancora in bilico tra il magnifico millantatore e il sognatore disincantato. Di certo è un tipo disposto a tutto per raggiungere i suoi obiettivi e capace di utilizzare qualsiasi persona come strumento. Non per questo riesce sempre a uscire come vorrebbe dai casini che crea, e il suo atteggiamento gli farà da subito pagare caro alcune leggerezze.
Le ombre gettate sul suo passato (l'impiego precedente, l'anno in cui è sparito, il padre...) potranno sicuramente reggere sul lungo termine se ben giocate. Per adesso suonano molto come “paletti narrativi” già sentiti, ma siamo pronti a farci stupire.

Gli anni '80 del secolo scorso sono più evocati che mostrati, esattamente come in Mad Men: si gioca sugli interni, su case e uffici, abbigliamento, capigliature e tecnologie assortite (batticuore per il cameo del Grillo Parlante della Texas Instruments!). L'effetto, oltre che esageratamente generoso verso un decennio che ha visto cose allucinanti nell'estetica, è anche un pochino blando, però non me la sento di dire che il setting è anonimo. Alla fine, quello che conta è il risultato finale e, sommati tutti gli elementi, posso dire che il contesto storico risulta abbastanza credibile.

Halt and catch fire è una serie che promette di coinvolgere ed emozionare tutti, dagli appassionati di storia dell'informatica a quelli che cercano un drama sofisticato e con personaggi sfaccettati.
Bel lavoro. Adesso attendiamo il resto della stagione per tirare le somme.

sabato 26 aprile 2014

Come disattivare i video automatici di Facebook su smartphone

Ok, dicevamo dell'ennesimo diktat di Facebook che adesso ci fa partire automaticamente i video mentre scorriamo la timeline. L'altro giorno ho scritto di come disattivarlo su pc, ma naturalmente il problema riguarda soprattutto gli smartphone, quando si usa la connessione dati con i video indesiderati che ci succhiano traffico!

Vediamo come stoppare questa imposizione, partendo da Android...

Una volta aperta l'applicazione, clicca sull'icona formata da tre linee (nell'ultimo aggiornamento dovrebbe essere in alto a destra).

Quando si apre il menu scendi in basso fino a "Impostazioni applicazione" ed entra nell'ulteriore menù: troverai la voce "riproduci automaticamente video solo su Wi-Fi" clicca per spuntare la casella e vedrai che sotto verrà scritto "Sì": missione compiuta! 

Ok, ma so benissimo che c'è anche chi ha lo stesso problema su iPhone e iAltro... dalla home si va su "Impostazioni" e in basso fino a trovare l'icona di Facebook. Se clicci si apre di nuovo un menù "Impostazioni": entrando con un tocco, sotto la voce "Foto e video" c'è la voce "Riproduci automaticamente video solo su Wi-Fi"... basta spostare il bottone verso destra et voilà!
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