Come si affronta un film che si spaccia
per documentario “serio” ma è una chiara fiction in stile
mockumentary con elementi di found footage? Semplice, si smette di
fare tanta teoria e si guarda se il prodotto regge. The Conspiracy
cavalca una delle tante ossessioni, una delle più radicate del
nostro contemporaneo: il complotto su scala mondiale.
Inizia come un
vero e proprio “documentario” sulla paranoia che deriva dalle
disparate teorie internazionali; poi ne isola una in particolare e,
facendo tornare protagonista la componente fiction sempre filtrata
attraverso videocamere più o meno amatoriali, la porta alle estreme
conseguenze.
Il Tarsus Club,
fantomatico ordine devoto al culto di Mitra di cui fanno parte i
potenti del mondo e/o coloro che li manovrano nell’ombra, è quanto
di più credibile possa essere raccontato sullo schermo. La durata
contenuta toglie probabilmente molto alla portata drammatica, ma il
film ne guadagna in scorrevolezza ed evita di girare a vuoto, che in
questi casi è il rischio maggiore. Una prima parte concepita come un
simil-Zeitgeist (impossibile non vederne i richiami) moderato dallo
stile alla Michael Moore, vede i due protagonisti prendere a cuore la
battaglia contro i mulini a vento (anzi, i grattacieli a petrolio) di
Terrance, il classico attivista con megafono e tonnellate di ritagli
di giornale.
Poi, uno dei due si fa
coinvolgere dalla misteriosa scomparsa dell’uomo e decide di
seguirne le orme, seguendo una pista che porterà i due registi ad
avere fin troppo successo… Probabilmente The Conspiracy, ma ha il merito di costruire un discorso che,
sebbene possa apparire campato in aria ai più, ha le radici ben
piantate nelle reali società più o meno segrete di ricchi e
potenti, nei riti pagani più o meno noti ed accettati, ma
soprattutto nella nostra paura (che si sublima in ignoranza
consapevole) di qualcosa che effettivamente può esistere e
condizionare le sorti di gran parte del mondo. E se esiste, meglio
chiudere occhi e orecchie e vivere tranquilli.
non pecca di originalità,
Curiose le somiglianze
con Kill List, film che aveva però dalla sua
l’effetto-sorpresa per una parte conclusiva totalmente inaspettata.
Qui forse le cose procedono abbastanza “telefonate”, ma la
realizzazione, la sensazione tangibile di minaccia invisibile e
inevitabile, e soprattutto il finale con sberleffo colpiscono nel
segno. E quando la visione è terminata, rimane quel vago senso di
inquietudine che non riesci ad esorcizzare con una scrollata di
spalle.
Da noi è passato al Torino Film Festival. Produzione canadese per la regia di Cristopher MacBride (anche sceneggiatore)
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