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giovedì 17 luglio 2014

Il web, il progresso e i cadaveri della middle-class

Jaron Lanier
Il web è democrazia, libertà, rivoluzione?
Questo è certo, come è certo che la costruzione del futuro, anche via web, passa attraverso alcuni cadaveri molto reali.


Andiamo con ordine: dopo aver parlato (grazie allo spunto di un bel docufilm) di come l'impoverimento della classe media ci abbia portato al deprimente stato di cose in cui viviamo, mi sono imbattuto in un gran bell'articolo a firma Riccardo Staglianò dove a prendere la parola è niente meno che uno dei guru e dei profeti del web e della realtà virtuale, quel poliedrico Jaron Lanier che spazia dalla musica alla programmazione alla profezia di ciò che sarà come niente fosse.

E' un bel pezzo di giornalismo, e merita di essere letto da cima a fondo. Alcuni concetti espressi da Lanier sono di una semplicità e di una concretezza disarmante:
«Ci piace la musica gratis, ma poi gridiamo allo scandalo per l’orchestrale nostro amico che non ha più fondi. Ci eccitiamo per i prezzi online stracciati, e poi piangiamo per l’ennesima serranda abbassata. Ci piacciono anche le notizie a costo zero, e poi rimpiangiamo i bei tempi in cui i giornali erano in salute. Siamo felicissimi dei nostri (apparenti) buoni affari, ma alla fine ci renderemo conto che stiamo dilapidando il nostro valore»



Lavoratori (del/sul) web
Niente di più vero. Riflessioni forse ridondanti per chi è abituato ad analizzare la realtà e vedere i cambiamenti in atto, ma alla stragrande maggioranza delle persone questa consapevolezza ancora manca. Soprattutto perché il mercato (ma quale, ormai?) spinge in una direzione strana, e i consumatori - se ancora possiamo chiamarli tali - si sono adagiati su un sistema dove tutto o quasi si può trovare gratis e a prezzi stracciati, uccidendo in un passaggio traumatico quel poco di classe media e piccola imprenditoria rimasta.

La rivoluzione digitale, sia benedetta e/o maledetta, sta lasciando da anni e con sempre maggiore frequenza una scia di morti nel suo galoppo, e per ogni Kindle chiudono due librerie, lo sappiamo. Per ogni brano scaricato musicisti non affermati annegano nell'indigenza. E così via.


Over(social)flow
Non solo offline: anche sulla rete chi sta in mezzo muore, chi non impegna le sue giornate ad essere "qualcuno" è tagliato fuori dal giro che conta e dal mercato che si sta sviluppando. I mezzi sono diversi ma la logica è la stessa, declinata ad un individualismo-egocentrismo (personal branding o corporate marketing che sia) dove le regole sono più subdole ma la sostanza è la stessa: emergere, vincere sulla concorrenza, fare affari.


Driveless car
Ma non è che un singolo aspetto nel mare della vita reale e del quotidiano. Pensiamo a lavori del settore "servizi" come quelli del traduttore, con Skype che annuncia la traduzioni in tempo reale della conversazioni. Del tassista, con le driveless car alle porte. Del commercialista, minacciato da sistemi automatici sempre più precisi che calcolano perfettamente cifre e importi.

Lascio la chiosa ancora a Lanier:
«Per quanto faccia male dirlo, potremo anche sopravvivere distruggendo solo la classe media composta da musicisti, giornalisti e fotografi. Ciò che non è sostenibile è la distruzione di quella che lavora nei trasporti, nella manifattura, nel settore energetico, nell’educazione e nella sanità, oltre che nel terziario. E una tale distruzione accadrà, a meno che le idee dominanti sull’economia dell’informazione non facciano dei passi avanti»

Se ti va, puoi leggere anche:
- La classe media? E' stata uccisa...
- Anche il giornalismo si delocalizza. In Albania.
- Carenza di onestà (ed eccesso di informazione)

martedì 15 luglio 2014

La classe media uccisa dalla finanza (e dal web)

Parlare di economia non è mai semplice. È un argomento importante che spesso spaventa il pubblico. Pensate allora quando il giovane regista Robert Kornbluth è andato in giro cercando finanziamenti per un documentario sulla progressiva sparizione della classe media e l'inasprirsi delle disuguaglianze sociali in America.

Alla fine c'è riuscito con il crowdfunding e con qualche sponsor (tra cui, di sicuro, Mini-BMW) e il lavoro è eccellente. Un film (Inequality for all) la cui visione è consigliata a tutti: rappresenta un saggio di chiarezza espositiva, leggerezza istruttiva nel trattare temi complessi e importanti e, non ultimo, lancia un messaggio positivo non facendo del catastrofismo ma invitando a riflettere. Il successo meritato è arrivato dal Sundance Festival e da moltissima stampa internazionale.

A farci da cicerone in questo breve ma utile viaggio è Robert Reich, brillante professore dell'Università di Berkley in California ed ex ministro del Lavoro nel primo mandato presidenziale di Bill Clinton (amministrazione controversa ma che sotto il profilo del welfare operò bene). Con umiltà, (auto)ironia e intelligenza, Reich – autore del libro che ha ispirato il film - ci spiega in modo sereno cosa è accaduto per ritrovarci a vivere peggio di come stavamo 40 anni fa... tutti tranne l'1% della popolazione.

L'esempio americano non è per niente distante dalla realtà dei Paesi europei, e anche del nostro. Alla fine del dopoguerra e del boom economico, è accaduto qualcosa. Dalla fine degli anni '70, gli stipendi del ceto medio si sono livellati e non sono cresciuti in proporzione al costo della vita in salita costante. Abbiamo assistito a globalizzazione, delocalizzazione, deregulation, meccanizzazione del lavoro.
Il divario sociale si è invece ampliato, da una parte favorendo una minoranza di ricchissimi (a cui le tasse sono state tagliate), dall'altra andando a penalizzare quello che da sempre è stato il propulsore dell'economia mondiale, il grosso dei lavoratori e la loro capacità di spesa.

Non sono i ricchi a produrre posti di lavoro. E' la maggioranza della popolazione, la classe media, attraverso i suoi acquisti, a far girare l'economia, a sostenere la produzione di beni di consumo e quindi a gettare i presupposti per l'imprenditoria e la creazione dei posti di lavoro necessari.

Un equilibrio ben esemplificato nella pellicola, attraverso un chiaro schema che illustra un circolo virtuoso: stipendi adeguati - consumi che salgono – assunzioni - maggiore gettito fiscale - più investimenti pubblici - lavoratori più istruiti - economia in crescita - produttività maggiore.
Mettete a tutti questi fattori il segno opposto, e vedrete la situazione che viviamo da ormai troppo tempo.

Ogni punto meriterebbe un approfondimento, ma basta rilevare come, attraverso i decenni, in alcuni Paesi mondiali una popolazione più istruita ha saputo generare un mercato del lavoro migliore e una capacità dell'individuo di trovare o creare nuovi impieghi. Dunque una società che ha saputo far fronte in modo migliore alla “crisi” che ha investito il mondo negli ultimi anni.

L'ultima parte della pellicola, pur senza catastrofismi, solleva un'importante domanda: come può la politica svolgere serenamente il suo ruolo di soggetto che dovrebbe tutelare tutti i cittadini e in particolare i più esposti ai rischi economici, se ogni anno che passa è sempre più bisognosa lei stessa di soldi e di “appoggi” di ricchi magnati? La realtà delle campagne elettorali americane è lampante, ma anche in Italia, da Berlusconi e Renzi, questo fenomeno è sempre più tangibile.
Il rischio è che la tutela della classe media, dei lavoratori, degli stipendi e delle fasce deboli si riduca soltanto a slogan e a poche, piccole, elemosine.


Ci sono poi le responsabilità del web e del progresso tecnologico, ma di queste parleremo in un prossimo post.
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