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domenica 2 febbraio 2014

Dallas Buyers Club - Dal Texas con l'HIV e senza patetismo

Dallas Buyers Club è un buon film. Nell'era in cui sentiamo esaltare opere dalla portata artistica nulla solo perchè sono emotivamente ricattatorie o ricche di buone intenzioni, un film onesto e rigoroso, che concede poco o niente al baraccone retorico sull'HIV, è qualcosa di cui essere felici.
Supportato dall'interpretazione di quello che ormai è l'attore più virtuoso del momento, quel Matthew McConaughey a cui fino a pochi anni fa sputavo sulle locandine, il film di Jean-Marc Vallée, pur se romanzato e con qualche imperfezione nella gestione drammatica, è ben lontano dai toni e dai modi urlati e imploranti di pellicole che mettono l'esibizione della malattia e della sofferenza davanti a tutto.
I motivi sono diversi: innanzitutto la gestazione della storia, durata per ben 20 anni. Lo sceneggiatore Craig Borten ha intervistato il vero protagonista della vicenda, Ron Woodroof, pochi giorni prima della sua morte, nel 1992. Oltre venti ore di fluviale racconto che è stato più volte rivisto e corretto, proposto e respinto. Adesso, con il copione riscritto assieme alla co-autrice Melissa Wallack, possiamo dire che l'attesa è valsa la pena: la sensibilità di Vallée, già autore di pellicole non fondamentali ma comunque interessanti come C.R.A.Z.Y. e The Young Victoria, riesce a trasformare anche le inesattezze storiche e le invenzioni di sana pianta in punti di forza drammatici. Ovvero la presenza del travestito Rayon, interpretato da Jared Leto con ottima aderenza, e il contrappunto etico-legale della dottoressa Eve di Jennifer Garner. Il primo è fondamentale in quanto rappresenta il cambiamento “in meglio” del protagonista: da texano sbruffone, omofobico e razzista, dopo aver scoperto di avere addosso la “malattia dei froci”, Ron dovrà rivedere molte santino non piace a nessuno) un paladino dei diritti dei diversi, imparerà ad accettare le differenze e ad essere un po' meno rozzo. Certo, Rayon sarà suo socio nello “spaccio” di medicine alternative al praticamente letale AZT somministrato ai sieropositivi, ma Ron dimostrerà con i suoi modi ruvidi di avere a cuore le sorti del suo fragile e tossicodipendente amico.
delle sue ottuse convinzioni, e sebbene non diverrà (e meno male, che il
Un film da vedere, perchè solido e ben diretto: le interpretazioni sono di certo il suo punto di forza, con un McConaughey sugli scudi e scheletrico, con un'intensa carica (auto)distruttiva che si trasforma in coraggio di vivere, come recita la tagline del film. A Woodroof furono diagnosticati 30 giorni di vita: visse altri sette anni da allora, portando avanti una lotta contro un sistema di ignoranza, di speculazione e di scarsa sensibilità. Non un eroe, perchè la battaglia fu condotta anche e soprattutto per ragioni personali, ma una storia che ha un significato profondo da raccontare.
Jared Leto, sebbene molto bravo, mi è parso un po' sopravvalutato dalla critica, per un lavoro sul personaggio forse un po' schematico e già visto. Non contano solo i chili persi: voglio dire, pensiamo al povero Cillian Murphy di Breakfast on Pluto (un Neil Jordan dimenticato dai più).
Curiosità: il film è stato girato in soli 25 giorni con un budget contenutissimo di circa 5 milioni di dollari. Nei soli Stai Uniti ne ha per adesso incassati più di 20 milioni. Scommessa riuscita, dunque, e probabilmente ancora più premiata negli incassi all'indomani degli Oscar.

Dare to live.

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