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giovedì 24 luglio 2014

Se la condanna a morte è una tortura

Ieri (mercoledì 23 luglio), in Arizona, è stata eseguita la condanna a morte di Joseph R. Wood, 55 anni, colpevole di duplice omicidio.

Potrebbe anche non essere una notizia, nei democratici USA, ma lo diventa per il record di durata della pena capitale. Si può uccidere un uomo per due ore? Adesso possiamo dire di .

Solitamente, l'iniezione letale - che dovrebbe essere indolore - impiega una decina di minuti per fare il suo dovere. Peccato che, a quanto pare, i nuovi composti non siano il massimo dell'efficienza. Certo, abbiamo già assistito ad esecuzioni che durano circa una mezz'ora, e anche di più, ma questo non giustifica l'inutile sofferenza imposta ad un condannato a morte.

Attenzione, non intendo entrare nel dibattito sull'opportunità o meno della pena di morte, sul quale ognuno ha la sua idea ed ha il diritto di difenderla. Quello che mi chiedo, e ti chiedo, è: ha senso trasformare in una tortura prolungata quella che, per legge - vedi l'ottavo emendamento della costituzione americana - dovrebbe evitare di "infliggere pene crudeli e inconsuete"?

Chi la considera una questione secondaria rispetto ad altre, dovrebbe riflettere sul fatto che stiamo parlando di uno Stato che dispone della vita di un essere umano, colpevole (o meno, come la storia insegna) che sia di nefandezze varie.  

Per quasi tutto il tempo dell'esecuzione, secondo fonti ufficiali, Wood ha agonizzato, nonostante la famigerata governatrice dell’Arizona, la repubblicana Jan Brewer, neghi ogni complicazione. 

C'è inoltre da considerare un fatto particolare: proprio per l'inefficienza delle sostanze che vengono iniettate nei condannati, sempre più spesso negli ultimi anni le sentenze vengono rimandate, e stiamo assistendo, in USA, ad una progressiva diminuzione delle pene capitali.

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