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martedì 15 luglio 2014

La classe media uccisa dalla finanza (e dal web)

Parlare di economia non è mai semplice. È un argomento importante che spesso spaventa il pubblico. Pensate allora quando il giovane regista Robert Kornbluth è andato in giro cercando finanziamenti per un documentario sulla progressiva sparizione della classe media e l'inasprirsi delle disuguaglianze sociali in America.

Alla fine c'è riuscito con il crowdfunding e con qualche sponsor (tra cui, di sicuro, Mini-BMW) e il lavoro è eccellente. Un film (Inequality for all) la cui visione è consigliata a tutti: rappresenta un saggio di chiarezza espositiva, leggerezza istruttiva nel trattare temi complessi e importanti e, non ultimo, lancia un messaggio positivo non facendo del catastrofismo ma invitando a riflettere. Il successo meritato è arrivato dal Sundance Festival e da moltissima stampa internazionale.

A farci da cicerone in questo breve ma utile viaggio è Robert Reich, brillante professore dell'Università di Berkley in California ed ex ministro del Lavoro nel primo mandato presidenziale di Bill Clinton (amministrazione controversa ma che sotto il profilo del welfare operò bene). Con umiltà, (auto)ironia e intelligenza, Reich – autore del libro che ha ispirato il film - ci spiega in modo sereno cosa è accaduto per ritrovarci a vivere peggio di come stavamo 40 anni fa... tutti tranne l'1% della popolazione.

L'esempio americano non è per niente distante dalla realtà dei Paesi europei, e anche del nostro. Alla fine del dopoguerra e del boom economico, è accaduto qualcosa. Dalla fine degli anni '70, gli stipendi del ceto medio si sono livellati e non sono cresciuti in proporzione al costo della vita in salita costante. Abbiamo assistito a globalizzazione, delocalizzazione, deregulation, meccanizzazione del lavoro.
Il divario sociale si è invece ampliato, da una parte favorendo una minoranza di ricchissimi (a cui le tasse sono state tagliate), dall'altra andando a penalizzare quello che da sempre è stato il propulsore dell'economia mondiale, il grosso dei lavoratori e la loro capacità di spesa.

Non sono i ricchi a produrre posti di lavoro. E' la maggioranza della popolazione, la classe media, attraverso i suoi acquisti, a far girare l'economia, a sostenere la produzione di beni di consumo e quindi a gettare i presupposti per l'imprenditoria e la creazione dei posti di lavoro necessari.

Un equilibrio ben esemplificato nella pellicola, attraverso un chiaro schema che illustra un circolo virtuoso: stipendi adeguati - consumi che salgono – assunzioni - maggiore gettito fiscale - più investimenti pubblici - lavoratori più istruiti - economia in crescita - produttività maggiore.
Mettete a tutti questi fattori il segno opposto, e vedrete la situazione che viviamo da ormai troppo tempo.

Ogni punto meriterebbe un approfondimento, ma basta rilevare come, attraverso i decenni, in alcuni Paesi mondiali una popolazione più istruita ha saputo generare un mercato del lavoro migliore e una capacità dell'individuo di trovare o creare nuovi impieghi. Dunque una società che ha saputo far fronte in modo migliore alla “crisi” che ha investito il mondo negli ultimi anni.

L'ultima parte della pellicola, pur senza catastrofismi, solleva un'importante domanda: come può la politica svolgere serenamente il suo ruolo di soggetto che dovrebbe tutelare tutti i cittadini e in particolare i più esposti ai rischi economici, se ogni anno che passa è sempre più bisognosa lei stessa di soldi e di “appoggi” di ricchi magnati? La realtà delle campagne elettorali americane è lampante, ma anche in Italia, da Berlusconi e Renzi, questo fenomeno è sempre più tangibile.
Il rischio è che la tutela della classe media, dei lavoratori, degli stipendi e delle fasce deboli si riduca soltanto a slogan e a poche, piccole, elemosine.


Ci sono poi le responsabilità del web e del progresso tecnologico, ma di queste parleremo in un prossimo post.

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