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venerdì 27 giugno 2014

The Raid 2, la recensione: più mazzate e meno trama, grazie!

Qual è la quintessenza del cinema d'azione di arti marziali?
La gioia delle mazzate nei denti, ovvio. Quand'è, quindi, che un prodotto diventa il migliore della sua categoria? Ad occhio e croce, quando le mazzate sono talmente tante e ben coreografate da rendere superfluo tutto il resto.

Questo era The Raid (2011). Non appena uscito, il film indonesiano del gallese Gareth Evans è diventato immediatamente un cult: trama poca o nulla, lo spettacolo del pencak silat, l'arte marziale del suo protagonista Iko Uwais, un'ora e mezzo di azione senza sosta e stuntman pazzi che prendevano botte da orbi e volavano giù dalle scale atterrando di schiena sui balconi. Il pretesto di un assalto di una squadra della polizia all'edificio di un boss locale si trasformava in una mattanza a mani nude claustrofobica e vertiginosa.

Insomma: il futuro del cinema d'azione si è spostato in Indonesia, dopo un occidente ripulito da sangue e cattiveria e Giappone e Cina/HK vittime di un funambolismo sterile.

Dopo il successo in patria e anche all'estero, complice la distribuzione americana con le musiche di Mike Shinoda, per The Raid era inevitabile l'arrivo di un sequel, che prende le mosse da un progetto precedente di Evans, in stand-by perché troppo ambizioso: Berandal, divenuto dunque il sottotitolo di The Raid 2.

Che sia un progetto ambizioso si capisce subito. Ambiente criminale e faide tra clan di razze diverse, scontri generazionali familiari, tradimenti, poliziotti infiltrati. Roba da John Woo, Johnnie To e perfino Scorsese. Per fortuna Evans non si sopravvaluta e mantiene l'azione al centro di tutto. Purtroppo, questo centro traballa molto perché sottoposto a diverse scosse telluriche: quelle di una trama abbastanza banale e allungata, di scene superflue e di personaggi macchiettistici.

Intendiamoci: The Raid 2 impone di credere ad un universo dove le armi da fuoco sono praticamente bandite e tutto si risolve utilizzando armi bianche e mani nude. E fin qui va bene. Ma puntare due ore e mezzo di film sullo stravisto schema del figlio ingrato e arrivista e del poliziotto sotto copertura è un azzardo. Per non parlare di due personaggi che spuntano dal nulla (e rimangono nel nulla) troppo ridicoli per risultare interessanti: Hammer Girl e Baseball Bat Boy – non hanno nomi – oltre a non essere grandi combattenti sono veramente troppo sopra le righe per non risultare goffi tentativi di omaggiare il cinema di altri paesi orientali o Tarantino. Altra ingenuità, l'incredibile fanservice con le lunghe sequenze con Yayan Ruhian (il leggendario Mad Dog del primo film), che sebbene siano belle e spettacolari, poco aggiungono al resto della pellicola e appesantiscono la durata.

Ciò detto, mi ricollego all'incipit: le mazzate ci sono, e sono epocali. Praticamente ogni scena di lotta è da antologia. Tranne le brevi sequenze mirate solo a destare lo spettatore dalle troppe scene di raccordo, tutto il resto umilia il cinema d'azione contemporaneo: dalla mega rissa nel fango in prigione, alla sequenza sull'auto, ai combattimenti finali contro i due mocciosi antipatici e il braccio destro del boss cattivo (quest'ultimo il top del film).


Iko Uwais è in formissima, gli avversari non gli sono da meno. Il risultato è il miglior cinema d'azione che si sia visto dai tempi di... The Raid. Se siete disposti a sopportare qualche scena statica di troppo e una trama per niente originale, avrete di che godere. 

2 commenti:

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